la guerra dei font: quando Ikea cambiò

Prima di tutto una domanda: il termine font è maschile o femminile?
L’Accademia della Crusca si è così pronunziata:

Ciò che determina l’affermazione di una forma rispetto a un’altra è l’uso effettivo che ne fanno i parlanti: da questi dati si registra una netta prevalenza del genere maschile, dovuta certamente all’influenza dell’informatica; la forma femminile la font sembra pertanto destinata a scomparire.
È preferibile, in ogni caso, impiegare il maschile font per la terminologia informatica e ripristinare il termine originario femminile fonte per quella tipografica; in questo modo, oltre a mantenere la distinzione semantica connessa ai due ambiti, si renderebbe conto della diversa origine inglese e francese delle due forme.

Nel 2009, Ikea fece una scelta radicale: cambiare il proprio font.
Se fino a quel momento aveva utilizzato l’IKEA Sans, ovvero una versione personalizzata di Futura creata da Robin Nicholas, scelse di passare a una versione modificata di Verdana. Ecco come:

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Non si sottovaluti la cosa, il catalogo Ikea era (ed è ancora, immagino, se non è stato superato da Harry Potter) il testo più letto e diffuso al mondo dopo la Bibbia, di conseguenza la cosa aveva una certa rilevanza globale.
Il prima e il dopo del catalogo:

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La motivazione ufficiale fu che Futura non conteneva i set di caratteri asiatici e le lettere specifiche di molte lingue del mondo, il che creava non poche difficoltà alla diffusione dei prodotti della multinazionale. Inoltre, Verdana era un font disegnato appositamente per il web nel 1996 da Matthew Carter per Microsoft, quindi molto più leggibile e utilizzabile sugli schermi.
Apriti cielo. Si aprì una controversia colossale, sia tra gli addetti ai lavori – che, quindi, parlavano della cosa in termini professionali – sia tra gli utenti del web e i clienti di Ikea, che ne parlavano in termini di gusto e di preferenza estetica. Il dibattito fu aspro e non privo di colpi bassi, al punto che anche in Ikea, sebbene non l’abbiano mai fatto trapelare, serpeggiò più di un dubbio. Qui, per esempio, il New York Times di quel periodo.

Alla fine, la cosa si placò dopo parecchio tempo, Ikea non cambiò idea (la portavoce Camilla Meiby disse la parola fine il 31 agosto 2009: «We’re surprised, but I think it’s mainly experts who have expressed their views, people who are interested in fonts. I don’t think the broad public is that interested. Verdana is a simple, cost-effective font which works well in all media and languages») e pian piano la cosa passò.

Questa è una storia tratta da un libro molto divertente che sto leggendo, e che consiglio a chiunque abbia un qualche interesse sull’argomento:

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Qui il dettaglio, consiglio davvero: leggero, ben raccontato e accattivante.

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