ma certo, tre volumi, che ci vorrà mai?

Per chi, come me, si è occupato delle cose della filologia e, inevitabilmente, della linguistica, Gerhard Rohlfs è una figura a dir poco leggendaria. La faccio brevissima: filologo, linguista e glottologo tedesco, docente di filologia romanza all’Università di Tubinga e all’Università di Monaco di Baviera, alla fine degli anni Dieci si mise lo zaino in spalla e scese, a piedi, verso l’Italia. La girò tutta, intervistò persone, scattò fotografie, ascoltà voci, registrò accenti e varianti linguistiche. Anni. E poi pubblicò l’opera che ancora oggi costituisce uno studio insuperato: la Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti.
Per capirci e per dirne una sola, ci sono tutti i dialetti calabri, le loro varianti minori, molte delle quali oggi scomparse, non riesco a fare un paragone appropriato: potrebbe essere come uno di noi che venisse mandato in Germania a studiare le differenze fonetiche, grammaticali, linguistico-sintattiche tra un dialetto del Meclemburgo inferiore da quello medioinferiore in un raggio di cinque chilometri. E farne una comparazione diacronica. Io avrei difficoltà a trovare la regione, figuriamoci il resto. Un mostro sacro.

Nel 1954 Gianfranco Contini, solita persona intelligente, propose a Einaudi di pubblicare la Grammatica di Rohlfs, l’editore colse l’occasione e si mise alla ricerca di traduttori. Cosa curiosa tradurre dal tedesco all’italiano un testo sulla lingua italiana, comunque alla portata solo di traduttori competenti in materia. Fu proposto Pietro Citati, allora lettore di Rohlfs, però non disponibile, allora si ripiegò su un suo allievo, Salvatore Persichini. E qui viene il pezzo della storia che mi fa ridere.
Il Persichini, avventato, promise un volume ogni otto mesi. Poi, finito il primo ben oltre, si guardò attorno, fece due conti e accettò un posto a tempo indeterminato nelle Ferrovie dello Stato.

Ahah, ciao. Subentrarono poi altri, Franceschi e Fancelli, molto validi, e la vicenda si concluse felicemente nel 1969 nonostante grandi ritardi e risentite preoccupazioni dell’autore.

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