minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 6

Esco alle otto e mezza di sera, perché non ho voglia di rifare la coda fuori dal supermercato, a un metro da quello prima e da quello dopo, che ci si guarda in tralice di continuo per far mantenere la distanza, con il serpentone che si allunga finché il supermercato non lo vedi nemmeno. Fuori, vuoto.

Ma vuoto vuoto. Che ho un primo attimo in cui dico ah, però, bello, mai visto così e poi mi scopro inquieto, perché le montagne, le vallate, il mare sono belli quando non ci sono le persone, le città no: se sono vuote sono città morte.
Un ragazzo in bicicletta con la mascherina che consegna del cibo a chissà chi tira dritto, una prostituta appoggiata a una casa: allargo io, per non metterla a disagio, e faccio una mezza circonferenza attorno a lei ma la faccio larga, per non farla accorgere. Non credo di esserci riuscito. Ehi, non è perché sei prostituta.
Al supermercato non c’è coda, i guanti li ho, quelli che uso per fare i lavori, la mascherina no, non mi va, sto lontano da chiunque, tanto pago sempre alla cassa robò. E poi non ce l’ho. Sono l’unico con la sportina, hanno tutti degli enormi carrelli pieni di roba: venti pizze surgelate, buon dio!, ma che freezer ha, signora?
È che son venuto a piedi, non posso portar via un carrello di roba e comunque non saprei cosa prendere. Sono venuto per prendere il silicone, non ho il silicone, mi serve il silicone. Ma ci sarà il silicone all’esselunga? E se non ce l’hanno, dove posso trovare del silicone in questo periodo? Da nessuna parte, devo provare.
È che non ho un cane da pisciare, nemmeno di peluche e non lo vorrei, mi piaceva l’idea di fare due passi ma l’atmosfera da thedayafter mi ha fatto passare la voglia, vorrei uscire dal supermercato, che è tutto silenzioso e le persone nelle corsie si evitano comunque, schiacciandosi contro le scatolette. Compro cose rapidamente, il silicone non lo trovo e dopo cinque minuti di ricerca ho solo voglia di essere all’aperto. Stasera il silicone non mi serve più, forse domani. Esco e mi rendo conto, fuori, di aver comprato dei peperoni grigliati (mai comprato nella vita peperoni grigliati), quattro bottiglie di detersivo ecologico per i piatti (una mi basta per due mesi), degli spaghetti integrali (ho sbagliato a prenderli dallo scaffale, bravo) e due confezioni di uova. Che mi piacciono, figurati, ma quando ’sta cosa finirà avrò bisogno di un dietologo, un gruppo di alcolisti anonimi e di un trapianto di fegato. Saremo in tanti. Io reggo bene, so che magari cederò di schianto, quello sì.
Torno mestamente verso casa, rifaccio il semigiro attorno alla signorina con lo stesso esito, mi spiace, ripenso al fatto che almeno in questi giorni facciamo delle belle chiacchierate con i vicini, alcuni alle finestre e altri da basso, e che oggi le simpatiche figlie dei vicini hanno suonato il flauto in cortile per tutti. E che ho ricevuto una porzione di ottime lasagne fatte da vicini gentili. Ne sono grato. Mi vengono in mente le scene descritte, che so?, da Nuto Revelli che racconta le persone nei fienili a cantare, ballare e tenersi compagnia la sera durante la guerra. O i racconti sentiti, per cui pensavo che sì, in fondo erano persone più semplici. Scemo. E stupido.
Oggi l’Eco di Bergamo aveva undici pagine di necrologi, che delizia per gli anziani al bar, se solo ci fossero. Così tante anche perché non c’è modo di far visita e di portare di persona il cordoglio. E ovviamente perché, accidenti, i morti sono tanti.
È solo il 13.

Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 6

  1. Estasiato dall’attaccamento al lavoro della prostituta.
    Vorrei conoscerla, fra un po’ di tempo, per parlare con lei delle nostre paure.

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