Gianluca Vialli

Mi è sempre piaciuto, Gianluca Vialli. Fin dai tempi della Sampdoria, lo ricordo eccome, agganciava un lancio da trenta metri andandoselo a prendere, faceva altri quindici metri a sportellate con qualche difensore, poi guadagnava quel mezzo metro in velocità che gli permetteva di sparare in rete, spesso sul primo palo. Poi tutti a dire che il lancio illuminante era di Mancini, per carità, capitava, ma il grosso lo faceva lui. Ricciolo, simpatico, guascone, spesso irresistibile, era il nove di quel gruppone di giovinastri di Vicini, bravi. Alla Juve diventò capitano, più grosso e autorevole, sollevò la coppa per davvero, fece anche cose in acrobazia da ricordarsele. Poi andò in Inghilterra e lo perdemmo di vista, a un certo punto fece anche quella cosa stramba e tutta inglese del giocatore-allenatore. Mi è sempre piaciuto, Gianluca Vialli.
Ma non solo per il fòball. Mi è piaciuto perché quando si è ammalato non ha usato la retorica, idiota, del guerriero e della lotta, e sì che ne aveva anche la formazione, ma ha affrontato la malattia come si deve, con intelligenza, fatica e sofferenza, parlandone come di una compagna di viaggio da cui non ci si riesce a liberare e si può sperare di avere del tempo. La metafora della lotta è sciocca perché non aiuta e comporta moltissimi impliciti che peggiorano la comprensione del problema, Vialli era più intelligente e capace, ha rilasciato alcune interviste di grande saggezza e con approccio realista, consapevole ma mai abbandonato. Mi è sempre piaciuto, Gianluca Vialli. Molto come calciatore ma ancor più come persona.

accoppiamenti giudiziosi

Se siamo tutti molto contenti dell’uscita del libro di confessioni del tizio Harry, potendo così finalmente leggere le rivelazioni sconvolgenti sulla famiglia reale e i suoi pessimi congiunti tizio Carlo e tizio William, non posso che gioire ancor più per l’accoppiamento in vetrina di questa libreria, che suggerisce senz’altro l’acquisto anche dell’altro libro.

Ma non a noi, a lui che è lì presente col faccione, ne trarrebbe giovamento e utilità.
Ma anche noi, a pensarci, se lo facesse per davvero. Gliene si spedisca una copia, presto.

in partnership con GE, Iveco per l’Europa e chissà chi nel mondo

Era su tutti i giornali tre anni fa, ora ci siamo: arriva anche l’idrogeno.
La parte più bella erano le schede tecniche. Sempre lo stesso giornale e articolista, due anni prima: «La scheda tecnica fa impressione: zero emissioni, autonomia variabile da 800 a 1200 km, 15 minuti per fare un pieno». Quindici minuti. E poi, per dire: «più di 1.000 CV e 2.712 Nm di coppia, ossia – per capirci – il doppio della potenza di qualsiasi semirimorchio in circolazione. Le batterie sono da 320 kWh e tanta meraviglia, battezzata ufficialmente “autocarro elettrico a lunga percorrenza” è stata appena presentata dalla Nikola Motor Company e dalla Bosch». E nessuno che facesse la domanda giusta. Che è sempre un po’ la solita: «che cazzo dici?».

Per chi volesse approfondire, un bel podcast: Mele marce. E l’istruttiva puntata proprio su Nikola e il cattivone Trevor Milton, ottima storia contemporanea che tante cose belle insegna. Perché se si muove con l’elettrico, allora il riferimento d’obbligo è Nikola Tesla, non si scappa.
Anche per il raggio della morte, in effetti. Che anche quello servirebbe assai.