ah, les gaufres dell’imperatore

Una panoramica di Gand, scattata da me medesimo l’anno scorso dalla finestra di un’affittacamere sopra (dentro, meglio) un negozio di waffles. Gaufres.
Più o meno qui.

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Nel 1500, il 24 febbraio, Giovanna di Castiglia partorì, proprio a Gand, il figlio Carlo, più avanti noto come Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero e, prima, come Carlo I re di Spagna. Già da decenni Gand era una grande città, tra le più grandi d’Europa – escludendo le metropoli italiane – e brillava per bellezza e ricchezza: caratteristiche che si sono salvate, fortunatamente, anche dalle devastazioni dei secoli successivi, in particolare il nostro.
Tutto questo per dire che se uno pianifica un giro per l’inutile Belgio, è una tappa d’obbligo. Una città piccoletta ma vivace, ricca di studenti, locali, storia e canali. Niente male.

A pesare sul dato italiano hanno contribuito gli aumenti di mortalità registrati su autostrade e raccordi

L’Istat ha pubblicato i dati 2015 sugli incidenti stradali e il dato generale è che sono diminuiti gli incidenti ma sono aumentati i morti. Dato che per la prima volta dal 2001 cresce anziché diminuire: il fatto che siano aumentati i pedoni, ci porta direttamente alle conclusioni finali.

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Secondo l’Istat le cause principali sono: «Tra i comportamenti errati più frequenti, sono da segnalare la guida distratta, la velocità troppo elevata e il mancato rispetto della distanza di sicurezza (nel complesso il 38,9% dei casi). Le violazioni al Codice della Strada più sanzionate risultano, infatti, l’eccesso di velocità, il mancato utilizzo di dispositivi di sicurezza e l’uso di telefono cellulare alla guida». Io che giro in motoscurreggia e guardo dentro le auto delle persone, confermo che novantadue su novantacinque hanno in mano il cazzo di telefono: santoddio, mettetelo giù, non si può mica così.
Anche se state leggendo questo post.

«Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire»

Tra i castelli della Loira, uno dei più belli e notevoli è sicuramente il castello reale di Amboise, il castello di Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I. A breve distanza dal castello si trova il maniero di Clos-Lucé, famoso perché vi soggiornò dal 1516 alla morte (2 maggio 1519) Leonardo da Vinci, invitato dal re Francesco I.

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Fu qui che accadde la vicenda delle sue ultime parole (l’ho raccontata brevemente qui, tempo fa), quel «perché la minestra si fredda» che rimasero le ultime parole note del genio.
A coloro che oggi si recano a visitare il castello si offre una lunga serie di macchine leonardesche sparse per il giardino, a testimonianza della lunga permanenza dello scienziato, e soprattutto – che è la cosa che mi fa morir dal ridere – dipendenti vestiti da Leonardo che, con barba superposticcia, accolgono i visitatori. Caro, com’è andata oggi al lavoro? O, anche: che avranno scritto sulla carta di identità, alla voce professione? Com’è come non è, eccone un fulgido esempio:

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Adoooooro le messe in scena: funzionano solo con un numero ristretto di personaggi storici – cioè che abbiano delle fattezze note e riconoscibili al grande pubblico, tipo Einstein, Leonardo, Chaplin, insomma tutti i possibili travestimenti di carnevale – e sono così tristi quando ce le si trova davanti, così vecchie e polverose da non costituire per nulla un’attrattiva. E ci sono persone che la mattina non si mettono la cravatta ma un cappello cinquecentesco e una barba finta. Meraviglioso.

conversazioni per la maratona

Adam Cohen, il figlio di Leonard e musicista pure lui, racconta della sepoltura di suo padre: in terra, in una cassa di pino, come lui voleva. Una breve lettera, commovente.

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Mi unisco ai ringraziamenti, conta per me. E siccome non mi posso far scappare l’occasione di minchioneggiare, segnalo l’ottimo servizio di traduzione di post di Facebook (basta cliccare sotto su ‘visualizza traduzione’): «Io e mia sorella appena seppellito mio padre a Montreal. Solo con la famiglia e alcuni amici presenti, era calato in terra in una cassa di Pino disadorna, accanto a sua madre e suo padre. Esattamente come aveva chiesto. Mentre scrivo questo sto pensando di mio padre, miscela unica di auto-Flagellarti e la dignità, la sua avvicinabile eleganza, il suo carisma senza audacia, il suo vecchio-mondo signorilità e la torre forgiato a mano del suo lavoro. C’ è così tanto che vorrei poter ringraziare lui, solo per l’ultima volta. Vorrei ringraziarlo per il comfort ha sempre fornito, per la saggezza che dispensava, conversazioni per la maratona, per la sua folgorante arguto e spiritoso. Vorrei ringraziarlo per avermi dato, e per avermi insegnato ad amare a Montreal, e la Grecia. E vorrei ringraziarlo per la musica; prima per la sua musica che mi ha sedotto come un ragazzo, poi per il suo incoraggiamento della mia musica, e infine per il privilegio di essere in grado di fare musica con lui. Grazie per i vostri gentili messaggi, per la manifestazione di solidarietà e per il tuo amore di mio padre».