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A Stalingrado non passano e, nel suo piccolo, neanche nel b.site. In ogni caso, rimane sempre il piano B.

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ventotto

Trentaquattro.
Ancora una volta il 28 maggio, ancora Brescia, ancora Piazza della Loggia, ancora le stesse persone, quelle morte e quelle vive. Purtroppo per le prime, per fortuna le seconde non abbandonano.
Ma oggi no, oggi è un pochino diverso, perché a Brescia, per la prima volta dal 1948, c'è un sindaco di destra, pidiellino forzitaliota che passa per scemo persino negli ambienti locali della sua corrente di partito, cioè tra gli amici, suppongo. Inoltre, la maggioranza amministrativa gode della protezione della maggioranza politica, per cui la domanda che si pone il neosindaco è: a Roma dicono che devo andare sul palco? Sì, caro, dai, sali sul palco, tanto si tratta di dire le solite due cose, non importa a nessuno.
C'è un altro fatto nuovo, però: a novembre, il 25, nuovo processo per la strage di piazza della Loggia. Sepolti tutti gli altri processi sulle grandi stragi, le inchieste (2) e i processi (8) bresciani hanno seguito la stessa medesima strada, nulla di nulla con una bella scia di morti strane o annunciate. Ora, però, si allarga il parco degli imputati, su tutti Zorzi, Maggi, Rauti e il generale Delfino. Massone, quest'ultimo, vicino ad Avanguardia Nazionale, coinvolto in modo anomalo in parecchi sequestri, se lo stomaco tiene ecco un buon profilo del sinistro figuro.
In piazza, devo dire, si respira una qualche nuova speranza, si tiene duro e ci si fa coraggio piu' del solito, si spera nella verità giudiziaria, ancora, che è un po' l'unica cosa che resta, a meno che non si decida di andare a prendere gli imputati a sprangate, tanto per seguire l'andazzo fai-da-te.
Ci si stringe un po' di piu', come sempre accade quando vince Berlusconi, e le facce sono speranzose, un processo che si spera sia davvero un processo. Nessuno si fa illusioni, nessuno crede alla favola del giudice buono che sconfigge i poteri maligni, per quello c'è la fiction su raiuno, di fatto però ci si crede, almeno un pochino, si nega ma sotto sotto si prova a sperare, davvero, che una volta, una, le cose prendano il verso giusto e seguano logica e rispetto, almeno per strappare il minimo, una verità giudiziaria inconfutabile, quindi storica.
Sarà che nessuno ci credeva più, sarà che ci si attacca a tutto e che ci mancano i compagni, le facce sono più solidali, i morti delle stragi sono, oggi, più importanti di qualunque governo, si respira un'aria buona, migliore dell'aria degli ultimi trentatre anni, in questa piazza. Si prova anche a sorridere, oggi.
Non succederà l'impossibile, ma se non ci si fa vedere e non ci si stringe forte, allora è già finita.

ventisette

D'amor e di goder vi si ragioni.
Ben venga maggio, dice il poeta, e vi si ragioni d'amor e di goder: cosa che, nel mio minimo, ho fatto, facilitato dalla lunga peregrinazione in luoghi belli cui è stato facile voler bene.
Ora son tornato, la coda di maggio porta con sé la vita che ha rifatto capolino vigliacca, niente pause, proponendomi in rapida sequenza una visita dal dentista, che odio essendo lui un sadico nazista, e la dichiarazione dei redditi, è la fine di maggio. Buffa cosa quest'ultima, non avendo attualmente un reddito, dover rendere conto di un capitolo lavorativo che ho fatto una certa fatica a chiudere e che ora mi torna fastidioso tra i piedi. In ogni caso, dovendo come ogni anno procedere alla selezione dei meno peggio, anche quest'anno l'ottopermille va agli adoratori della grande Pastiglia, che son più simpatici e umili di tutti gli altri. Se non si sceglie, novanta su cento che se li becca la Romana Chiesa, famelica come sempre di elemosine e donazioni.
Mi è stato fatto divieto assoluto da parte dei miei congiunti di procedere a lamentazione di qualsiasi genere, ben sapendo che io sarei sceso dall'ultimo treno con un bell'elenco di rimostranze da indirizzare - letteralmente - a destra e a manca, forte del commento di qualche giorno fa della Presidenza del Parlamento Europeo all'indirizzo di La Russa, fratello parlamentare: "Non siamo al Parlamento italiano, qui". Stava cercando la rissa, La Russa.
Comprendo, non procederò, anche se un po' mi viene. Come posso non dire che l'unico treno tutto bello lurido con i vetri opachi cosparsi di caramello è stato il Monaco-Brennero-Verona, ovviamente FS e non DB? Son quisquilie, lo so, non mi lamento.
Sarebbe anche ingiusto nei confronti di tutti coloro che son rimasti qui e che mi hanno seguito passo passo, mi hanno sostenuto, consigliato, commentato in questo mio breve girolo, e che hanno dovuto sostenere, nel contempo, anche le meravigliose espressioni creative di questo paese.
Vi ringrazio di cuore, davvero, è stato molto gratificante per me avere la vostra costante compagnia, giorno per giorno, grazie.
Non so cosa riuscirò a fare di questo spazio, se tornerà quello che era, di certo un fatto: da quando sono tornato, sarà la stabilità, sarà l'afa, sarà il mangiare, le parole mi si sono un pochino seccate, non ho più la grande fortuna di poter camminare dal mattino alla sera pensando ai fatti del giorno, osservando senza pensieri, potendomi preoccupare dei soli mangiare, dormire, scribacchiare, internet-point verso sera, eventualmente. Dobbiamo rifarlo, a breve. Chissà quante copie non ancora scoperte di libri della Tamaro o chissà quanti commenti improvvidi nei musei del mondo, chissà quanto sole e cielo azzurro mi sto perdendo in questo esatto momento, chissà quei tramontisti fortunelli che si stanno guardando il sole che cala sulla Duna du Pyla...
Pensieri che non aiutano, adesso, meglio concentrarsi sul presente: vado subito a comprarmi il diario erotico e spettegolo di Rita Rusic, Jet Sex, per ripigliare il punto.

ventitre

La tecnica al servizio di io.
Osservo un depliant in cui l'ultraprincipessina Gloria di cognome Thurn und Taxis mi invita nella sua modesta magione di Regensburg (Dieta) ad ammirare la sua collezione di sbrillocchi grandi come cocomeri e a respirare un po' d'aria nobiliare come si deve. Non che la cosa non mi si addica, ho anche fruito di una doccia piuttosto di recente e, modestamente, ecco e' vero, avrei anche un certo savuarfer a tavola finche' si sta al di sotto delle otto forchette, pero' gira e rigira cotesti aristocratici mi vengono un po' a noia, a forza di limoncelli in veranda. Peraltro, sua ultraltezza non si nasconda, la famiglia fece gran fortuna con il servizio postale - e questo e' un merito, mi sdilinquisco per la posta - ma ebbe le sue origini professionali nella riscossione delle tasse (Tassi, Taxis nomina sunt...). Il che potrebbe anche andarmi bene, cara Gloria, se non fosse che lo facevate a Bergamo e io, come dire, avrei una qualche riserva al riguardo, oltre al fatto che il potenziale aristocratico un poco va in diminuzione.
La ringrazio dell'invito e mi dileguo, anche perche', la ragione sostanziale, ho un treno per Monaco. Baviera, ovviamente. Vorrei portare un omaggio a Sophie Scholl e a tutta la Die Weiße Rose, un poco di fretta, perche' domani torno a casa.
Se l'idea di questo viaggio era scorrazzare libero, ebbene l'ho fatto. Se l'idea era rimettere insieme qualche pezzettino dopo la disgraziata conclusione lavorativa, direi che qualche passo in avanti l'ho fatto. Se lo scopo era mangiare ogni cosa mi trovassi davanti, missione compiuta con onore, gnam. Se lo scopo era ricominciare ad arrivare a sera devastato fisicamente cosi' da non lasciare spazio a pensieri inconcludenti, direi che ci sono abbastanza riuscito. Se lo scopo era ammirare cose belle, ebbene questo e' stato fin troppo facile. Ora credo sia di nuovo tempo di cambiare e di affrontare due o tre cosine.
Questo non e' un epilogo, gli epiloghi - varii - ci saranno poi, come le grandiose sintesi di pensiero e i ventiquattro volumi dell'opera omnia in edicola a uneuroenovanta. E' una specie di comunicazione di servizio, cosi' come ho documentato fin dall'inizio ogni tappa. Anche per i ringraziamenti, che devo e che urgono, ci sara' tempo. Anche per consegnare i sottocoppa in peltro che ho acquistato per ognuno di voi ci sara' tempo e luogo.
Piuttosto, approfitto di oggi per affrontare una questione di una certa rilevanza cui ho pensato fin quasi dall'inizio e che si e' strutturata pian piano nel corso del viaggio, spiegomi: l'epoca dei miei grandi viaggi scapestrati risale a sette-diciotto anni fa, piu' o meno, dopo di che ho fatto altri viaggi ma in modo abbastanza diverso, l'eta' avanza impassibile e poi dal Berlusconi II io non sono stato piu' lo stesso. Fino a questo viaggio. Siccome sono un ragazzo perspicace, da allora ho notato la comparsa di mezzi e strumenti, piu' che altro di tipo tecnologico ovviamente, che hanno cambiato un po' la vita ai viaggiatori con zaino. Non sempre migliorato, cambiato.
Modeste considerazioni, neh, che vorrei condividere qui. Procedo.
Vacua classifica delle cose per viaggiatori che prima non c'erano e ora ci sono.
1) vincitrice assoluta e indiscussa della competizione e' la lavanderia automatica. Non solo non devo piu' farmi la doccia vestito per fare il bucato ma, con due-tre euri spesi che meglio non saprei, posso gettare lo zaino intero senza aprirlo in una vorace lavatrice, bearmi per qualche decina di minuti, ripetere con l'asciugatore e vuala', come fossi appena partito. Grazie, o inventore della lavanderia automatica, la luce splenda su di te per sempre.
2) ovviamente internet, posta elettronica, blog, internet points etc. Le ragioni sono ovvie; oltre a quelle, senza la rete per far funzionare questo blog avrei dovuto scrivere una lettera identica a ognuno di voi, poi aspettare fermo gli eventuali commenti in risposta, ognuno dei quali avrei dovuto fotocopiarlo e reinviarlo in copia a ognuno di voi, in attesa di ulteriori comunicazioni. Non impossibile, ma cosi' e' stato un pochino piu' comodo.
3) le macchinette automatiche per i biglietti ferroviari. Un'altra grande invenzione, ho passato dei bellissimi momenti a giocare con le macchinette nelle stazioni, immaginando ogni tipo di connessione ferroviaria, inventando combinazioni di orari ai confini del reale, ho comodamente verificato la possibilita' di spostamenti e acquistato di conseguenza biglietti di mio gusto, senza sfiancare gentili venditori di biglietti allo sportello e viaggiatori alle mie spalle. Qualche distinguo: le migliori? In Germania, si possono anche acquistare i biglietti di bus e metro delle citta' di destinazione, insieme al biglietto del treno, prodigioso. In Francia, le macchinette prendono solo le carte di credito ma non tutte, solo quelle con il cacchiochip maledetto, quindi mi sono state precluse, la tessera sanitaria non la accettano. Utili, comunque, per tutte le altre procedure che non siano l'acquisto materiale, funzionano bene. In Cechia meglio lasciar perdere, sono solo in lingua locale e funzionano con i loro soldi, almeno fino al 2012.
4) bancomat e carte di credito (variante lusso): non che dieci anni fa non esistessero, ero io che non avevo il conto corrente, quindi inserisco comunque in classifica. Che godimento non dover partire con piccole mazzette di soldi contati distribuite tra calze, mutande e ridicole finte cinture con la zip, oppure con carnets di travellers' cheques da proteggere piu' della propria stessa vita. Peraltro, i travellers' cheques non li piglia proprio piu' nessuno, a volte le banche nemmeno li emettono, non puntate su quelli. Certo, questo quarto punto non e' esente da controindicazioni, e' vero, ma in sostanza e' un cambiamento notevole.
5) le macchine fotografiche digitali. Tranquilli, non vi invitero' a vedere le diapositive una sera a casa mia, quello che c'e' nel blog e' sufficiente. Si puo' anche fare a meno delle fotografie, evidente, ma nel suo genere la macchina digitale e' una comodita' mica male. Quante volte sono partito con zaini ripieni di rullini, disperatamente da 36 pose, compresi i maledetti scatolini con tappino di plastica, un disastro, e poi vogliamo mettere il salasso dall'omino delle fotografie al ritorno per acquisire documentazione scadente al novantacinque per cento?
6) gli avvisi del capotreno in treno. Ormai anche sui locali, finche' non e' la mia fermata sono una gran rottura di balle ma, ooooh, quando e' la mia grazie di esistere, amico capotreno, iu ar de sainsciain ov mai laif. Mi sono evitato numerose spalmature sul vetro cercando di leggere cartelli in decelerazione, pronto a zompare al volo giu' dal treno. Esiste anche una versione ulteriore e migliore, in Germania su tutti i treni, vale a dire il pannello elettronico che devi solo leggere e confrontare le parole. Non potrei desiderare di piu'.
7) le Poste. Non che non esistessero prima, chiaro, ma ora sono davvero un'altra cosa: spedire pacchi a poco costo, ricevere pacchi o altro, servizi vari, vaglia, davvero comodissime. Io in questo viaggio ho raccattato parecchie e cose e, con spese modeste, ho man mano spedito a casa, liberandomi non poco. Onori e trionfi sulle poste, anche ceche, stavolta.
8) delle audioguide ho gia' detto in precedenza, pollice verso.
9) ultimo viene il telefonino. Il maggior pregio? Avere la sveglia, fatto da non sottovalutare quando si vive praticamente in treno e in bus. Certo, poi comunicare con la morosa e far sapere di essere vivi, chiaro, ma la sveglia vince. Non necessario, comunque, calcolare anche il caricabatterie in piu'.
Inoltre il telefonino degli altri scassa.

ventidue

Ho perso il rumeno.
Da Bamberga la direzione e' quasi obbligata per Regensburg, Ratisbona in lingua non germanica, per chi come me si e' piacevolmente sorbito qualche esame di storia moderna. Un'eredita' indissolubile di quegli esami sono alcune reazioni pavloviane che portero' sempre con me: a sentire la parola "Ratisbona" io senza pensare dico: "Dieta". Non che vada molto oltre, si tratta di un riflesso indotto. Concilio? Worms o Trento. Dieta? Ratisbona, non posso piu' farci nulla, e' cosi'. Alessandro VI? Borgia.
Comunque, mi aggrego ai passeggeri del locale espresso per Ratisbona (Dieta) via Norimberga e cerco di non pensare alla parola "Ratisbona". Dieta. Dopo un'ora, causa non so cosa, ci fanno scendere in un ameno paesino della provincia francone di cui non so nemmeno il nome, forse Eggolsheim, boschi bellissimi, e in qualche modo mi fanno capire che devo prendere un autobus.
Eh no, care le mie DB, questo non e' da voi, non siamo mica in Italia, qui. Prendo l'autobus che ovviamente non va a Ratisbona (Dieta) ma ferma prima, in altro ameno paesino ignoto.
Mentre attendo il secondo autobus, pare quello risolutivo, faccio due chiacchiere con Kostel, rumeno ciacolone che viene da Costanza, sul mar Nero, e fa un lavoro interessante, poiche' ha una piccola chiatta e fa la spola tra Costanza e Rotterdam, duemila chilometri, portando merci.
Io a Costanza ci sono stato, volevo vedere dove avessero spedito il povero Ovidio, glielo dico, lui e' tutto contento, parliamo della Romania, di Cluj-Napoca, di Sibiu, la citta' piu' tedesca tra le citta'... romene, parliamo dell'Italia e, lo sapevo, degli Europei di calcio, venerdi' 13 Italia-Romania. E' una compagnia piacevole, anche lui va a Regensburg (Dieta).
Carichiamo le borse sul pullman e confrontiamo le nostre diverse posizioni: la mia, egocentrica, prevede che io non paghi ulteriori biglietti, avendo gia' pagato quello del treno da cui mi hanno fatto scendere; la sua, legalista, prevede comunque di pagare il biglietto del pullman (un rumeno legalista, questa e' per Maroni). Cosi' scende per fare il biglietto alla macchinetta, moralmente vincitore su di me.
Ovvio, a questo punto, che succeda cio' che non deve succedere: il pullman parte, lo vedo al di la' del vetro sbracciarsi ma l'autista germanico non fa una piega ai miei richiami. Ooops.
Senza alcuna mia richiesta, vengo improvvisamente nominato custode morale delle valigie del rumeno disperso nella campagna germanica. Una valigia, un sacchetto pieno di roba, una borsa che ha tutta l'aria di essere un portatile.
Sono molto orgoglioso di me, penso. Io non solo non perdo i miei bagagli, ma ne acquisisco di nuovi. Bravo me. Mmm, chissa' se il portatile ha la scheda wireless...
Occhei, ci vuole una strategia: devo pensare come un rumeno. Tolgo la cera, metto la cera, penso come un rumeno del mar Nero. Penso. Penso, la mia mente sta mutando, ho quasi voglia di Ciorbă... Non e' vero, non riesco nemmeno a pensare come un veneto, figuriamoci come un rumeno. Pero', posso pensare come un viaggiatore e c'e' una soluzione sola: la stazione dei treni.
La stazione dei treni per chiunque non viaggi in macchina e' il fulcro di tutto, il centro del cibo, delle informazioni, della sopravvivenza tout court, a volte ci si dorme pure, si fanno incontri, ci sono gli internet point, i bagni soprattutto, si vedono piu' stazioni che chiese gotiche, a girare con lo zaino. Bisognerebbe fare una guida turistica alle stazioni ferroviarie, sul serio.
Con il mio fardello morale di sacro custode e con il fardello materiale del doppio bagaglio, approdo a Regensburg (Dieta), mi piazzo alla stazione e aspetto. Se il rumeno pensa come un italiano in gita, mi trovera' di sicuro. La stazione ha anche un altro, poderoso, vantaggio: alla peggio, dovrebbe avere un ufficio oggetti smarriti. Le ho proprio pensate tutte.
Non serve, dopo un paio d'ore appare Kostel, raggiante, ha pensato come un italiano-che-non-riesce-a-pensare-come-un-rumeno e mi ha trovato, non smette di stringermi la mano e di ringraziarmi. Per sdebitarsi, mi invita a salire sulla sua chiatta, che si trova qui a Regensburg (Dieta), e andare con lui fino a Costanza, percorrendo tutto il Danubio fino al Mar Nero.
Amico, tu mi vuoi ingolosire.
Non accetto, io ormai sono sulla via di casa e una lieve deviazione per il mar Nero non e' nei miei piani attuali, anche se avrebbe potuto essere divertente. Lo saluto, insiste per scambiarci i numeri, dice che non si sa mai, e io me ne vado, tutto tronfio per la versatilita' del mio rumeno-pensiero, perche' io i rumeni li aiuto, un vero eroe. Italia salva Romania, si dica domani sui giornali.

ventuno

La sintesi, dopo l'analisi.
Ci sono giorni nei quali le gambe viaggiano da sole, potrei camminare all'infinito, lo zaino non pesa, anzi; altri giorni, invece, per un qualche motivo inspiegabile, fin dal mattino le gambe son di legno e il cuore di stagno, burattino, e faccio piu' fatica a camminare, sento dolorini qua e la' dovuti ai chilometri percorsi, ho la netta sensazione che qualche burlone mi abbia introdotto delle pietre nello zaino, le strade hanno una pendenza costante a mio sfavore.
Oggi e' una giornata di quelle, un po' perche' piove, un po' perche' ho commesso un errore fatale, abbandonandomi alla lussuria, ieri sera, dell'enorme coscia di maiale bollita con crauti e kartoffelnsalad. Errore madornale, aggravato anche dalle due birrone necessarie a far scendere il maiale nelle mie fauci. Gia' stanotte ho sperimentato il vero significato della parola arsura, il mio regno e anche i regni degli altri per dell'acqua, molta acqua, presto. Oggi, bonjour finesse, diciamo che piu' di una volta ho dovuto cimentarmi in complicate divisioni a tre cifre che hanno richiesto tutto il mio impegno e concentrazione in luogo riparato. Quale eleganza, conte, il cognac e' servito nella sala della biblioteca...
Un poco instabile giungo a Bamberga, piccola citta' ma non bastardo posto, ricca di canali e ponti, richiama in qualche modo Bassano del Grappa, come suggeriscono anche alcune fotografie nei caffe'. L'acqua permea e lambisce quasi tutta la citta', un quartiere sul canale e' detto Piccola Venezia, al punto che in Neumarkt troneggia una fontana di Nettuno, con un bel forcone tutto d'oro, prima volta che vedo una cosa cosi' in Germania. Compio le mia visite di ordinanza con diligenza, porto i miei saluti a E.T.A. Hoffmann, i miei rispetti all'Imperatore e alla sua consorte, Cunegonda, poi santa, niente a che vedere con Voltaire.
Dopo di che, vista la pioggia e la mia opacita' evidente, testo ancora una libreria, Görres, in Grunermarkt. Tagliamo la testa al toro fin da subito, meglio: la Tamaro c'e', due copie della solita sbrodolata, inutile farsi illusioni, mi rassegno. Stessa cosa per Eco e Baricco, si confermano i risultati del test di Dresda. Una novita' interessantissima, rispetto al catalogo di autori italiani visto finora: Familienlexicon di Natalia Ginzburg, e questo mi fa felice. Siccome ogni medaglia ha il suo rovescio, trovo in scaffale anche Uberleben in Italien di Severgnini, con mio dispiacere.
Attaccati al filone, Milena Agus con Die frau im Mond e tale Luigi Brogna con Spätzle al dente, amena storia della sua famiglia di origine siciliana. Immagino come ne usciamo bene, 135 pagine di luoghi comuni. I luoghi comuni sugli italiani vanno bene, a patto che siamo noi a proporli e questo Brogna mi sa di tedesco figlio di italiani. Quindi, non va bene, augh, ho detto.
Ma non e' finita qui, visto che di fronte vedo Hübscher, altro libraio altro giro: sono travolto, letteralmente, da sedici titoli diversi di Camilleri, sono annichilito, tutti in economica, due copie di Tomasi di Lampedusa e la solita, maledetta, infamona, Tamaro, una copia. La odio piu' di prima, che era gia' parecchio. Infine, due titoli di autori dal nome decisamente italiano: Ein tag in der Toskana di Dario Castagno e Ciao ciao, Amore (sic) di Alessandra Appiano.
La mia analisi scientifica del fenomeno letterario italiano in Germania giunge dunque a una considerazione praticamente definitiva, anzi due: produciamo letteratura di scarto da almeno venticinque anni, e questo lo sapevo gia', in Italia e all'estero, cio' nonostante - e questa e' la seconda - i germanici non capiscono un accidente di letteratura italiana.
E' quasi una petizione di principio, lo so, ma perdio, almeno un volume del sommo Ugo Iginio Tarchetti o, in alternativa, dell'immortale Ippolito Nievo, lo vogliamo tenere in queste benedette librerie?

venti

Il processo.
Sono qui, emozionato, per vedere l'aula, volevo essere fisicamente qui.
Non e' possibile ora, perche' la corte e' riunita, bisogna aspettare. Mi siedo fuori e fantastico un po', non mi aspettavo che la utilizzassero ancora, chissa' perche' immagino sempre che certi luoghi simbolici debbano per forza diventare dei mausolei dedicati al ricordo. Non e' cosi', non e' stato cosi' nemmeno per Reichsparteitagsgelände, non lo e' in Italia, non lo e' qui.
E allora mi immagino che effetto faccia finire sul banco degli imputati, su quel banco degli imputati, magari per furto d'auto o di galline, verra' per un momento - mi dico - il pensiero che il giudice stia per emettere una sentenza di condanna a morte... no, forse non fa alcun effetto, chissa', non credo rubero' una gallina per saperlo.
Poi mi fanno entrare, aula 600, secondo piano, l'aula del tribunale penale di Norimberga. L'aula del processo. Ventiquattro imputati, tra cui Bormann, Göring, Rudolf Heß, von Ribbentrop, Dönitz, von Papen, Speer, Streicher e, fatto inusuale fino ad allora, furono messe sotto accusa anche le principali organizzazioni del Terzo Reich, come SS e SA. La corte era una corte militare, per la prima volta internazionale, i capi di imputazione quattro.
E' qui, ci sono, fortunosamente sono solo, ecco il banco degli imputati, il banco fotografato mille volte, lo fotografo anche io, ecco la mia foto, poi il banco della corte, l'aula e' piu' piccola di come me la immaginassi, hanno spostato l'orologio e ricostruito la parete di fronte alla corte, che abbatterono durante il processo per ammettere i giornalisti.
Mi fa davvero effetto essere qui, fu un processo difficile e coraggioso, per molti versi, che mise alcuni punti fermi del diritto penale internazionale e stabili' verita' processuali indiscutibili, da allora. I russi spinsero moltissimo perche' il processo si svolgesse a Berlino, inglesi e americani ottennero di organizzarlo a Norimberga per varie ragioni: il palazzo di giustizia non era stato toccato dai bombardamenti, era molto capace e aveva una prigione interna; inoltre, Norimberga ricadeva nell'area controllata dagli Stati Uniti. Ultimo fatto, non indifferente, si processava lo stato maggiore nazista proprio nella citta' di elezione, la Norimberga dei Reichsparteitag, la piu' tedesca delle citta'.
Dal 20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946 furono sentiti migliaia di testi e furono esaminati centinaia di migliaia di affidavit e di documenti, furono interrogati gli imputati in contradditorio, piu' di mille persone furono coinvolte nell'organizzazione e svolgimento del processo. E' bellissima la fotografia della sala delle stenografe, tutta coperta di fogli.
Dopo gli interrogatori e alla fine del processo, con la chiarezza e la semplicita' che contraddistingue gli avvocati anglosassoni, il procuratore capo Robert Jackson, al momento della richiesta delle condanne, riassunse la struttura del Terzo Reich secondo quanto aveva sentito dagli imputati, sintetizzo: il numero due del partito non era a conoscenza dell'esistenza di un piano di sterminio e della sua messa in atto, pur avendo firmato almeno venti provedimenti in merito; il Ministro dell'Interno del governo Hitler, pur avendo promulgato le leggi razziali non le aveva lette; il Segretario del partito nazista svolgeva funzioni di postino, trasmettendo comunicazioni che non leggeva; il Plenipotenziario del programma di sfruttamento del lavoro dei prigionieri pensava che li mandassero a lavorare in fabbriche come operai qualunque.
Un Terzo Reich gestito da idioti, stando alle testimonianze degli imputati, la cosa era evidentemente senza senso e dodici imputati furono condannati a morte, tre all'ergastolo, altri a pene minori, le organizzazioni riconosciute come criminali, fondando i presupposti per i processi successivi. Non si era ancora giunti ai processi alle seconde linee, quelli che scelsero la linea di difesa "obbedivo a ordini superiori", in questo caso erano i capi, non obbedivano agli ordini di nessuno se non di Hitler, finsero di non sapere, vigliacchi fino alla fine.
Un imputato interessante, che rappresentava la categoria degli industriali che trassero enormi profitti grazie al nazismo: Gustav Krupp von Bohlen und Halbach, industrie pesanti Krupp, metallurgia e cannoni, rimanda direttamente a Luchino Visconti e a fatti italiani piu' recenti. Non fu giudicato per ragioni di salute, il figlio fu condannato a dodici anni e al sequestro di tutti i beni, il fatto mi fa pensare, ancora.
Non tutto ando' come avrebbe dovuto, il suicidio di Göring in carcere per esempio, alcuni aspetti sostanziali sono ancora in discussione oggi, non potrebbe essere diversamente, data la portata e le conseguenze del processo; nonostante tutto cio', sono contento di essere qui, oggi.

diciannove

Questo non è delirio.
Oggi la giornata e' interamente dedicata al primo motivo per cui sono venuto a Norimberga: Reichsparteitagsgelände. La parola iper-multisillabica indica una zona a sud-est di Norimberga che venne utilizzata dal partito nazista per i propri raduni dal 1927 al 1938.
A questo punto, la premessina storica e' d'obbligo, avendo io seguito attentamente per quattro ore le didascalie del Dokumentationszentrum, posso offrire una sintesi minima.
La scelta di Norimberga aveva motivi di ordine pratico, la Franconia era un feudo nazionalsocialista e gli amministratori locali guardavano con simpatia all'ascesa del partito, disinteressandosi del divieto imposto a Hitler di parlare in pubblico e della sua condanna a seguito del putsch di Monaco; inoltre, sfilare a Norimberga suggeriva una certa continuita' con il Sacro Romano Impero, il primo Reich, che riuniva qui le sue Diete e aveva nel castello della citta', costruito da Barbarossa, la sede amministrativa e giuridica dell'Impero.
Gia' nel 1927 e nel 1929 le SS organizzarono due raduni a Norimberga in una zona chiamata Luitpoldhain, una grande arena in cui Hitler mise in scena il culto dei martiri caduti a Monaco e il culto della propria personalita'. Fu sostenuto da un giornale locale, Der Stürmer, dai toni violenti e antisemiti, e dal capo della polizia locale. Dal 1933 i raduni diventarono annuali e dal 1934, anno in cui - con la morte di Hindenburg - Hitler assunse le tre cariche piu' importanti (presidente, cancelliere e capo del partito di stato), fu affidato a Speer un progetto faraonico per la costruzione di una struttura complessiva capace di contenere i raduni oceanici del partito nazista.
"Il trionfo della volonta'" di Leni Riefenstahl, film girato durante il raduno del 1934, trasmette esattamente cio' per cui era stato progettato il Reichsparteitagsgelände.
Ora, cio' che ho visto io, il resto e' reperibile facilmente.
L'area e' immensa, mi ci e' voluta una giornata intera per girarla quasi tutta o, meglio, cio' che ne resta. L'area dei primi raduni, Luitpoldhain, non esiste piu', fu bombardata e poi distrutta, oggi resta solo il memoriale ai caduti ma si intuiscono perfettamente le dimensioni dell'arena e della sala congressi.
L'area piu' grande, adibita ai raduni successivi, non fu mai ultimata a causa dell'inizio della guerra e delle dimensioni abnormi del progetto. Oggi e' visibile la nuova sala Congressi, alta solo 39 metri perche' ne furono costruiti solo i primi quattro piani e che richiama evidentemente il colosseo, nella quale tutto era funzionale a rivolgere lo sguardo dei presenti verso il palco, ovviamente occupato dal Führer. Oltre il lago, l'unica costruzione che fu realmente ultimata, lo Zeppelinfeld che, si intuisce dal nome, poteva fungere da campo di atterraggio per i dirigibili e per grandi raduni, avendo un grande palco e spalti tutt'attorno, sul modello dell'altare di Pergamo. A fianco dello Zeppelinfeld, uno stadio da quarantamila posti che doveva servire a ospitare la gioventu' hitleriana. Oltre a questi, l'impressionante Große Straße, un viale largo sessanta metri e lungo piu' di due chilometri circondato da spalti, utilizzato per le parate, perfettamente orientato in modo che da un'estremita' si veda come sfondo il castello imperiale. In fondo alla Große Straße, il Märzfeld, il campo di Marte, gigantesco, con la stessa identica funzione che hanno da sempre i campi di Marte e, ancora piu' in la', un enorme campo con baracche in legno che ospitava i partecipanti ai raduni, a volte piu' di mezzo milione. Fin qui quello che fu costruito, oltre ovviamente a una serie di strutture, stazione ferroviaria, centrali elettriche, caserme etc., che servivano per la mastodontica organizzazione. Il progetto di Speer prevedeva la costruzione, inoltre, del Deutsches Stadion, un mostro da quattrocentomila posti piu' uno sul palco, la cui costruzione fu interrotta; per dare un'idea delle dimensioni, lo scavo per le fondamenta oggi contiene un lago piuttosto grosso. A sinistra una foto del plastico del progetto.
Oggi la Große Straße e' una strada percorsa dalle auto in otto delle venti corsie, con ancora gli spalti a lato, lo stadio e' utilizzato dal Norimberga FC, il Märzfeld e' un bosco in cui si intravede solo qualche fondamenta qua e la', lo Zeppelinfeld e' utilizzato come impianto sportivo, pur rimanendo sostanzialmente intatto, nella sala Congressi suona la filarmonica di Norimberga e un'ala contiene il Dokumentationszentrum, il campo di baracche per i partecipanti ai raduni e' oggi un quartiere di Norimberga.
Nonostante questo, voglio dire le trasformazioni, assicuro che l'effetto e' ancora oggi pazzesco, le dimensioni del complesso sono impressionanti, le dimensioni stesse delle strutture sono difficilmente immaginabili, percorrere la Große Straße, ci ho messo diciannove minuti da capo a capo, da' un senso di straniamento, dovuto al senso di diminuzione personale e di potenza collettiva.
E qui si pone la domanda fondamentale o, almeno, la domanda piu' importante che mi sono posto io: di fronte a tutto questo, un apparato gigantesco costruito con il solo scopo di formare e accrescere il culto personale di Hitler e collettivo del popolo tedesco, nonche' di identificarli in maniera indissolubile, di fronte alle parate oceaniche, di fronte agli spazi sterminati, davanti a costruzioni immani sovrastanti, di fronte a fari puntati in ogni dove e verso il cielo, di fronte a cavalcate wagneriane e marce militari, di fronte a discorsi dai toni trionfalistici e celebrativi del popolo e della razza, di fronte a spiegamenti di forze senza precedenti, chi, mi domando, chi in buona fede potrebbe dire di essere in grado di distinguere perfettamente la retorica di regime dai fatti, chi - in sostanza - potrebbe dirsi del tutto immune a tutto questo?
Non dico che non si possa esserlo, gli esempi sono numerosi per fortuna, mi chiedo chi a priori possa dirsi immune, chi abbia una cosi' alta opinione di se' da sapere con certezza di non subire una qualche forma di fascinazione da manifestazioni esasperate di questo tipo (non solo nazista, ovviamente). La risposta e' una, ovviamente, nessuno puo' essere sicuro di essere immune a un tale spiegamento propagandistico, nessuno puo' chiamarsi fuori con certezza.
C'e' un ulteriore aspetto di quanto ho visto che mi pare importante e, forse, collegato con il primo: concepire uno spazio del genere, immaginandolo senza precedenti per dimensioni e struttura, e poi realizzarlo, e' la diretta conseguenza di un potere assoluto, di un potere che non ha piu' nessun contraltare e che non deve discutere di nulla con nessuno, mai. Trova forza in se' stesso.
Cio' che mi ha impressionato maggiormente e' proprio questo, l'immaginazione nazista che non conosce piu' alcun freno, il Reich che durera' mille anni, nessun nemico in grado di sostenere l'urto, uno stadio grande il doppio del piu' grande stadio mai realizzato, in barba alla statica, un Führer infallibile, la Russia sottomessa, forza lavoro, mezzi, uomini e possibilita' illimitate o, almeno, percepite come illimitate, senza mai un fondo.
Liquidare un potere che immagina se' stesso senza limiti come pura follia, smania di grandezza, ossessione patologica di uno o piu' pazzi, e' secondo me il modo peggiore di comprendere il nazionasocialismo, e' una semplificazione che non porta alcunche' al ragionamento e all'approfondimento del fenomeno, probabilmente e' anche un pessimo modo di contrastare e combattere il nazismo.
Questo e' cio' che ho pensato in questa giornata. Hitler, Speer, Goebbels, Riefenstahl e cosi' via non furono menti raffinatissime che concepirono tutti i dettagli di un piano infernale, furono, piuttosto, i punti nevralgici di comando di una struttura che pensava se' stessa come infinita per spazio, tempo e luogo, capace di mettere in moto cio' che finora nessuno era stato in grado di mettere in moto.
Pensare a se' stessi senza limiti e' una cosa che nessuno di noi e' abituato a fare e che nessuno fa, io per primo immagino di fare cose alla mia portata e non mi spingo oltre. Se, per educazione o influenza, fossi in grado di allargare spaventosamente la percezione delle mie possibilita', vedrei il mondo piu' accessibile e malleabile e mi comporterei di conseguenza. Lo possiederei.
Per fare un esempio stupido, Riefenstahl fece i film che fece non perche' fosse particolarmente capace o avesse sviluppato chissa' quali riflessioni teorico-tecniche su nuovi modi di fare cinematografia, bensi' perche' per la prima volta nella storia ebbe a sua disposizione i migliori cameramen d'Europa, troupes costituite da migliaia di uomini, fondi illimitati e possibilita' di accesso a qualunque struttura. Speer non fu la mente raffinatissima che congegno' tutto l'apparato scenografico del Reich in modo univoco e geniale, cosi' da conquistare consenso in modo quasi subliminale e magnetico (non che fosse cretino, sia chiaro), fu piu' che altro uno dei pochissimi architetti della storia che poterono progettare sulla carta senza avere alcun limite di immaginazione, anzi, il gigantismo era condizione richiesta e necessaria. Aveva, letteralmente, carta bianca, come non succedeva, forse, dai tempi dei faraoni.
Forse, e' una possibile chiave di comprensione.
Ho finito, vostro onore, e mi scuso per la psicologia da supermarket sparnegata qua e la', sia clemente.

diciotto

La più tedesca tra le città tedesche.
Decido di liberare Praga dalla mia presenza, sia per ragioni di ordine pratico, devo muovermi verso mete lontane, sia perche' odio le persone che si fanno le fotografie facendo con le dita il segno della vittoria. A meno che non si sia Churchill, e' un gesto che non capisco e che disapprovo. Ed essendo Praga il secondo centro mondiale di fotografati con dita a segno di V, fuggo.
A proposito di Churchill, continuo a divertirmi parecchio passando in piazza Winston Churchill che, grazie al genitivo della lingua boema e delle lingue slave in generale, alle consonanti palatalizzate in fondo e al fatto di essere un soggetto animato, diventa altresi' in boemo Namesti Winstona Churchilla. Mi fa pensare all'italianizzazione fascista dei nomi stranieri da un lato e dall'altro me lo immagino con il sigaro, grande e grosso, che diventa Churchilla. Eh, lo so, ho quattordici anni appena compiuti, lo so.
Comunque, essendo in partenza, mi si pone l'ardua scelta tra i treni F454 "Franz Kafka", F452 "Jan Hus" e F456 "Albert Einstein" (spiegazione: quest'ultimo visse parecchio a Praga, giocando molto a scacchi, pare). Opto per Kafka, sia per ragioni affettive che, molto secondariamente, per ragioni di orario di partenza. Ed ecco, ancora una volta, un mio tratto idiota che ricompare: agire e compiere scelte sotto spinte poco razionali per poi accorgermi che se ci avessi pensato un attimo sarebbe stato meglio.
Molto meglio.
Infatti, scelgo Kafka da una macchinetta automatica per biglietti della quale non capisco un accidenti e mi trovo nella seguente situazione: dopo due ore e un minuto di viaggio, devo scendere per cambiare treno a Kozolupy, con un fantastico minuto, uno!, per scendere dal primo e salire sul secondo; ci riesco, salgo su un localone terribile e ventidue minuti dopo devo scendere a Stříbro per, ancora in un minuto, stronzi, mica sono Flash Gordon!, prendere un altro locale per Cheb, che arriva dopo diciassette minuti. A Cheb ho una larga pausa di dieci minuti e riesco tranquillamente a prendere l'ennesimo localone in direzione Marktredwitz, un controllore ceco controlla i documenti alla frontiera (e qui l'ironia si fa facile), arrivo dopo mezz'ora; nuovo cambio, altro locale, un'ora e piu' e sono a Norimberga.
Totale: 357 chilometri, sei ore e un minuto, cinque treni di cui quattro ultralocali. Alla stazione di Norimberga guardo il tabellone e mi rendo conto che sta arrivando da Praga l'F452 "Jan Hus", che e' un bel diretto. Complimenti a me, ottima scelta, molto bravo, continua cosi'.
Un breve aspetto folkloristico del viaggio: piove a dirotto, ne consegue che le persone, me compreso, che riempiono all'inverosimile ogni treno che ho preso, sanno di acqua di Gange mista a formaggio scoreggione; sommato al fatto che e' previsto dai regolamenti delle ferrovie ceche, nonche' mi pare sia obbligatorio, togliersi le scarpe appena saliti in carrozza, grazie ai miei cinque nuovi amici di scompartimento e' gia' molto che io sia riuscito a scendere dal treno, narcotizzato ma vivo.
Ci sono due motivi per cui sono venuto a Norimberga, di cui parlero' piu' avanti, a fatti acquisiti. Per ora, visito Norimberga, la citta' dell'Impero in cui aveva sede la Dieta, la citta' di Dürer (come da testimonianza tombarola a lato), medievale e rinascimentale, appoggiata su una collina rocciosa e divisa da un fiume, e' davvero bellissima. Fu anche la citta' prediletta dal Führer, la piu' tedesca tra le citta' tedesche, ma questo fa parte dei due motivi per cui sono qui. La citta' e' per la maggior parte ricostruita e intarsiata di edifici moderni, causa bombardamenti immani, ma e' davvero molto affascinante.
E' anche, mi accorgo, la citta' dei buffi musei che non vedro', vado a esporli in un crescendo rossiniano: il museo del giocattolo, il museo dell'ospedale, il museo dei vigili del fuoco, il museo delle comunicazioni nel museo dei trasporti (testuale), il museo degli orologi, il museo della guarnigione, il museo dei cappelli, il museo della croce rossa, il museo della cultura industriale, il museo della fabbrica bavarese di metalli, il museo dei bicchieri per birra di frumento, il museo dei vecchi tram, il museo dei pergolati (eccolo, malfidati, non mento mai), il museo dei piccioni (mi trattengo a malapena dal correre li', ben ottantamila pezzi in esposizione), il museo dei bambini (e anche qui l'ironia vien da sola), per finire con l'evanescente e un po' ingenuo museo della pace.
Visito, piuttosto, il museo nella casa di Dürer: secondo un andazzo piuttosto diffuso nei piccoli musei, l'apparecchio per l'audiovisita viene sostituito da un attore che, in costume, spiega quanto c'e' da spiegare con molto piu' pathos del necessario. E i turisti tutti li' a fare si' si' con la testa mentre pensano se devono dare la mancia o la cosa e' compresa nel prezzo del biglietto.
In questo caso, sono da solo, un'attrice impersona la moglie di Dürer e mi conduce per la casa, come se io fossi un ospite e Dürer fosse appena uscito per una birretta. Il bello e' che usa la prima persona mentre parla, io vivo qui, io faccio questo, il mio Albrecht e cosi' via. A me vien da ridere ma la tengo ed evito di dire alla fine di salutarmelo appena torna. Lei pero' e brava, ci mette davvero impegno. Poi mi capita di vedere un'autoritratto di Dürer, non l'avevo mai visto in volto (qui, per chi e' come me). Orpo, davvero una specie di cristo, un ganzo niente male, e io che lo pensavo un po' stortignaccolo, riconsidero un po' la bravura dell'attrice, facile far la moglie innamorata di uno cosi'...
Essendo nella patria del bratwurst, approdo in serata in quella che si spaccia verosimilmente come la birreria prediletta di Dürer, ove mi viene proposto un unico nonche' trino menu: 6 oppure 12 o 18 bratwurst con gli immancabili crauti e patate, birra ovvia. Non so, sei mi sembrano abbastanza, sei, ne voglio sei, costano pure poco. Me li portano e scopro che in Franconia i bratwurst sono piccoli, tipo sigarilli, e tutti attorno a me ne mangiano almeno dodici. Anche le femmine ne mangiano almeno dodici, maledizione, solo i bambini quando sono molto piccoli ne mangiano sei. Merda, ne ordino subito altri dodici per tornare in classifica e uscire dalla zona bambini, me li portano, sono salvo, nessuno mi scherzera' piu'. Io? Diciotto, che domande!
E anche un'altra birra, garson, che io sono un vero uomo, ah ah. Vita difficilissima.

Esplorazioni: che fa la Tamarova?
Solo ed esclusivamente per gettare benzina sul fuoco, entro in una caverna letteraria (Literarni kavarna), la libreria Knihkupectví Academia di Piazza San Venceslao a Praga, e aggiorno l'indice librario in merito alla Repubblica Ceca.
A differenza di Francia e Germania, mi sono auto-esentato dalla trascrizione dei nomi degli autori e dei titoli dei dieci libri piu' venduti nel paese attualmente, per non passare ore e ore della serata a trascrivere lettera per lettera come uno scimmione ubriaco con la penna, spero mi scuserete. Posso dire, in sintesi, che l'unico autore conosciuto e' Michel Houellebecq, sesto in classifica, gli altri non sono noti. Ignoti a me, chiaro, quindi ignoti punto. Nessun italiano.
Vengo, piuttosto, alla parte piu' interessante del post che, come sempre, appassiona di piu' tutti noi: autori italiani nella libreria ceca. E, per estensione, la risposta alla seguente domanda: ci vogliono bene i cechi? E ancor piu' per estensione: i cechi capiscono qualcosa di letteratura?
Non ci amano tantissimo, devo dire: due titoli diversi di Camilleri, un'assurda copia della Vita Nuova di Dante (sic!, qualcuno da qualche parte avra' fatto un corso monografico, immagino), Se non ora, quando? di Primo Levi e sei-dico-sei titoli differenti del sempre presente Umberto Eco, compreso Foucaltovo Kyvadlo.
E qui finisce la raccolta degli autori italiani. O no?
Ecco, di nuovo, la domanda impellente: ce l'hanno la Tamaro?
(attimo di suspans...)
E si' che c'e', con Udatny michele a kamaradka led anche stavolta non ci delude e si piazza anche in Repubblica Ceca, per loro cu... fortuna.
Un titolo solo, purtroppo, non saprei definire il corrispondente romanzo italiano.
A questo punto, direi che si puo' chiamare l'Economist e suggerire loro di sostituire l'indice Big Mac con l'indice Tamaro, per stabilire l'effettivo potere di acquisto di un paese. Immagino esistano ancora paesi senza Mc Donald ma non posso proprio immaginare, a questo punto, paesi che non abbiano almeno una copia tradotta di un libro della Tamaro. Non posso, non posso, ho davvero tanto bisogno di certezze.
(a latere: va a finire che l'unico elemento costante di tutto il mio viaggio potrebbe diventare la presenza della Tamaro, il che assume una prospettiva lievemente inquietante).

diciassette

Viaggi last minute.
Nell'ambito di un'esplorazione a tutto tondo, approfondisco le offerte last minute dell'agenzia di viaggi in Revoluční, 12 - Praha 1 per un gioioso ed economico soggiorno in Italia dal 24/5 al 31/5.
Una settimana in appartamento, volo escluso, costo minimo 800 e massimo 1200 soldi (32/48 euri) al giorno/persona, per le seguenti destinazioni (trascrivo fedelmente): Bibione, Rosolina Mare, Marcelli di Numana, Gargano, Kalabrie.
E' l'occasione per imparare qualcosa: Rosolina Mare appare essere un luogo turistico in provincia di Rovigo, Marcelli di Numana probabilmente e' in provincia di Ancona, Bibione, la perla dell'Adriatico (mah) conta sei-dico-sei milioni di turisti l'anno.
Suppongo di andare a Bibione: CSA, cioe' Czech Airlines, mi propone un Praga-Benátky (che sarebbe Venezia) nelle date richieste a 6.067 soldi, il che significa 240 euri soldo piu' soldo meno. Sommati ai 224/336 euri per l'appartamento, potrei passare una settimana al mare in Italia con 464/576 euri.
Uhm, vediamo, ho pochi indici a disposizione: una notte in albergo a quattro stelle, camera singola, in centro a Praga costa 174 euro (l'ho di fronte a me in questo momento e sono andato a chiedere, magari...), un Big Mac costa la meta' di quello che costa in Italia, un pc portatile medio costa piu' o meno 350/400 euro, una camicia di seconda mano circa otto euri, qui. Fatta la proporzione a spanne e con l'accetta, a me pare che una vacanza del genere non e' che te la tirino dietro, a occhio.

sedici

Tre test alimentari.
Oggi, ardita nonche' del tutto inutile corrispondenza di argomento alimentare:
1. L'ultrabuono.
E' Crikssimo che la mattina mi da' la carica, una supercrema di cocco, kremem kokosowym, estratta da uno shampoo parimenti al cocco, con tre strati di morbido compensato naturale estratto dagli scarti delle seggiole impagliate slovacche. E' cosi' che la mia giornata si riempie di energia, cosi' che il buonumore non mi abbandona mai e cosi' che mi mantengo anche in forma. Grazie, Crikssimo, tu sai cosa ci vuole per me. Unica controindicazione conosciuta: la mattina dopo ci si sveglia scarafaggi.
2. L'ejs italiano.
(Quanto sto per dire vale allo stesso modo per la tedeschia). Gelaterie ovunque, tutte di gelato italiano, il principe dei gelati. Devo provarlo, assolutamente, per la riuscita di questo reportage alimentare. Gelateria Venezia in Václavské náměstí. Per testare al meglio il prodotto, scelgo i gusti piu' difficili, per cui non possono ingannarmi: agrumi, arancia e limone.
Risultati del test: il gusto arancia frizza, indubitabilmente trattasi di citrosodina sapientemente mescolata a fluimucil, il che da' un sapore sbarazzino alla cosa; per avere un'idea precisa del gusto limone, andate al ristorante a mangiare pesce: alla fine, dopo aver utilizzato la salviettina umidificata al limone per pulirvi le mani, mettetela in bocca. Vuala'.
3. Tradičný.
Un piatto di carne tradizionale, la cui dicitura corretta e': "hovězí svíčková na smetaně houskovými knedlíky a brusinkami". Trattasi di un pezzo di carne di manzo bollito immerso in una salsa di funghi, accompagnato ai fianchi da fette di pane lievemente bagnato e sormontato da panna leggermente acida e composta di lamponi, per la modica cifra di 155 soldi, 6 euri. Molto molto buono, un classico imperdibile dell'accostamento dolce-salato che contraddistingue l'est tra Varsavia e Sofia. Ottimo.

L'orloj di Praga fa tic tac.
Ecco cosa succede quando l'orologio astronomico di Praga rintocca e la morte tira la cordicella, la vanita' si specchia, l'avarizia muove il sacchetto pieno di soldi e il turco agita il turbante.
E i turisti fanno i turisti.

 

 

 

 

 

quindici

A sorpresa.
Abbandono Dresda per seguire la valle dell'Elba, direzione sud-est, perche' voglio vedere il Loschwitzer Brücke, il ponte piu' famoso della citta'. La particolarita' del ponte, oltre agli aspetti tecnici, sta nel fatto che venne dipinto di verde ma, sara' l'acqua sara' l'aria sara' magia, divento' blu. Da allora, tutti lo chiamano "Blaue Wunder", la meraviglia blu, al punto che - mi dicono - in tedesco per indicare in generale qualcosa di strepitoso si dice, appunto, "blaue wunder". Attendo bacchettate.
Passata l'ora dell'almanacco del giorno dopo, vengo al punto: la segnalazione.
Risalendo la riva sinistra del fiume, prima a piedi e poi - finalmente ce l'ho fatta - con una gran chiatta che abbassa la fumarola ogni ponte che incontriamo, arrivo fino a Bad Schandau. Tutto questo per dire che la valle che ho risalito e' bellissima, davvero un posto eccezionale: il fiume Elba in mezzo, placido e largo, bello maron a essere onesti fino in fondo, e ai lati, ci stanno appena, da una parte una piccola strada, dall'altra la ferrovia. Attorno, colline ricoperte di boschi verdissimi e rossi, aceri, e qualche rupe qua e la', sembra un plastico ferroviario per esteti finissimi, rimango a bocca aperta.
Lungo la strada, piu' ci si allontana da Dresda piu' sono rarefatte, case e palazzi di villeggiatura della nobilta' dresdense (?), uno piu' bello dell'altro, con qualche castelletto qua e la' a dominare la scena. Io volevo vedere un ponte e invece mi ritrovo davanti a una meraviglia continua. La valle e' molto lunga e vale davvero un viaggio, se si e' alla ricerca di tranquillita' o di buontempo, davvero una scoperta notevole. Leggo dopo che l'Unesco mi ha preceduto anche qui, forse aveva ragione quel viaggiatore che si organizzava consultandone prima gli elenchi.
A Bad Schandau passa la ferrovia, due direzioni: Dresda o Praga, che e' al di la' delle colline, in pianura. Ovvio che salgo il predellino in direzione Děčín, Ústí nad Labem, Lovosice, Litoměřice, Roudnice nad Labem, Melník, Neratovice, Stará Boleslav, Brandýs nad Labem, Praha. Il fiume in ceco diventa l'anagramma del tedesco, Labe, io passo la terza frontiera senza che mi chiedano documenti (l'unica rimane quella tra Italia e Francia, ridicolo) e proseguo.
Seduta davanti a me una signora, va anche lei a Praga, utilizza un abbonamento ferroviario: un carnet nel quale segna a penna i suoi viaggi in treno fino al raggiungimento della quota chilometrica per cui ha pagato. Il carnet si chiama Kilometricka Banka e io un po' me la rido.

Una mappa musicale.
Difficile dire qualcosa di intelligente su Praga, piu' facile trovare qualcuno che l'abbia gia' fatto.
Io, dal basso e di lato, constato fin da subito la presenza di tre copie della Gazzetta dello Sport nell'edicola alla stazione Praha-Holesovice, il mio rilevatore dell'Indice Gazzetta e' fuori scala e lampeggia impazzito. Secondo quanto detto in precedenza sull'Indice, presenza di Gazzetta uguale presenza proporzionale di turisti molesti in gran parte italioti, cio' dovrebbe farmi desistere dalla visita alla citta': naturalmente non desisto, so cosa mi aspetta. Ho allertato i tecnici in Italia affinche' trovino un coefficiente univoco da applicare all'Indice in caso di citta' superiori al mezzo milione di abitanti. Tre copie? Defcon due. Sei copie? Defcon cinque. Detto questo, l'Indice comunque non sbaglia: turisti ovunque, accatastati in comitive bovine o bradi con scarpe da trekking, sono palline da flipper vaganti all'interno della citta' vecchia. Lo sono anche io, in effetti, contribuisco all'entropia in modo imbarazzante.
Quando mi insinuo in una citta' nuova cerco, se possibile, di non prendere mezzi pubblici, la metropolitana peggio di tutti, per il semplice fatto che camminando riesco meglio a costruirmi una specie di idea topografica della citta', pongo dei punti fermi attorno ai quali viro in continuazione, tipo boe. Quando le stazioni di arrivo, ed e' il caso di Praga, sono distanti dal centro, la disciplina del movimento a piedi e' dannatamente piu' faticosa ma molto piu' redditizia: infatti, si vedono i quartieri periferici o, direi, i quartieri senza attrattive particolari. Altrimenti si rischia davvero la visita all'americana, aereo-taxi-piazza-foto-piazza-taxi-aereo.
I quartieri di Praga al di fuori della citta' vecchia mi parlano di una citta' cresciuta enormemente negli anni Venti, Trenta e Cinquanta e ferma da allora, un po' scassata, in cui tenere i ritmi economici del centro e' piu' difficile, piu' Repubblica Ceca che Praga centro. Infatti, se il PIL pro capite di Praga e' piu' di novecentomila soldi annui, trentaseimila euro, dubito che qui si percepisca.
Per certi versi, siccome vengo dalla Germania avverto piu' forte il contrasto, in quanto a immobilita' pare un poco l'Italia: si vede che ci si arrangia, strategie di sviluppo o pianificazioni urbane non danno segno di se', le periferie sono lasciate a se' stesse e non importa se la tangenziale ti passa tra lavello e salottino tv, i parchi pubblici non esistono o sono inutilizzabili, nessuna struttura sociale o collettiva, traffico in mano alla libera inventiva personale.
Diverso il discorso per il centro di Praga: a prescindere dalla bellezza intrinseca, indiscutibile, la citta' e' prospera, ormai quasi del tutto europea per tenore, finiture, design, prodotti e, ci siamo quasi, prezzi. Una banana o una schnitzel costano meno che da noi, una stanza uguale, un'ora di internet cento soldi (quattro euri), la birra costa niente. Vabbe', pare sia il surrogato del latte in eta' adulta.
L'aspetto interessante della citta' e' poterla attraversare in molti modi, tracciando dei fili logici diversi a seconda di cio' che si cerca: il liberty, i luoghi dell'Impero, la decadenza asburgica per i nostalgici, il teatro contemporaneo, Kafka, Ian Palach, il Golem e le sinagoghe, le boutiques e i negozi di ninnoli, il cristallo di Boemia e cosi' via. La restituzione e' un'altra faccenda, del tutto personale.
Tuttavia, in mezzo a questo irresistibile affanno di meraviglie e scemenze, due cose mi hanno incuriosito. La prima e' la presenza costante di troupes cinematografiche, in media ne incrocio una ogni quattro ore: ovvio, costa meno e offre scenografie perfette per film in costume, piuttosto che quel fascino europeo uanderful che sempre funziona nelle imbecillate americane. Tutte le volte che vedete Londra medievale in un film, e' Praga. Tutte le volte che vedete Praga medievale in un film, e' Cracovia.
La seconda cosa, migliore della prima, visto che mi ha trascinato come il pifferaio di Hamelin, e' la presenza della musica in ogni dove, musica di ogni tipo e a ogni ora. Per esempio, all'ufficio vendita biglietti ho contato piu' di trenta concerti di musica classica in programma questa sera, tra chiese, teatri, opera e varia. Poi si sente per strada, suonata sul selciato o uscire dalle finestre o dai negozi, e' come avere in testa una radiolina che continua a cambiare stazione. La cosa, ovviamente, mi manda in solluchero, sono estasiato, mai vista una citta' cosi' musicale. Anzi, mai sentita.
E cosi' ho cominciato a farmi una mappa musicale per un po' di tempo, questo pomeriggio, segnandomi tutto quello che mi capitava di ascoltare, per vedere l'effetto che fa.
Ve la propongo:
- ore 16.30: inizio della mappa, in mezzo al Karluv most la Prague Syncopated Orchestra sta suonando classici dello swing, tipo Ellington e Basie;
- ore 16.36: al Rudolfinum fanno le prove per il concerto di stasera, suonano Dvořák, e la musica esce dalle finestre;
- ore 16.42: alla sinagoga Staronová suonano Gershwin, Porgy and Bess, entro;
- ore 17.01: la prima bancarella all'uscita della sinagoga spara a tutto volume musica klezmer;
- ore 17.02: la seconda Bob Marley;
- ore 17.09: entro nell'ufficio postale in Kaprova, devo spedire un pacchetto, e diffondono allegri musica classica, mi pare un quartetto d'archi, non so cosa suonino;
- ore 17.26: nella chiesa hussita Sv. Mikulase in Franz Kafky si sta svolgendo un concerto per organo e mezzosoprano, il programma prevede la Choral Ouverture di Bach e il Domine Deus di Vivaldi;
- ore 18.15: il caffe' Italia, nella piazza principale, spara Love of my life dei Queen, via;
- ore 18.18: in via Zelezna un trio, due violini e una voce, suona musiche di Bedřich Smetana, compositore ceco (c'e' scritto, altrimenti col cavolo);
- ore 18.26: appoggiato a un muro del Karolinum, un violinista thailandese/vietnamita/filippino suona (euf.) Que Sera, Sera Whatever Will Be, Will Be, contando piu' sull'effetto comico o epilettico che sulla classe non cristallina (vorrei avere una cinepresa);
- ore 18.39: al Stavovské divadlo, il Teatro degli Stati Generali, diffondono dagli altoparlanti il Don Giovanni di Mozart a tutte le ore, perche' fu rappresentato qui per la prima volta, appena ultimato a Praga;
- ore 18.50: piove a dirotto, entro nel Fellows Bar di Senovazna, sparano a tutto volume dance ceca, tutti belli in movimento e io un po' affranto (ho sbagliato bar);
- ore 19.35: smette di piovere a carrettate, grazie 'ignore, in Námestí Republicky la filarmonica di Brno sta scaricando gli strumenti dal pullmann e un trombettista suona a suo piacimento sul marciapiede;
- ore 19.50: il telefonino della ragazza che gestisce l'internet point da cui sto scrivendo suona i Beatles, nemmeno troppo male.
Dopo tre ore di musica senza andarla a cercare, termino la mia registrazione, mi pare ne venga fuori una buona mappa musicale. Irripetibile e non utilizzabile, ovviamente, spero renda un minimo l'atmosfera.

quattordici

Signora, lei non legge il b.site...
Uno dei luoghi imprescindibili di Dresda e' la Gemäldegalerie Alte Meister, la galleria che raccoglie la collezione di quadri dei duchi di Sassonia. Non posso esimermi e prontamente vado.
E' uno di quei musei che richiedono allenamento, resistenza, fiato, buone gambe, vista sopraffina per leggere le targhette fino a due metri di altezza, senso di orientamento infallibile, capacita' di sopravvivere in condizioni estreme, visita stimata in tre/quattro ore senza integratori alimentari, probabile interazione continua con comitive assatanate. E cosi' e'.
Il pezzo piu' pregiato della Galleria e' la Madonna sistina di Raffaello, celebrata da tutti i poeti tedeschi di Sette e Ottocento, chiamata semplicemente "La Madonna". E' detta sistina perche' fu dipinta per la chiesa di San Sisto a Piacenza. La cosa assurda di questo quadro e' che l'orbe terracqueo ne conosce la parte inferiore, quella con i due puttini alla balconata e praticamente nessuno, rari, lo hanno mai visto intero.
Riporto comoda immagine a lato, per spiegare.
A questo punto avviene la prima delle mie due interazioni con signore italiane. La prima signora, accento lombardo bello grosso, si illumina di incanto, si stranisce, si avvicina al quadro e fa agli astanti: "ma e' quella di Fiorucci", sottintende la madonna ma parla dei putti. Certo, signora, proprio quella, in fin dei conti sa come sono gli artisti, che un po' si copiano tutti tra di loro, no? Fotografo mentalmente la signora per poi frantumarle, accidentalmente, un femore all'uscita. Fotografo anche tre suoi amici che fanno: "e' vero, e' vero", devo ricordarmeli.
Seconda interazione con signora italiana, stavolta emiliana, mi sembra. La seconda e' molto ma molto piu' sveglia della prima, penso che non le rompero' il femore. Si e' infatti accorta che i quadri di autori italiani sono la grande maggioranza della collezione e sono tutti di nomi strepitosi tra Trecento e Seicento, nomi importanti del centro-nord (a eccezione di uno strepitoso San Sebastiano di Antonello da Messina), e non riesce a spiegarsi come tutti quei capolavori siano finiti li'. Interagisco.
Signora, lei non mi legge il bsite, altrimenti lo saprebbe. Centodieci quadri facevano parte della collezione dei Gonzaga e furono acquistati in blocco dai duchi di Sassonia nella prima meta' del Seicento per un paio di piatti di lenticchie, svendita per cessazione di attivita'. La signora mi guarda come se la stessi gabbando, "E perche'?" mi chiede. Beh, difficolta' finanziarie enormi, immagini che la dinastia dei Gonzaga si esauri' poco tempo dopo.
Lei resta meditabonda, mi guarda, la guardo facendo si' col capino, lei si guarda attorno e fa: "Beh, non dovevamo darglieli". Dovevamo. La signora dev'essere una Gonzaga residua, si spiegherebbe anche l'accento. Oppure e' una potenziale ultras che non ha mai trovato il vero scopo nella vita. Allargo le braccia e sorrido rassegnato, signora se ne faccia una ragione, certe volte le cose non vanno come vorremmo. Me ne vado, sperando segretamente che la signora vada al consolato e metta in piedi un bel bordello per ottenere la restituzione dei nostri quadri, questo si' renderebbe la giornata davvero spassosa. Ho il sospetto che non lo fara'. L'amaro sapore dell'ingiustizia.

Non chiudete quella porta.
Oggi sono rimasto chiuso dentro il cimitero ebraico di Dresda, come un mona.
Avevo visto il cancello aperto quel tanto per cui riuscivo a far passare la testa. Dove passa la testa passa anche il resto, zaino compreso, e sono entrato. Son furbaccino, se vedo una porta aperta, entro. Faccio il mio giro, il sole filtra attraverso le piante, e' un bel cimitero, ordinato, per nulla simile a quello di Praga. Quando mi decido a uscire, trovo il cancello chiuso. Un complotto pluto-demo-giudaico internazionale ordito nei miei confronti, non c'e' dubbio. Mentre mi sto decidendo sul da farsi, scavalcare o aspettare, si forma un gruppetto, cinque o sei, di germanici al di la' del cancello, che osserva la mia situazione. Sono sinceramente preoccupati, uno mi spiega che la chiave ce l'ha l'antiquario all'angolo della strada e mi dice che va a vedere. Io scavalcherei il muro ma non vorrei offendere nessuno con un gesto poco consono al luogo, allora aspetto. Dopo un quarto d'ora, il germanico torna e comunica che l'antiquario e' a pranzo, bisogna aspettare. Io ringrazio e mi accingo a scavalcare, getto lo zaino al di la' del muro di cinta. Un germanico, sorpreso, mi dice "It's forbidden" con tono preoccupato. Eh, ho capito, allora vieni dentro tu e io da fuori ti dico che e' proibito; scavalco lo stesso e con gesto atletico da olimpiade dei disabili sono fuori. Il germanico mi guarda come se avessi appena sparato ad Angela Merkel sotto i suoi occhi. Saluto in fretta e mi dileguo, vado da Pfund, qui dietro, a vedere la latteria piu' bella del mondo.
Che avventurona, ragassi, mi ci vuole un bel bicchierone di latte per riprendermi.

(variante plausibile)
Appena giunsi a Dresda, ebbi l'incarico di incontrare il Rabbino Almekias-Siegl a mezzodi', nel cimitero ebraico, e di recare con me l'incartamento. Varcai il cancello che ancora non era rintoccata l'ora e passeggiai tra i sepolcri, la luce del sole filtrava tra il fogliame rigoglioso e regnava un vasto silenzio. Ad un tratto, udii un grido d'oltretomba giungere alle mie spalle, il terrore raggelo' le mie membra, percepii d'improvviso una morsa gelida che mi immobilizzava, una stretta sovrumana, non poteva appartenere a un essere di questa terra. Fui preda del terrore, mi voltai e vidi alle mie spalle la creatura, il Golem, sorta dalle viscere della terra per ghermirmi con se'. Non ebbi il coraggio ne' l'ardire di osare avvicinarmi per tracciare il segno met sulla fronte della creatura, cosi' come insegna il Sefer Yezirah. Ebbi, in uno spasmo supremo, la forza di divincolarmi dalla stretta della creatura e mi lanciai in una cieca corsa in direzione della cancellata del cimitero. La trovai bloccata, serrata da forze misteriose, provai con disperazione a tirarne i battenti ma non potei nulla. Non osavo volgere lo sguardo, immobilizzato come il coniglio dinanzi all'affamata belva. Con gesto disperato, mi risolsi a gettare l'incartamento al di la' del muro di cinta, udivo i lenti passi inesorabili del Golem giungere da piu' presso. In un ultimo, sconvolto e tremante afflato di sopravvivenza, riuscii a sollevarmi oltre il culmine del muro e a lasciarmi cadere al di la' del recinto, con le membra rotte, la camicia lacera e in bocca il sapore del mio stesso sangue. Non ebbi il tempo di riprendermi, raccolsi le carte e fuggii con quanto fiato avevo in corpo. Ero salvo, dunque, ma a quale prezzo? La creatura, ahime, era tornata per portare devastazione e terrore nel nostro mondo.

Esplorazioni: buches.
Indosso il vestitino della fatina corrispondente dall'estero e, di nuovo, vi tengo aggiornati sulla situazione libraria. Dopo la Francia, la Germania: sono ancora a Dresda, la libreria e' la Haus des Buches di Külz-Ring. Cosa leggono i germanici quando non sono intenti a farsi brutalmente di bratwurst e di enormi qualcosa-kuches? Ecco le risposte.
Il libro piu' letto della settimana e' Paul und Ich di W. Glatzeder, seguito da Ken Follett con Die Tore der Welt e, terzo posto, J. Littell che ha scritto Die Wohlgesinnten. Uhm, proseguo ma vagolo nell'ignoto: quarto si piazza un certo P. Sodann con Keine halben Sachen, quinto A. Franz con il romanzo Spiel der Teufel e, sesto, M. Beyer con il suo Kaltenburg. Al settimo, di nuovo Stieg Larsson, che il 9 maggio ho appreso essere una brava persona, con Vergebung, seguito a ruota da P. Durst-Benning che ha scritto Das Blumenorakel, e nono arriva I. Falcones, Die Katedrale des Meeres. Ultimo della decina, R. Gunther con Der Dieb von Dresden. Mah...
E fin qui, i loro. I nostri, ora.
Premessa indispensabile: la libreria e' molto molto grande, gli scaffali dei tascabili sono quindici e li ho scorsi tutti, eroe, dall'inizio alla fine, non essendo prevista una sezione italiana. E ci credo che non ci sia, facciamo una figura barbina e magra con la nostra letteratura, al punto che posso cadaunarvi libro per libro i testi presenti.
Sono dunque lieto di introdurre l'appassionante "Inventario completo dei testi di autori italiani presenti nella piu' grande libreria di Dresda":
- un'improbabile copia, una, delle Lettere di Pietro Aretino;
- ben tre copie del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa;
- due copie della Divina Commedia di Dante in volume unico;
- ampia disponibilita' di testi di Umberto Eco, per un totale di cinque titoli diversi;
- tre copie di Se questo e' un uomo di Levi, di cui non si segnala altro, scandalosi;
- una copia di un testo di De Carlo;
- quattro titoli differenti di Tabucchi, che riscuote successo sia tra i franzosi che i germanici, per un totale di cinque copie;
- due titoli di Baricco, due copie in totale;
- una copia di un libro di tal Federica De Cesco di Pordenone, che io non conosco, forse scrive in tedesco, non pare un caso che su wikipedia italiana non ci sia e su quella tedesca si'.
Questo e' il nostro magro bottino, devo constatare che non ne usciamo molto bene. Mi stupisce l'assenza di Calvino, che di solito ha un buon successo, per dirne uno.
Beh, io andrei... vi saluto, dunque... il mio compito l'ho svolto...
Non posso, non posso, devo dirvelo, anche se fa male, ma porc...: numero otto copie di Geh, wohin din Herz dich tragt, 'azzo e di nuovo 'azzo, che per chi germanico non e', suona di nuovo Va' dove ti porta il cuore. Otto copie. OTTO. E altri quattro titoli suoi, tutti almeno in duplice copia. Il che fa della Tamaro la scrittrice italiana piu' diffusa in questa libreria. E, per quanto ne so io attualmente, potrebbe anche esserlo in tutta la Germania. Beh, d'altronde impazziscono per Pausini e Albano, tutto torna...
Ma dico io, benedetti germanici, non si trova Petrarca, che so, una biografia di Sofia Loren, un libro di ricette di Suor Germana, Leopardi, il secondo Fantozzi, tutti libri imperdibili, e c'e', invece, la cornucopia della Tamaro, non capisco. E si' che dovrebbero essere lettori piuttosto avveduti, qui in cruccolandia. Fatti inspiegabili. Vado a bere tanta birra alla faccia della Tamaro, aufidersen.

tredici

La storia con i se e con i ma.
Se la notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945 fosse stata una notte tranquilla, oggi Dresda sarebbe una tra le citta' piu' belle della Germania, forse la piu' bella. Perche' sorge sull'Elba in un punto bellissimo della valle, perche' qui avevano residenza i Duchi di Sassonia, principi elettori, che si tramandavano il titolo di "Augusto" di padre in figlio, da Ernesto Augusto a Carlo Augusto a Federico Augusto di acquisizione in acquisizione. E qui erano ricchi per davvero: se alla corte di Berlino, quando era di grassa, mangiavano patate e cavolo, qui avevano i meloni e si inventavano la porcellana. Canaletto, uno che di citta' se ne intendeva, venne qui da Venezia per viverci vent'anni e fotografo' la citta' in lungo e in largo.
Barocca e splendida, Dresda fu al culmine nel XVIII e XIX secolo, aveva terrazze sul fiume, fontane, la migliore Opera per acustica che si fosse vista fino ad allora, scuderie, cattedrali, chiese e palazzi sontuosi, edifici costruiti solo per ospitare le collezioni di porcellane, nonche' una tra le piu' grandi raccolte di opere d'arte del mondo.
Ma la notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945 non fu una notte tranquilla. E il giorno dopo pure.
La RAF e la US Air Force sganciarono migliaia di tonnellate di bombe sulla citta', radendola al suolo, cancellando l'intero centro storico, il termine piu' appropriato e' coventrizzandola. Bombe al fosforo, di quelle che bruciano le persone, come a Fallujah. La citta' brucio' per una settimana intera. Gli americani la bombardarono di nuovo in marzo e in aprile, non erano contenti. Nessuno, ancora oggi, sa quanti siano stati i morti: le cifre ufficiali dicono 35.000, alcune stime parlano di 130.000, il che renderebbe la cosa pari o peggiore di Hiroshima. Nessuno e' in grado di valutare l'entita' del massacro, se i corpi bruciano e' difficile contarli.
Dresda era stata dichiarata "zona demilitarizzata", nessun obbiettivo strategico o militare, infatti piu' di duecentomila rifugiati erano accorsi in citta' da tutta la Germania per mettersi al sicuro. Nessuna giustificazione, nessuno scopo, nessun significato. C'e' un romanzo che racconta il bombardamento di Dresda, Mattatoio n°5, essendo pero' un romanzo di Vonnegut parla anche di tutt'altro, compresi alieni, visioni mescolate di passato e futuro, eventi immaginari, il che rende difficile la comprensione del fatto storico in se'.
Oggi la citta' e' disarticolata, alcuni edifici sono stati ricostruiti com'erano, altri sono stati costruiti ex novo accanto ai primi, alcune piazze sono state spostate, ridotte o allargate, i ponti non sono in linea con le strade, tra gli edifici permangono spazi vuoti, prati, che sarebbero inspiegabili altrimenti.
E' facile, pero', capire cosa sia rimasto in piedi di allora e cosa sia stato ricostruito. La citta' era costruita interamente in arenaria gialla, la stessa che e' utilizzata largamente anche da noi, penso a Padova, per esempio. Diversamente, qui la pietra non si corrode o consuma, forse e' piu' dura, forse c'e' meno inquinamento, non so. Comunque, questo tipo di arenaria utilizzato a Dresda dopo alcuni decenni annerisce, diventa molto scura, quasi del colore del basalto. Gli edifici rimasti in piedi, dunque, sono neri, gli edifici ricostruiti sono gialli. La Frauenkirche, per esempio, e' stata per sessant'anni il simbolo della distruzione di Dresda: uno smozzico della chiesa rimase in piedi, emergendo dalle rovine della cupola e di tutto l'edificio. La DDR decise di tenerla cosi', a testimonianza. L'hanno ricostruita da poco, tre anni, e la parte originale e' nera, il resto giallo con qua e la' delle pietre nere, significativamente i pezzi recuperati. Un puzzle. La ricostruzione di parte della citta' avvenne anche grazie ai quadri di Canaletto, che la dipinse con rigore ossessivo. Per fortuna, insieme agli edifici non hanno ricostruito anche le damine settecentesche che passeggiano in Neumarkt...
Tra qualche settimana a Dresda ci saranno le elezioni, sono in lizza una signora che si presenta come "la mamma sindaco", ci manca, e un altro tizio che si fa fotografare sui manifesti mentre insegna a suonare il violino a una bambina. Lotta dura sui programmi, come si vede. Comunque, la citta' e' un cantiere ed entrambi i candidati puntano sulla ricostruzione per farne "un'altra capitale della Germania", sull'onda della ricostruzione di Berlino. Quindi, stanno scavando come matti, per gettare fondamenta e fare parcheggi interrati.
La cosa stupefacente e, insieme, agghiacciante, e' che riemergono le fondamenta della citta' intera, le cantine, i pavimenti, gli archi, le soglie delle porte, perfettamente conservati e frettolosamente sepolti nel dopoguerra per ricominciare a vivere.
Non so cosa ne faranno, probabilmente rimuoveranno gran parte della vecchia citta' rimasta sotto terra, mi pare evidente che qui nessuno abbia grande voglia di ricordare il disastro: per fare un esempio, e' diventato difficile trovare una cartolina o una fotografia della Frauenkirche in macerie, era il simbolo di Dresda, ora e' piu' importante, collettivamente, averla ricostruita.
Nel 2005 gli inglesi regalarono agli abitanti di Dresda una croce d'oro massiccio da porre in cima alla nuova Frauenkirche, come simbolo di riconciliazione. Bella mossa, e' come bruciare la casa a uno e poi regalargli una gondola illuminata da mettere sopra il televisore. Oh, e' il modello da diciottomila lire, mica quello economico. Grazie.

Un club di cui farai parte.
Questa mattina gnaolavo e sbirignavo in treno, l'ora era presta, guardando lentamente fuori dal finestrino, contento di avere tante cose da guardare, quando un signore, il signor Lautier, si e' seduto di fronte a me e mi ha raccontato una storia, una storia di scacchi.
Si', perche' il signor Lautier si stava recando a Karlovy Vary per un torneo di scacchi e la sua storia si svolse proprio a Karlovy Vary, che allora si chiamava Karlsbad, nel 1929.
Torneo internazionale dei Grandi Maestri, c'erano Capablanca, Nimzovitch, Tartakower, insomma i migliori dei migliori. Al torneo, per la prima volta, era stata invitata anche una donna che, pur non essendo Grande Maestro, aveva battuto nel corso dell'anno i migliori scacchisti inglesi, come Alexander, Milner-Barry, Sir Thomas e il misterioso Mir Sultan Khan.
Il suo nome? Vera Menchik. Ora, gli scacchi non erano e non sono l'attivita' in cui le donne abbiano raggiunto un certo qual grado di parita', diciamo che l'ambiente resta ancora abbastanza maschile, sia per ragioni di risultati sul campo sia per ragioni di abitudine al cleb.
E cosi' era allora. Il fatto che Vera Menchik fosse stata invitata aveva abbastanza dell'incredibile, perche' le poche donne giocavano tra di loro e nessuna di esse era mai stata invitata a un torneo di Grandi Maestri.
Chiaro che qualcuno facesse dell'ironia.
E cosi', Albert Becker, Grande Maestro viennese, tra un cognac e una partita propose di istituire il club "Vera Menchik", riservato a coloro che avessero perso contro la giocatrice. Grandi risate, immagino, al bar e sui tavoli. Detto, fatto.
Ovviamente, immaginate come questa storia si concluda: il Maestro Becker fu il fondatore nonche' il primo membro del club, avendo perso alla prima partita proprio contro
Vera Menchik, tra il divertimento generale.
Poi, mi racconta in coda il signor
Lautier, arrivarono le temibili sorelle Polgár negli anni Ottanta e Novanta e, da allora, gli scacchi femminili si dividono in due ere: ante-Polgár e post-Polgár.
Grazie, signor
Lautier
, per la bella storia e buon torneo.

dodici

Jedem das Seine.
Un bosco di faggi enorme, bellissimo, una foresta, il sole filtra nel sottobosco, i prati sono gialli per i fiori, si sentono gli uccellini ovunque, forse anche un picchio, e io sono seduto lungo una ferrovia.
Una ferrovia che non esiste piu', l'hanno distrutta cinquant'anni fa, resta qualche pezzo di binario ogni tanto. Perche' questa e' la ferrovia che porta a Buchenwald.
Da ore penso che non ho voglia di scrivere nulla, nel museo del campo ho visto un quadro di un sopravvissuto, Rune Mields, un corvo sta appollaiato su un filo spinato e sotto: "Aut tace aut loquere meliora silentio".
Gia', forse sarebbe meglio tacere.
Ci penso e decido che non posso, devo raccontare di getto cio' che ho visto, anche solo per fissarlo da qualche parte, non so come, non ho le parole ne' conosco i modi, domani potrei gia' avere dimenticato. Il resto e' nei libri di storia.
Di getto, scrivo, come viene.
La ferrovia portava da Weimar a Buchenwald, otto chilometri, ferrovia costruita da prigionieri per portare prigionieri. Al campo, certo, ma anche alle fabbriche. Perche' Buchenwald non era un campo di sterminio, non come Auschwitz, almeno, ma un campo di concentramento e di lavoro, una citta' enorme con fabbriche vere e proprie, la fabbrica di armi Gustloff Werke II, dove prigionieri polacchi, russi, rumeni, italiani, francesi, tedeschi, olandesi, costruivano armi che sarebbero state usate in Polonia, Russia, Romania, Italia, Francia, Germania, Olanda. Lavoravano con le macchine e i torni Siemens e la ferrovia serviva per le materie prime e per portare via le armi finite.
Di fronte alle fabbriche, il campo. Un campo di raccolta, quasi tutti i deportati del sud Europa venivano tradotti qui, piu' di duecentocinquantamila, per lavorare e poi essere deportati in altri campi; e qui piu' di cinquantamila morirono, perche' non lo chiamavano campo di sterminio.
All'entrata del campo, la scritta "Jedem das seine", "A ciascuno il suo", vigliacchi bastardi, su un cancelletto piccolissimo in mezzo a una torre di legno. Da li', ventidue torrette con il filo elettrificato facevano il recinto, esiste ancora. Dentro, i blocchi, le baracche in cemento alte tre piani buone per cinquanta cavalli, non duemila uomini l'una.
Arrivo' nel 1937 il primo convoglio di prigionieri e l'ultimo se ne ando' nell'aprile del 1945 quando, allora, a Buchenwald erano prigioniere centodiecimila persone, guardate da 6300 SS e da 530 kapo' donne. Appena al di la' dell'entrata, lo spiazzo per l'appello quotidiano.
Sono qui, ora, immagino di essere in prima fila. Vedo vicino a me, saranno cinquanta passi, il bosco, un prato con i fiori, vedo dei sentieri che spariscono nel verde, sento gli uccelli e so che al di la' del bosco, un chilometro al massimo, potrei vedere tutta la piana di Weimar. E invece no, c'e' il filo elettrificato in mezzo, e due torrette ai lati. Comprendo come possa venire il desiderio di gettarsi sui fili ad alta tensione. E davanti a me vedo anche lo zoo, il giardino zoologico per lo svago delle famiglie delle SS, il recinto degli orsi e' a meno di dieci metri da me, oltre il filo, un altro recinto e un altro insulto.
Come si doveva sentire un prigioniero a maggio del trentasette, o del quaranta, o del quarantaquattro? Il dolore diveniva lancinante alla vista del bosco, dei fiori, del cielo azzurro al di fuori? Oppure era il tempo di qualche speranza, ancora, il tempo di essere contenti perche' si era ancora vivi? Forse nemmeno.
Il contrasto mi stordisce, ho mal di stomaco, io sono dentro al recinto di filo spinato ma vedo fuori, e' tutto li', quasi a portata di mano, vien voglia di tenderla. E so che Weimar, la Weimar della cultura e della corte dei principi e' al di la' del bosco. Tra il blocco 35 e l'edificio per la disinfestazione c'e' il tronco di una quercia, era ancora viva nel 1944, i prigionieri la chiamavano "la quercia di Goethe", sembra quella del famoso quadro in cui Goethe e' sdraiato. Sembra tutto irreale, dovrebbe essere tutto grigio, tutto spoglio, nessun colore, nessuno si dovrebbe divertire, oggi, qui, mai, nessuno dovrebbe poter fare cinquanta metri e stare in un bosco al fresco come se nulla fosse. Gia', io mi sento un idiota perche' stamattina ho preso un caffe' e mi sono preparato come se andassi a fare una passeggiata. Ma non c'e' un modo intelligente o sensibile di venire in questi posti, ho pensato poi, non si puo' essere preparati.
E' piu' facile non venirci, questo e' sicuro.
Scendo verso destra ed entro nel locale per la disinfestazione, in cui si tagliavano i capelli ai deportati, gli si estraevano i denti e li si costringeva a immergersi in una vasca di disinfettante. Era anche il luogo in cui si facevano gli esperimenti per conto della IG Farben AG, industria farmaceutica, sai quanti soldi a palate se riusciamo a trovare il vaccino contro il tifo? E ineizioni su iniezioni alle cavie, se muoiono il dosaggio e' troppo alto, basta abbassarlo un po', riproviamo.
Nel locale, vedo una raccolta di disegni di deportati, piccoli fazzoletti di carta, angoli di fogli, qualche foglio a righe passato da un amico al comando, disegnati con smozzichi di matita, da nascondere, perche' possedere carta e matita significava morte, immediatamente. E sono tanti, sfuggiti per fortuna o per amicizia complice alle SS. Josef Szajna, polacco di vent'anni, dipinse addirittura un vaso di fiori in una baracca tra due finestre, chissa' dove prese quei colori cosi' sfavillanti, e poi Boris Gontscharon, Karl Schulz, Fleming Hinsch, Herbert Sandberg, Karol Konieczny, Henri Pieck, Maria Brzecka, Paul Goyard, Nachim Bandel, Jose' Fosty, Walter Spitzer, Siegfried Tschierschky, Fritz Cremer e Boris Lurie, tutti disegnarono qualcosa che ci e' rimasto, qualcuno per portare un poco di poesia nel campo (Goyard), qualcuno perche' voleva testimoniare una giornata qualunque (Fosty), qualcuno riusciva anche a farci dell'ironia (Jakob de Ridder), spinti dalla voglia, a rischio della morte. Sono rimasti i disegni, non loro.
Piu' su il forno crematorio, premiata ditta Topf & Söhne di Erfurt, che fecero della cremazione una scienza, ottimizzarono i costi del carburante, perfezionarono il locale sottostante, lo scivolo e il montacarichi per i cadaveri, definirono le prese d'aria, fecero un sacco di soldi, costruendo forni per il Reich in tutti i campi, certo, il lavoro e' lavoro. Le ceneri venivano gettate in una fossa naturale, lo scoprirono solo nel 1965.
Ecco, un punto: il campo, liberato nel 1945, fu utilizzato dai russi fino al 1950 come campo di prigionia, arrestarono un bel po' di nazisti e regolarono qualche conto con arresti sommarii, finche' fu poi lasciato alla DDR. La Germania Est demoli' il campo nel 1952, lasciando in piedi solo l'entrata, il forno e altri due edifici. In dieci anni tutto il campo divenne foresta. Fu solo nel 1965 che si decise di farne un museo, di togliere il bosco e l'erba e riportare almeno le fondamenta degli edifici alla luce. Ecco, se non fosse per alcune foto, noi non avremmo idea di come fosse fatto davvero il campo all'interno del perimetro. E queste foto, decine, si contano in fretta, sono le foto scattate dalle SS al loro campo, di cui erano fierissimi. Foto delle SS. Non fosse per quelle foto, duecentocinquantamila persone sarebbero passate in un posto sessant'anni fa e noi non sapremmo nemmeno come.
Io, oggi, non avrei visto come erano le residenze, ville non case, dei comandanti del campo, avrei visto solo le fondamenta. E non avrei visto la falconiera per lo svago degli aguzzini, il bordello del campo, le caserme delle SS, l'edificio dei prigionieri speciali, il piccolo lager, l'infermeria, le officine, le fabbriche, i depositi e cosi' via.
La memoria, talvolta, va via in un soffio.
Ho ancora mal di stomaco, giro un po' inebetito, mi fermo davanti alla lapide dedicata a tutti i prigionieri del campo. Fu qui che l'11 aprile 1945 i sopravvissuti tedeschi, francesi, russi, olandesi, rumeni fecero il Giuramento di Buchenwald: in ogni luogo e in ogni tempo, avrebbero combattuto con tutte le proprie forze qualunque forma di nazifascismo, sempre.
Ho giurato anche io.

undici

Siamo tutti qui.
Cranach, Lutero, Bach, Wieland, Herder, Wagner, Liszt, Strauss, Nietzsche, Mann, Goethe, Schiller, Heine, Puhskin, Klee, Gropius, i principi di Turingia, forse Shakespeare, Schweitzer, sono solo alcuni, quelli che conosco io, di coloro che vissero o passarono da Weimar.
E poi la Repubblica, la fondazione del Bauhaus, tutto concentrato qui, in una cittadina che non farebbe nemmeno provincia, da noi. Sono piu' le targhe "qui visse" che le case, grosso modo.
Faccio colazione di fronte alla chiesa in cui Herder teneva appassionati discorsi alcuni anni dopo che i figli di Bach avevano suonato l'organo ogni domenica mattina per anni e Cranach il giovane aveva dipinto la pala d'altare, con Adamo in secondo piano che viene scacciato dall'Eden da uno scheletro con forcone e un baubau con grandi mammelle e una clava puntuta.
Weimar e' cosi', un concentrato incredibile di storia della cultura, tutta condensata qui sulle rive dell'Ilm, bellissimo, dal barocco al classicismo fino alle vergogne del nazionalsocialismo.
Siamo in tanti turisti, qui, giriamo tutti con una cartina, la stessa, che e' costellata di puntini rossi, i luoghi notevoli. Ehi, ma tu hai visto il 33? E il 26? Cos'e' il 26? Ah, la Gartenhaus di Goethe sull'Ilm, si', certo che l'ho vista. E tu hai visto la casa di Frau Von Stein? Nooo, dove? E' il 5, laggiu'. Tutti li ho visti io, tutti. Cos'e' quello? 'azzo...
Ecco, Weimar e' il parco dei divertimenti della cultura: un luogo piccolo con tutte le migliori attrazioni del genere. Non mi si fraintenda, non vorrei passare per sarcastico: non lo sono affatto, e' un posto da sogno per chi ama questo tipo di cose. Come io. Ed e' un bel posto in se'.
Io sono in visibilio, quasi rintronato da tanta grazia e abbondanza. Schiller abitava a cento metri da Goethe, basta fare una piccola curva; in piazza, davanti all'Hotel Elephant, probabilmente ogni sera ci si incontrava un po' tutti, per fare due chiacchiere e scambiarsi qualche opinione. Opinioni dei massimi geni dell'epoca, sia chiaro, chiacchiere da Bar Sport a livelli inarrivabili.
E il mio essere tombarolo ha ricevuto gran godimento nella visita congiunta, in un colpo solo, ai sobri sarcofaghi di Goethe e Schiller, vicini anche nella sepoltura.
Peregrinando, ho un suggerimento di lavoro per chi si interessi dell'argomento: il museo Bauhaus di Weimar ospita la piu' grande collezione di oggetti e arte Bauhaus, che fu fondato qui e, prima che si trasferisse a Dessau e poi a Berlino, causa nazisti e accuse di arte degenerata, ci rimase per dieci anni. Ora: il museo e' del tutto, sconsideratamente, scoperto dal punto di vista merchandising. Non hanno nemmeno i sacchetti di plastica, per dirne una banale. Basta venire qui e produrre merchandising selvaggio per il Museo o, anche, con un po' di criterio. Meglio. Gli oggetti da riprodurre a scopo turistico ci sono gia', il Bauhaus fu una fucina di oggetti meravigliosi riproducibili, basta copiare.
Tornando a Weimar, per uno di quei casi strani della storia, anche se la calamita per un bel periodo fu Goethe, qui si riunirono le migliori persone nel campo della poesia, pittura, letteratura, filosofia, teologia, politica, paragonabile forse solo alla Firenze del Quattrocento o alla Roma del Cinquecento. Come accade ai posti che catalizzano l'attenzione e la presenza delle persone, qui avvennero cose meravigliose, che fanno onore al nostro essere uomini, e una cosa terrificante, che ci umilia tutti.
Accadde a otto chilometri da qui, poco fa, vado domani.

dieci

Il principio di indeterminazione.
All'improvviso, i campanili a guglia si fanno a spumiglia, sento le fisarmoniche dappertutto, spariscono le lettere accentate dalle tastiere, appaiono grandi zoccoli di legno e sandali con le calze e grandi pretzel desiderano mangiarmi. Tutto logico e sensato, visto che ho varcato il Reno e sono ad Heidelberg, nel Baden-Wurttemberg. Forse un po' oleografico, lo ammetto, ma non lontano dal vero. In compenso, oggi applichero' il Principio di indeterminazione di Heidelberg, da me codificato, secondo il quale non mi sara' possibile conoscere simultaneamente la mia posizione e la mia quantità di moto con precisione arbitraria mentre girero' per Heidelberg.
Cioe', spiegato per le menti non scientifiche, girero' un po' alla cazzo.
Ich hab' mein herz in Heidelberg verloren, faceva uno studentenlied, "ho perso il mio cuore ad Heidelberg". Bisogna essere tedeschi fino in fondo per perderci davvero il cuore ma non e' difficile, anche per un italiano senza mandolino, restare abbastanza affascinato. La citta' sta nella piana del Neckar, altro fiumone poderoso che affluisce nel Reno, tra due colline verdissime. Vanno molto fieri della loro lunga storia, gli aidelberghesi, perche' subito mi parlano dell'"homo heidelbergensis" che e', in buona sostanza, una mascella di seicentomila (!) anni fa ritrovata da queste parti. L'Universita' piu' antica e piu' prestigiosa della Germania sta qui, ci vennero proprio tutti, prima o poi, da Goethe, ancora lui, a Karl Jaspers, con la sua allieva prediletta, Hannah Arendt, a Bunsen, quello del becco. Lutero fu accolto da grandi feste al suo arrivo e le novantacinque tesi prontamente adottate.
Io sono qui per altre ragioni. Devo prenderla alla lontana: devo vedere il grosse grosse Schloss dei duchi del Palatinato, i Principi elettori Wittelsbach, coloro che con gli altri sei Grandi Elettori nominavano l'Imperatore. E' davvero grosse il castello, mi rendo conto quando lo attacco dal basso e, vedo distintamente, anche un po' dirupato lungo i torrioni a causa di reiterate distruzioni, una prima volta durante la guerra dei Trent'anni e una seconda dai franzosi, a meta' Settecento.
Fu, vedi le analogie, il barone Charles de Graimberg, sovrintendente franzoso al castello, che impedi' che un secolo e mezzo fa fosse utilizzato come cava di pietre e, dunque demolito. Esattamente come il castello visconteo di Milano, storia vera. Un'altra volta, ih ih.
Nelle cantine del castello resta, pero', la grande botte di Carlo Teodoro, 221.726 litri, alta sette metri e con sopra una pista da ballo. Cruccolandia, benvenuto a me. Fu riempita solo tre volte nella storia e, giustamente, qualcuno commenta: chissa' la moglie ubriaca... Da Tokyo, coincidenza non male, stamattina il mio amico G. mi comunica di avere visto da poco la piu' grande lanterna del mondo. Ora che ci penso, io una volta vidi il sandalo di cuoio piu' grande del mondo, lungo due metri. Chissa' come mai ci piacciono universalmente le cose grandi e, piu' sono idiote e giganti, piu' funzionano... Altri record intelligenti visti de visu?
Ed ecco il motivo della mia visita qui: in conseguenza del castello e dei duchi del Palatinato, esisteva a Heidelberg, nella chiesa del Santo Spirito, la famosissima Biblioteca Palatina, oggetto di ammirazione del mondo medievale e rinascimentale. Chiunque abbia avuto a che fare con manoscritti e incunaboli e' incappato in un codex palatinus. I Franzosi, costanti rompimaroni, rasero al suolo la citta' ed ebbero la bella idea, forse non sapendo cosa farsene, di regalare la biblioteca intera al Papa. Oggi, per consultare uno di quei manoscritti, ci si spara e si attendono mesi e anni per poter accedere alla Biblioteca Vaticana.
Altro: la lingua si e' fatta per me piu' ostile, la lettura dei giornali mi e' praticamente preclusa (a proposito: niente Gazzetta da queste parti), intuisco pero' che anche qui, come da noi e in Francia, il problema vero e' il potere di acquisto, che nemmeno ristagna ma e' in caduta libera.
La soglia di poverta', che qui e' posta a 11.200 euro/anno (in Francia era piu' bassa, 816 euro/mese, da noi dev'essere molto ma molto piu' bassa), sta al di sopra del budget a disposizione del 25,4% della popolazione; pare facciano peggio solo Polonia e Ungheria. I licenziamenti prospettati a breve dalle grandi industrie (BMW 8.000, Siemens 7.000, Henkel 6.000, Nokia 8.000 etc.) non fanno sperare bene.
Anche qui le agenzie di lavoro temporaneo spopolano, esattamente come ho visto in Francia e come da noi; e, allo stesso modo, sono le agenzie stesse ad assumere per brevi periodi, anziche' l'azienda, il che non aiuta. Ovviamente, la forbice si e' allargata - come ovunque - e i considerati ricchi, cioe' chi ha a propria disposizione piu' di 24.000 euro l'anno (attenzione: mica tanti!) sono il 20,5% rispetto al 18,8% di otto anni fa. E i prezzi, confermo direttamente, sono alti, piu' che da noi e piu' o meno in linea con quelli francesi.
Ma non voglio chiudere, oggi, con note economiche. Allora, ecco una cosa davvero locale. Achim von Arnim e Clemens Brentano, romantici tedeschi, raccolsero una serie di canti popolari tedeschi con il titolo Des Knaben Wunderhorn e le pubblicarono proprio ad Heidelberg. I canti popolari raccolti furono poi musicati da Mahler. Uno di essi, Des Antonius von Padua Fischpredigt (La predica di Sant'Antonio da Padova ai pesci) racconta appunto la predica di Sant'Antonio ai pesci, famosa. Sant'Antonio trova la chiesa vuota e, allora, se ne va al fiume e comincia a predicare ai pesci, che arrivano curiosi. Sant'Antonio si danna per fare una bella predica, li redarguisce e li ammonisce. Ecco come finisce, strepitosa: "Finita la predica, ognuno se ne va. I lucci rimangono ladri, le anguille fanno sempre all'amore, la predica è piaciuta, tutti restano come prima! I granchi camminano all'indietro, i merluzzi rimangono grassi, le carpe mangiano molto, dimenticata la predica! La predica è piaciuta, tutti restano come prima!".

Atticismo militante.
Ricevo da un'amica romana due vignette di Disegni sulle ragioni della sconfitta a Roma.
Siccome un po', da qualche parte ma poco, so di che parla, pubblico qui.

nove

Esplorazione: les livres.
Oggi giornata stanziale, ogni tanto una mi ci vuole per tirare le fila dell'animo e ricomporre lo stato dei talloni. Ne approfitto, allora, per approfondire lo stato di cose locale in materia di libri.
Segnalo la pubblicazione dell'opera omnia di Claude Lévi-Strauss nella biblioteca de La Pléiade, duemila pagine a buon prezzo, salutata da quasi tutti i giornali con entusiasmo, Le Figaro per esempio: "L'ultimo gigante". Ed è vero, non ne nascono più cosi'.
In cima alla classifica dei libri più venduti in Francia (io non ne conosco nemmeno uno ma non vuol dire), da qualche settimana staziona "La Consolante" di Anna Gavalda, seguita da Annie Ernaux con "Les Années". Poi segue uno strano caso letterario: un certo Stieg Larsson è in classifica con tre libri diversi, una trilogia, intitolati Millénium t.1, Millénium t.2 e Millénium t.3. La commessa mi spiega che è un giornalista svedese morto da poco, conosciuto per essere destroide e razzista. Complimenti ai lettori franzosi, dunque. Michael Connelly è al quinto posto mentre "Je reviens te chercher" di Guillaume Musso è al settimo. All'ottavo un caso interessante: una rivista. Si tratta di "XXI", trimestrale senza pubblicità venduto in libreria, che con il primo numero, "Les noveaux visages de l'économie", ha venduto più di cinquantamila copie. Sorprendente, visto anche l'argomento. Al nono e decimo posto, rispettivamente "Le Montespan" di Jean Teulé e "L'elégance du hérisson" di Muriel Barbery. Attenzione, Lévi-Strauss è entrato direttamente al sedicesimo, non male. Anche in campo librario i Franzosi fanno un po' storia a sé. Niente Hornby, niente Hosseini et similia. E, fortuna loro, niente Tremonti.
Detto questo, faccio il corrispondente vero e do' un'occhiata allo scaffale della letteratura italiana della Librairie Kléber, la più grande di Strasburgo.
Buona fornitura di classici, Boccaccio, Dante, Tomasi di Lampedusa, Leopardi, Sciascia, Svevo (complimenti!), Elsa Morante, con alcune interessanti escursioni su Rigoni Stern e Buzzati, di cui hanno moltissimo, più che da noi. Poi, le ragioni sono ovvie, oulipo, impazziscono per Calvino ed Eco e, politicamente, per Pasolini, di cui si trova quasi tutto. Lo stesso si puo' dire per Primo Levi, in vetrina ovunque e pubblicato da più case editrici: non solo il Levi concentrazionario ma, per fortuna, anche il Levi scrittore tout court, che era eccezionale.
Casi significativi di nostri autori contemporanei viventi molto apprezzati qui sono: Alessandro Baricco (vabbè, sopravvolo), Erri De Luca (sarà per quella faccenda di Lotta Continua?) e Antonio Tabucchi, che in questi giorni è qui per una serie di interviste. Meno sull'onda ma comunque presenti: Benni, Camilleri, Rosetta Loy, Magris, Wu Ming e, tenetevi!, Tamaro. 'Azzo.
Infine, autori che io non ho mai sentito e che sono in scaffale con almeno un titolo (cosi' come li ho letti): Carmine Abate, Antonio Scurati, Goliarda Sapienza, Francesca d'Aloja, Giulia Cercasi, Ottavio Cappellani, Luigi Natoli, Alessandro Piperno, Salvatore Satta, Giacomo Sartori, Aldo Zargani. Per me, mistero nebbioso che intendo far restare tale.
Infine, per un discorso aperto con Siu, sono lieto di comunicarle che Boris Pahor, Legion d'onore l'anno scorso, è presente con moltissimi titoli fin dal 1990, tutti ristampati di fresco e in prima fila in vetrina. Ben fatto, franzosoni.

La cultura e i diritti dell'uomo.
Stamattina mi sono alzato di buon ora per mettere in atto un piano cui ho pensato tutta la notte.
Essendo ancora a Strasburgo, devo approfittare di questa mia condizione privilegiata e onorare una battaglia in nome dei diritti di tutti noi, devo lottare per il mio popolo, per i miei fratelli e amici.
Cosi' mi sono recato alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che è proprio qui in città, sono entrato nella hall principale, mi sono arreso e mi sono dichiarato esule culturale, poiché l'Unione europea non prevede l'estradizione di coloro che siano a rischio di morte cerebrale nel proprio paese. Il funzionario incaricato della mia pratica si è mostrato comprensivo, ha sorriso e ha detto: "Bondi', c'est vrai?". Oui, oui, salvatemi, sono qui in nome del mio popolo! Apre un fascicolo apposito, ne hanno uno da ieri, da quando hanno ricevuto la notizia della nomina in Italia, e inserisce la mia pratica. E vi appone anche il timbro "urgente!".
Sono qui in nome di tanti italiani, dico, Bondi ci ucciderà.
Il funzionario questo lo sa, stava giusto leggendo un trafiletto di Libération, titolato "Eloge de «la Mamma»", nel quale spiegano uno degli antefatti del neo-Ministro poeta: "La fauteuil de ministre de la Culture est la récompense que Silvio Berlusconi a trouvée pour Sandro Bondi, son zélateur et responsable du parti. Bondi est en effet connu pour ses poésies à la gloire du Cavaliere et de ses proches. Il a ainsi écrit à l’adresse de Mamma Rosa Berlusconi : «Mains de l’Esprit, Ame transfusée, Embrassade d’amour, Mère de Dieu»…". Lo sanno, sono salvo.
Ridete pure, ma ci potete aiutare? Il funzionario mi dà una pacca sulla spalla, affettuoso e comprensivo, e poi mi dice che, purtroppo, la Corte non puo' fare nulla. Infatti, esiste una risoluzione europea del 2005, seguente la nomina di Buttiglione a Ministro dei beni culturali, che stabilisce de factu lo stato "catastrofico e consapevolmente cronico" delle cose in Italia in fatto di gestione della cultura (cosa poi riconfermata anche dall'elezione di Rutelli). Non intervengono più. Coraggio, mi fa il funzionario, non sarà peggio di tanti altri... E grazie al cazzo, voi avete avuto Malraux e Lang! Comunque ha ragione, peggio di Buttiglione non sarà... Perdonatemi, amici, non ce l'ho fatta, ho fallito, mi ritiro sconfitto.

Le maire, la mère et la mer.
I Franzosi, che come detto si devono distinguere in ogni campo dello scibile, hanno le tastiere tutte sbagliate. E non parlo solo degli accenti e della punteggiatura. So che potrebbe apparire una questione di secondo piano, e lo è, ma digitare per giorni e giorni post quotidiani con - ne dico una - la Q al posto della A, vi assicuro, è una cosa che fa lievitare incredibilmente i miei costi presso gli internet point. Peraltro, digitando io con due dita si' e no, pensavo di non aver memorizzato più di tanto la disposizione dei tasti.
Non è cosi'.
Ed ecco un audace esempio: la frase idiomatica "il Sindaco, con sua madre, ha passato una giornata al mare; si sono di certo alquanto divertiti!" su una tastiera franzosa diventa 3il Sindqcom con suq ;qdrem hq pqssqto unq giornqtq ql ;qre, si sono di certo qlauqnto divertiti/3.
Un altro esempio della grandeur francese.
Non co;prqte tqstiere in Frqnciq<

Premio boule à neige.
Premio boule à neige, categoria "stazioni", va indiscutibilmente alla stazione SNCF di Strasburgo: una vera e propria stazione chiusa in una palla di vetro di forma adatta.
Se riuscite a girarla, scende pure la neve.
Pare stia venendo uno di Colmar molto forzuto per provarvicisi.

otto

Sui dolci canali a scriver poesie.
Oggi in Francia, Germania e Austria è festa nazionale, si festeggia la fine dell'ultima guerra, si chiude tutto e si ricorda. Niente manifestazioni, non usa, una giornata, piuttosto, di libertà. Ben venga, dunque, anche se la mia smania da shopping compulsivo ne risente.
In quanto a me, è qualche giorno che mi interrogo sulla direzione da prendere. Infatti, mi trovo alle prese con il problema, sostanziale, dell'irresistibile forza di attrazione delle città grandi. Mi spiego: muovendosi in treno o pullman, man mano che si entra nell'orbita gravitazionale di una grande città, specie una capitale, diventa sempre più un fatto che tutte le strade portino là. Raggiungere il paesello vicino diventa più difficile, se non facendo i due lati del triangolo al cui vertice sta la grande città. Nel mio caso, Parigi, che si è fatta davvero vicina. Ma io non voglio andare a Parigi, non rientra negli scopi di questo viaggio. Aspetto un segno.
E il segno arriva, in forma di turista polacco. Esso si manifesta in allegra brigata piuttosto agée, tutti belli embriaghi di distillato di calze da tennis usate, curiosi e con occhi spalancati. Uno di essi comincia a conversare con me, ieri sera, non so bene in che lingua a pezzetti e bocconi, e finisce per propormi un passaggio a bordo del loro pullman, loro vanno a est.
Beh, è un segno e non bisogna trascurare i segni. Inoltre, la destinazione mi va più che bene e i polacchi non mi paiono molesti. Non sono adepti woytiliani dediti alla diffusione del culto, il che mi basta. Cosi' mi imbarco con loro, partenza antidiluviana, rinunciando a qualunqua forma di conversazione, data l'ora e i residui alcoolici del distillato della morte.
Cinque ore di viaggio e siamo alla meta: i tetti si fanno più spioventi, compaiono le cicogne, intravedo una statua di Gutenberg e, pure, qualche parlamentare europeo.
Infatti, sono a Strasburgo. Primo scopo raggiunto, sono quasi emozionato: ora so con esattezza dove sia l'Alsazia, dopo averla citata a vanvera, con la Lorena, in qualunque esame di storia o conversazione in tema. Cosa successe dopo la battaglia di XY in un'epoca qualunque? Vennero conquistate l'Alsazia e la Lorena, risposta invariabile e sempre esatta.
A titolo esemplificativo: Sequani, Rauraci, Romani, Vandali, Alani, Alamanni, Franchi, monaci di S. Colombano, regno di Austrasia, Carolingi, duchi di Svevia, langravii d'Asburgo, Decapoli alsaziana, signorie vescovili, Francesi e Tedeschi. Giusto per citare alcune delle popolazioni che la conquistarono o delle forme che assunse.
E' un momento topico per me, sono come uno di quei bambini delle elementari che parla della mucca senza mai averne vista una dal vivo e ne ha un'idea piuttosto vaga.
Ora ho visto la mucca e so che non vola.
In virtù della sua natura bi-nazionale e bi-culturale, Strasburgo è una cittadina molto vivace, piena di canali e di case medievali, franco-tedesca a tutti gli effetti, non a caso si segnalano la sede del Parlamento europeo, la sede di Arte, e un'intensa frequentazione multilaterale. Gutenberg venne qui per un po' a lavorare tranquillo, come Calvino, Mozart e Pasteur, Doré e Arp vi nacquero e cosi' via. Goethe vi venne un paio d'anni a cazzeggiare. Non esagero, ho fonti attendibili. Se ne iva a poetare per le rive dei canali all'ombra delle fanciulle in fiore, meglio se figlie del pastore. "Sai, sono poeta", diceva, "son tormentato, vuoi che ti legga la mia ultima poesia?". Conosco il genere, Ob ich dich liebe, weiss ich nicht. Fu conseguenza normale delle cose che gli respingessero, qui, la dissertazione necessaria per il titolo di dottore in legge. Troppe rive e troppe liriche. Il ragazzo è intelligente ma non si applica.
Io già che son qui, vado diretto a cercare di capire come sia possibile che, ogni terzo venerdi' del mese, impacchettino tutta la roba delle commissioni parlamentari a Bruxelles e la portino qui per una settimana, perché il Parlamento europeo ha qui la sede ufficiale. Per poi tornare indietro, il venerdi' dopo. Ricordo un articolo che parlava di non so quante decine di tir ogni volta, colmi di cartoni di documenti, che fanno la spola. Pero' è bello, piuttosto grande e, ammetto, lo osservo con un certo orgoglio, fiero di questo sforzo all'unificazione della nostra epoca, davvero un'idea meravigliosa. Si entra liberamente, tutti sorridono e nessuno rompe per questioni di sicurezza, cravatte e buvette.
Ci guardiamo complici tra francesi, italiani, tedeschi, danesi, lituani e disprezziamo i giapponesi e gli americani. Eh eh, andate al vostro.

sette

L'indice Gazzetta.
Passando da Rochefort, mi dice qualcosa, mi dirigo a La Rochelle, il porto imprendibile, il porto dalle grandi maree. E' detta la città ribelle, fu la prima a liberarsi dei gioghi feudali e a dotarsi di un sindaco, nel 1199; fu città protestante, unica nella Francia di Richelieu, il quale, infatti, l'assedio' e la sottomise. Ne andava del suo orgoglio. Non vi risparmio, a questo proposito, un agghiacciante passaggio del Manzoni, Promessi Sposi, capitolo XXVIII: "Il cardinal di Richelieu, presa, come s’è detto, la Roccella, abborracciata alla meglio una pace col re d’Inghilterra, aveva proposto e persuaso con la sua potente parola, nel Consiglio di quello di Francia, che si soccorresse efficacemente il duca di Nevers; e aveva insieme determinato il re medesimo a condurre in persona la spedizione".
La Roccella? Sembra Roccella ionica, detta cosi'...
Tornando a cose serie, soprattutto, era la città nella quale si finiva se si aveva il fegato di ribellarsi, che so, al colpo di stato di Napoleone III o se ci si chiamava Dreyfus o Papillon. E non per restarci ma per essere imbarcati per la Guyana francese. L'Isola del diavolo, per capirci, la proverbiale Cayenna. Fu anche l'ultima città francese a essere liberata dai nazisti, che qui parcheggiavano i sottomarini.
Naturalmente, io fantastico di uomini tatuati, di galee meravigliose, di dobloni e di cannoni, di uomini con il pappagallo sulla spalla, di pomodori e di amerindi portati dalla Nuova Francia, non posso non andarci.
Cosi' sono su un treno locale partito molto presto, in compagnia di parecchi macchinisti della SNCF che, credo, si muovono per lavoro. Poco prima di arrivare, il treno fa una sosta tra i campi popolati di cavalli e mucche, tutti belli robusti e grassocci, e si ferma davanti a un campo da golf. Brutto segno. Sul campo ci sono due tizi, tutti perfetti, che giocano. I macchinisti commentano a tutto spiano ed è uno spasso: adovo giocave a golf avec m'argeant dans le sac, aaah, c'est un sport tres dur, je suis molto fatiguée, bien sur, moi? je travaille pour plaisir... Peccato che non posso lasciarli liberi di scorrazzare sul campo a divorarsi i giocatori.
Non appena scendo alla stazione vengo accolto da un tizio, trentenne abbondante, vestito da québécoise, accompagnato da un altro tizio che sembra Tatù di Fantasilandia, che mi invita a fare un meraviglioso viaggio nel Quebec della mia fantasia, al museo storico di La Rochelle. Non posso amico, io voglio vedere La Martinière, la nave che faceva la spola con la Guyana francese, non posso.
Esco dalla stazione e ho una pessima sensazione, suffragata immediatamente dall'infallibile indice Gazzetta. L'indice Gazzetta dice che se io, arrivato in un posto nuovo, vedo la Gazzetta dello Sport nella prima edicola che incontro, si tratta di una vaticinazione pessima sul luogo stesso e che il fato vuole che io me la dia a gambe. L'indice raramente sbaglia e ha la sua validità non nel fatto che indica la presenza intrinseca di italiani, quanto più che indica la presenza anche di italiani, il che implica che sia un luogo piuttosto inflazionato.
Faccio finta di nulla e mi dirigo al porto vecchio, per visitare il museo navale. Mi trovo a Miami. Anzi, peggio: mi trovo nell'idea che io ho di Miami, il che è anche peggio. E' un ospizio a cielo aperto per ottuagenari dediti al gioco delle barche grandi, molti di loro dovevano già essere vecchi quando Richelieu aveva le braghette corte. Trasalisco quando vedo una signora che si fa fare i capelli sul ponte della barcona da una ragazza di colore (scendere e andare dal parrucchiere no, eh?), sulla riva passeggiano trichechi con cappelli da comandante di traghetto Tirrenia, le boutiques sono da ladrocinio e al museo navale mi fanno vedere un cacciatorpediniere del 1962. E no, cacchio, no!
Finalmente mi danno le indicazioni per arrivare a La Martinière, la nave degli esiliati, cammino un po' e mi ritrovo di fronte alla gelateria La Martinière, specialità caramello al burro salato. Nave? Quale nave?
D'accordo, d'accordo, il caramello al burro salato è molto buono, cio' che resta del porto vecchio non è male, qui attorno pare ci siano alcuni posti davvero notevoli, oasi naturali, non discuto, ma alla terza offerta di paracadutarmi da qualche parte, di fare qualcosa-diving e di sorvolare le isole in elicottero, decido che non è luogo per me. L'indice Gazzetta non sbaglia quasi mai. Scopro, infatti, che La Rochelle ha anche un aeroporto, con tre voli giornalieri da Lione e una quarantina settimanali da tutto il nord europa, Inghilterra e Irlanda in particolare. Tutto, poi, torna.
Mi faccio un ulteriore giro, perché già che son qui voglio affondare il coltello o trovare motivi in positivo, e poi vado alla stazione degli autobus. Primo autobus, amico conducente? Puatié. Puatié? Va benissimo, sciogli le trecce ai cavalli, amico. Re Carlo tornava dalla guerra / lo accoglie la sua terra / cingendolo d'allor...

Farai un vers de dreit nien.
Al sol della calda primavera / lampeggia l'armatura / del sire vincitor... La calda primavera, in effetti, c'è. Poitiers pure. Anche se non credo sia quello di Indovina chi viene a cena? Credo.
Ma no, questo è luogo di battaglie, di scontri epocali, almeno tre: franchi-visigoti (507), franchi-musulmani (732), francesi-inglesi (1356).
La Francia, in pantaloncini bianchi, gioca in casa e, anche per questo, vince. Perché Poitiers è un ottimo posto per condurre una battaglia: sta su un promontorio circondato da due fiumi, la Boivre e il Clain, promontorio cui tagliarono l'ultima propaggine che lo legava alle colline. I Franzosi, privi di fantasia, chiamano tuttora il luogo Tranchée. Fu una buona idea, il taglio. Almeno finché non inventarono l'artiglieria, poi fu necessario inventarsi altri tipi di guerra.
Fu sempre a Poitiers, nel 1456, che la Chiesa riapri' il processo a Giovanna d'Arco, morta da mo', con esito che il tribunale fu riconosciuto come illegittimo e Giovanna fu riabilitata e riconosciuta innocente. Pardon, m'muasell. Non sapevo (mi son perso il film) che avesse diciannove anni, quando sali' sul rogo.
Accantono un momento le amenità storiche per esplicare la regola fondamentale per il proprio orientamento nelle città francesi, vale a dire: "Come trovare infallibilmente il centro storico di una città francese qualsiasi utilizzando una sola frase".
E senza sapere il francese.
Modestamente, è un metodo che ho sviluppato io di mia persona e che, confesso, sono un poco riluttante a diffondere in rete, perché potrebbe con evidenza farmi molto ricco. Come, che so, il metodo Shenker o il metodo Stanislavsky.
D'accordo, mi siete stati talmente vicini in questi giorni e cosi' affettuosi e lusinghieri, che non posso non rivelare il metodo innovativo. Il metodo per trovare infallibilmente il centro storico di una città francese qualsiasi utilizzando una sola frase consiste nel fermare un francese e, con tono fermo e senza incertezze, fargli la domanda fondamentale: "uè leglis denotredàm?".
Io l'ho testata vieppiù e vieppiù volte, perfezionando alfine la fonetica e la forma, sintetica il giusto: funzionamento assicurato al mille per mille, poiché i Franzosi, sempre loro di poca fantasia, pare non abbiano capito che possono titolare la chiesa principale a qualcuno di diverso dalla Nostra Signora.
E' cosi' che io sono riuscito sempre a sopravvivere in questa giungla che è la Francia.
E, anche stavolta, a trovare la cattedrale in centro (peraltro strepitosa), come da foto sopra.
La gloria per Poitiers, pero', venne dalla presenza della corte dei Duchi d'Aquitania e, in particolare, dalla presenza di Guglielmo IX e, poi, da sua nipote Eleonora, che si dividevano tra qui e Bordeaux. Fatto sta che Guglielmo è accreditato dalla critica letteraria come il primo trobadour, poeta d'amor cortese, e alla corte di Eleonora si definirono alcuni canoni del genere.
Si intenda, l'amor cortese, il fin amor occitano, è si' un sentimento in grado di nobilitare l'animo maschile, ma è un amore fatto insieme di intesa, tensione spirituale e di sesso e carnazza, per dirla parafrasando il Sapegno. Per cui, i toni del trobadour Guglielmo non hanno nulla a che vedere con i menestrelli sanremesi che piangono lacrime perché sono stati piantati. E questo già si sapeva, direi.
Infine, Il palazzo dei duchi esiste ancora ed è la sede del Palazzo di Giustizia. Il che mi pare un'ottima cosa anche per il catasto locale, che da mille anni non deve mutare la destinazione d'uso.

sei

Il deserto inaspettato.
Stamane mi sono alzato presto. Ore 7.05, dovrei avere la Garonna quattro massimo cinque metri sotto di me e davanti per una settantina di metri di larghezza, eppure non vedo nulla. Ore 9.14, dovrei avere l'oceano un centinaio di metri sotto di me e davanti per, credo, novemila chilometri, eppure nulla. Un muro di nebbia, come i muri di nebbia che solo l'oceano sa fare.
Poi, d'improvviso, si apre tutto, esce il sole ed eccolo l'oceano, sotto di me. Eh si', sotto, perché io sto su una duna, una duna di sabbia, enorme e fantastica, improvvisa, pare quasi inventata dal nulla.
Anzi, è veramente inventata dal nulla: alta 117 metri, larga ben più di mezzo chilometro e lunga tre, appare dall'oceano e finisce in un bosco di pini marittimi, sommergendone una parte, pian piano. E' la dune du Pilat, o Pyla, colosso di sabbia gialla desertica scaturita da una meravigliosa immaginazione (o da una ruspa gigante, foto aerea).
E io ci sto sopra, proprio in cima. Sono solo, perché son venuto presto, me la volevo godere come cosa mia. E cosi' scopro che questa duna esiste da sempre ma cresce da poco: un movimento eolico, come lo chiamano qui, l'ha portata da cinquanta metri di altezza un secolo fa agli attuali centodiciassette, e cresce ancora a ritmo sostenuto. La duna compare per la prima volta nelle carte all'inizio del Settecento e viene rappresentata come un piccolo rilievo, dimostrazione della crescita recente.
Non è un processo di desertificazione, tutt'altro, pare sia una rara combinazione di vento, oceano ed entroterra che interagiscono, non potrebbe succedere in un altro posto che non qui.
E hanno voglia a piantare pini per fermarla, come da foto, ogni anno avanza di qualche metro ma, soprattutto, cresce in altezza.
Un gigante che si muove. E' molto affascinante osservarla e camminarci sopra, è ancora fradicia della notte, compatta, ma si vede che si è mossa da poco e che si sta muovendo ancora. Non appena il sole ne riscalda la superficie, la sabbia comincia a spostarsi, ogni metro fa un disegno diverso. Non so chi l'abbia inventata ma guardare l'oceano quasi a strapiombo da qui sopra è davvero affascinante, vien quasi da far piano per non farla irritare, che non si sa mai.
Anche l'oceano va guardato con rispetto, oggi è tranquillo ma ci mette poco a innervosirsi.
Poi arriva una scolaresca, i bambini impazziscono anche se, assicuro, si divertono meno di me. Il meglio viene quando, ora di merenda (loro), corro giù dalla duna a rotta di collo con sessanta ragazzini impazziti, giuro uno spasso grandioso (le maestre sono pavide); urlano come matti e, soprattutto, cascano facendo voli strepitosi. Eccezionale.
Ovviamente, arrivati in fondo non possiamo che risalire e farlo di nuovo.

cinque

Senza fili.
Non registro alcun commento, oggi, su Napoleone. Forse, "stette la spoglia immemore/orba di tanto spiro" la studiamo solo noi, il che lo troverei anche sensato. Oppure, Napo' non riscuote più molto successo, oscurato dal primo anniversario, domani, di Sarkozy, un anno di sfacelo riconosciuto concordemente.
A proposito, amenità: il presidente della Repubblica francese ha diritto al titolo onorario di canonico della Basilica di San Giovanni in Laterano, oltre a essere co-principe di Andorra. Su rieduchescional ciannel.
Continuano le celebrazioni del Mai 68 che, a onor del vero, sono più che altro un profluvio di pubblicazioni in libreria, intere vetrine sono dedicate all'anno memorabile, e di ripubblicazioni e interviste su alcuni giornali, Le Mond su tutti. Troneggiano questi visi di sessantenni ribelli, o ex, che spiegano perché la lezione del maggio non sia da dimenticare, oppure come sia - invece - del tutto da dimenticare, come sia stato un momento epocale o un errore madornale. A seconda. La popolazione al di sotto dell'età fatidica non pare particolarmente coinvolta. Tra i libri in evidenza, segnalo il furbino "Mai 68 expliqué à Nicolas Sarkozy" di André e Raphael Glucksmann. I poster, pero', sono strepitosi.
Oggi sono giunto a Bordeaux, Burdigala per i Galli, Bordo' per me. Come era prevedibile, la menano senza posa con il vino e per me, che distinguo a fatica un bicchiere di tavernello da un calicino di zero negativo, la cosa è un pochino noiosa. La vocazione commerciale della città è più che evidente ancora oggi, il fulcro é la piazza della Borsa (chiaro documento a sinistra), aperta sulla Garonna e bella ampia per gli scambiotti di merce. Esiste persino un museo delle dogane. Ma ebbe anche Montaigne come sindaco, il che depone a favore della città.
Proprio la propulsione commerciale ha fatto si' che Bordo' si sia, di volta in volta, allineata con chi garantisse la maggior libertà di scambio: non per caso è stata per tre secoli inglese (!), poi borbonica, piuttosto che normanna, visigotica, franca e vandala. E la cosa non è cambiata in tempi recentissimi, avendo più che apertamente flirtato (è un eufemismo, sia chiaro) con l'occupante nazista.
Illuminante il caso di Maurice Papon, segretario generale della prefettura della Gironda, che sostitui' l'eroe della resistenza Jean Moulin, fondatore del CNR. Papon si occupo' nel 1943 e 1944, tra l'altro, dell'allestimento di tutti i convogli ferroviari di cui necessitassero i nazisti. Come ando', poi?
Ecco come, a elenco (trattenere lo stupore, certe cose non succedono solo a noi): riceve il distintivo di membro della Resistenza; accoglie De Gaulle nella Bordeaux liberata; prefetto nei territori coloniali nel 1958; questore di Parigi nel '61 (vedere alla voce: Massacro di Parigi del 1961); commendatore della Legion d'Onore sempre nel '61 (vedere alla voce: Massacro di Charonne del 1962); deputato dal '68 al '76; ministro delegato al bilancio nel secondo e terzo governo di Barre. Nel 1980 Le Canard Enchaîné, settimanale satirico (toh, guarda le coincidenze, cfr. la rassegna stampa di ieri), pubblica i documenti che provano la sua collaborazione con i nazisti. Nessuno si scompone e fino al 1997 si tergiversa in pratiche legali. Nel '98, a Bordeaux, viene condannato a dieci anni per crimini contro l'umanità. Come non bastasse, riesce a scappare e, quando viene ripreso, viene scarcerato nel 2002 per problemi di salute. E' morto tutto tranquillo un anno fa, sepolto con la Legion d'onore al collo, anche se formalmente revocata.
Balzando a cose più lievi, documento con immagine l'innovazione più innovativa nel campo dei trasporti che io abbia visto da un po' di tempo: il tram senza fili. Dopo il telefono senza fili (bel gioco, ah ah) e internet senza fili, il tram. Il trucco sta in un terzo binario che corre in mezzo, anche se non so bene come funzioni. Io ho provato a toccare tutti e tre i binari in contemporanea (piede piede mano) ma non mi sono fulminato. Mistero, comunque va.
Chiudendo, il tempo meteorologico si è fatto decisamente più tempestoso e grigio, data la vicinanza con l'oceano. Dev'essere normale, dato che qui nessuno esce con l'ombrello anche se diluvia. Io domani punto l'oceano, con rispetto parlando.

Richiesta di chiarimento.
Scusate, sono lontano e non capisco, qualcuno mi aiuti: un gruppo di ultras neofascisti pesta a morte un ragazzo di Verona e Fini, quello che cinque giorni fa faceva l'istituzionale e invocava concordia, dichiara che le bandiere di Israele bruciate a Torino "sono un fatto molto più grave"?

quattro

Vitello e piede di velluto.
L'occitania, ora che sono a Tolosa, è dappertutto, per Tolosa totjorn mai, i cartelli, le indicazioni, i nomi delle strade sono tutti in doppia versione. La linguadoca prova, ancora una volta, a resistere al potere centralista di Parigi e della lingua d'oil. Ma l'autonomia di Tolosa viene da lontano, da quando fu capitale del regno dei Visigoti a quando lo fu del regno di Aquitania e, poi, della contea di Tolosa, tautologico. Tra i conti di allora, come non ricordare Bernardo il vitello e Bernardo piede di velluto, che si ribellarono a Carlo il calvo? Già, come?
A Tolosa è passata anche una parte cospicua della nostra storia: qui si raccolse una gran comunità di esiliati antifascisti, non andarono tutti a Ventotene, i quali nel 1941 sottoscrissero il documento di Tolosa, primo vagito del Comitato di Liberazione Nazionale.
E poi, nella chiesa alle mie spalle nell'immagine, è sepolto Tommaso d'Aquino. Se trattenete le esclamazioni di entusiasmo, riepilogo con gran sforzo di sintesi quanto so di lui, dal liceo: uhm... Scolastica. Finito. All'università non ando' meglio: all'esame di paleografia e diplomatica dovevamo essere in grado di leggere e tradurre compiutamente una sessantina di documenti dal VI al XV secolo con grafie varie, dall'onciale alla beneventana etc. Un documento era particolarmente illeggibile, una pagina di San Tommaso, che saltai prontamente. Ovvio, mi chiese solo quella.
A parte S.T., la chiesa dietro di me nella foto è la chiesa dei Giacobini, la prima chiesa e il primo convento domenicano di tutti (1216). L'ordine prescrive due missioni distinte, il servizio divino e la predicazione. Ecco perché, mai vista una cosi', è una chiesa a doppia navata, cioè con una fila di colonne al centro che la divide a metà. Erano tutte cosi', quelle domenicane, ma resta solo questa.
La gloria, economica e commerciale, per Tolosa venne con l'esportazione del pastel, copio: Isatis tinctoria, la pianta che serviva per colorare le tele di blu occitano, per l'appunto. E anche i jeans, almeno all'inizio. E' tinctoria...
Poi, metà Cinquecento, arrivo' dall'India - ovvio - l'indaco, tratto dall'Indigofera tinctoria, più facile da produrre e ritenuto più nobile, ad esempio è il colore dei tuareg. E Tolosa schianto'.
A dirla tutta, contribuirono anche le guerre di religione, pero' preferivo romanzarla un po' con la guerra tra gualdo e indaco.
E, tra tutte queste piante e colori, naturale nascesse qui l'Académie des Jeux Floraux, fondata da sette trobadours nel 1323 per preservare la lirica provenzale. Ed è, oggi, la più antica società letteraria del mondo.
E quella dal nome più bello, dico io. Infatti è detta cosi' perché ai vincitori delle gare di poesia venivano e vengono regalati dei fiori, a seconda della categoria: violetta per i poemi e i discorsi in versi; calendula per le egloghe e gli idilli; rosa canina per i sonetti e cosi' via. Che meraviglia.
Oggi Tolosa è soprattutto un polo ipertecnologico di industria aerospaziale, quando prendero' un Airbus o una navetta spaziale dell'ESA, sapro' che viene da qui. E di industria chimica, è del 2001 il botto gigantesco alla AZote Fertilisant. Ma non vuol dire, hanno un sacco di progetti nuovi.
A dispetto della tecnologia, la città è molto accogliente e piuttosto affascinante, anche se - al di là del centro storico - non hanno avuto alcuna remora, nel secolo scorso, ad abbattere quanto non ritenuto di valore. Ad esempio, non esiste più il quartiere dei mulini sull'isola tra Gironde e Girondette, piccolo braccio di fiume che esce e rientra nella Gironde. E oggi gli tocca mettere dei gran cartelli di rammarico. Non sono mica i soli, davvero. Non fosse stato per una persona sola, una, oggi il castello visconteo di Milano non esisterebbe più, storia vera. Un'altra volta.
Ma rimane molto a Tolosa. Nei giri vari, incappo nel teatro municipale e noto che, dopo una lunga permanenza di Un tramway nommé désir, immarcescibile, sarà in cartellone a novembre Il tempo degli assassini di Pippo Delbono. Ne sono lieto, non pensavo che, a parte Fo, avessimo teatro contemporaneo da esportazione, ben fatto. Probabilmente diverrà, se non lo è già, l'ennesimo caso di italico propheta in Gallia, come il primo Paolo Conte e Gian Maria Testa, poco seguiti da noi e adorati qui.
Fuga di cervelli, ancora.

Premio ripensamento.
E sono lieto, a questo punto del viaggio, di consegnare l'ambito premio "Ripensamento in corso d'opera", categoria cattedrali, ai costruttori della Cathédrale Paroisse Saint Etienne di Tolosa, supervincitori senza alcun rivale, finora. Non solo l'esterno, già vincitore di per sé, è prova grandiosa di stortismo incipiente ma anche l'interno è davvero da competizione, da medaglia d'oro alle olimpiadi sghimbesce.
Infatti, la signorina Petitpierre, ultranovantenne, ancora prima di iniziare la novena è costretta a deviazione improvvisa di novanta gradi a sinistra per poter felicemente inquadrare l'altare e dirigere cosi' senza patemi la comunicazione spirituale.
Ho trovato una foto dell'interno molto migliore della mia qui.

Esplorazione: la presse.
Oggi è domenica e vorrei offrirvi, vista la giornata tranquilla, una comoda ed esauriente (ah ah) rassegna stampa di qui, come usa fare nelle migliori famiglie la domenica prima di pranzo.
Ecco i mezzi a mia disposizione, come corrispondente: Libération di oggi, Le Mond di ieri e Le Canard Enchaîné di mercoledi', visto che è un settimanale. L'ultimo è un settimanale satirico, tipo Vernacoliere, e - ovviamente - va a nozze con Sarko' e consorte; infatti apre: "Dopo la Cina, la Tunisia. Sui diritti dell'uomo Sarko' insiste e firma... dei contratti" e prosegue a pagina due con il diario intimo di Carla B. alle prese con i suoi problemi esistenziali: la prova costume.
Su Carla B. e Sarko' in Tunisia entra duro anche Libé, che commenta testuale: "Putain (sauf votre respect), elle est entièrement en Chanel" e prosegue sarcastico, traduco, dicendo che sono andati in Tunisia con l'aereo, come la gente normale, e non facendo sci nautico dietro lo yacht di Bolloré. Anche Le Mond, sebbene più istituzionale, è in guerra aperta con il presidente (come tutti, qui) e a pagina 6 si chiede se lui sia conscio del ruolo che ricopre, riconoscendone implicitamente la superficialità: un altro unfit, aggiungo io.
Le Mond apre in prima pagina con un'intervista molto critica a Olivier de Schutter, che è il responsabile ONU per l'alimentazione, che denuncia vent'anni di errori degli organismi internazionali nella gestione dell'alimentazione nei paesi in via di sviluppo e la fine del cibo a basso costo; inoltre dedica le prime sei pagine alla questione della produzione del riso nel mondo, con i dati FAO.
Libé, invece, dedica tutta la prima pagina al caso di Frédéric Minvielle, omosessuale francese che si è sposato con il suo compagno ad Amsterdam e ha dovuto rinunciare alla cittadinanza francese per questo. Il che, riapre il dibattito sull'approvazione di una legge francese al riguardo, nelle pagine seguenti.
Tre note interessanti: primo; il tizio in questione si dichiara di destra, cattolico e sostenitore di Sarkozy, complimenti; secondo, nel box che illustra lo stato dell'arte sui matrimoni gay in Europa, l'Italia è classificata, con Irlanda e Grecia, nei paesi "senza speranza"; terzo, alcuni numeri sui pacs in Francia: 400.000 pacs stipulati dal 1999, anno di approvazione, di cui centomila nel 2007, con un aumento di 25.000 rispetto al 2006.
Sempre nel 2006, il 7% dei pacs è stato tra coppie omosessuali, mentre nel 2002 era il 25%.
Sia Le Mond che Libé riportano ampi reportages sull'ecatombe laburista in Inghilterra, mostrando fotografie di Brown sconcertato e scarmigliato. Entrambi, inoltre, riportano anche la vicenda dei dati fiscali italiani messi in rete dal Ministero, sebbene in due trafiletti. Interessante Libé, pagina 10, che titola, a proposito dell'apparizione-sparizione dei dati, "Transparence fiscale à l'italienne". Eccoci serviti.
Pero' Libé dedica tutta pagina 31, cultura, alla mostra di Palazzo Grassi sui barbari, in realtà prendendo a pretesto la mostra e parlando solo delle invasioni barbariche. Ancora a proposito di Italia, Le Mond dedica cinque righe a pagina 17 alla dichiarazione di Alemanno di voler demolire la teca dell'Ara Pacis di Meier. Interessante l'ossimoro: "l'ancien néofasciste Gianni Alemanno".
Sempre Le Mond dedica una lunga intervista a Bernard-Henri Levy a pagina 13, che fa parte di una serie di interviste ai protagonisti del maggio francese, in occasione del quarantennale. Molto celebrato ovunque, devo dire.
Chiudo qui la rassegnina domenicale citando un altro articolo di Le Mond, nel quale si racconta la storia di Fodie Konté, primo esponente del movimento sans papier a essere regolarizzato, il 22 febbraio scorso. E, en passant, il 6 maggio è un anno che Sarkozy è presidente: il settimanale Marianne titola: "Putain... 4 ans", per dare l'idea.
Spero di avervi fatto servizio decente, buona domenica a tuslemond. Ah, dimenticavo: sapevo che il Manifesto si ispirava a Libération, ma non pensavo ne fosse più o meno la fotocopia, Alias compreso. Graficamente parlando, almeno.

Esplorazione: la musique.
Tolosa, sulla musica, ancora. Sono davanti a "Box office", in rue de Taur, e mi segno - diligente - tutti gli appuntamenti musicali rock-pop tolosani per il 2008. Tutti quelli di richiamo, almeno.
Non prendete appuntamenti il 6/5, c'è il reggae di Gregory Isaacs, il 17/5 The Rabeats interpretano le canzoni dei Beatles, mentre tre giorni dopo suona tal Bernard Lavillers. Se avete intenzione di stare a casa tranquilli, non fatelo il 29/5, c'è in città Garou e il giorno dopo, oddio non sto nella pelle, sul palco sale Etienne Daho, nientedimeno.
Ma il meglio viene a giugno: il 7 Marty Stuart & His Fabulous Superlatives sconvolgeranno le nostre vite franzose e, troppa grazia, lo stesso giorno anche Bobby Sixkillers entrerà nei padiglioni auricolari degli impazienti tolosani.
E ancora: il 20, udite udite, c'è Bob Dylan allo Zenith. Strepitosa la locandina, qui a sinistra, con la dicitura: "in person"... No, non e' un tizio vestito da Dylan, è proprio lui. Ancredibl.
Il 3/7, credo sia un gruppo, suona Emile & Images, che fortuna, e il 6 Chuck Berry, lo re del r'n'r, di fresco pelo.
La situazione appare drammatica per l'estate, dato che l'appuntamento successivo è per il 12 ottobre, con André Rieu, cui segue il 22 e 23 novembre, doppia data, Philippe Candeloro, di cui tutti abbiamo grande ammirazione. L'anno in corso, ricco di eventi sensazionali, si chiude il 27/11 con Canteloup, di cui causa amnesia non ricordo attualmente un pezzo che è uno, e il 5/12 Raphael, che pare non essere un mago, conclude il programmone.
Giuro, son tutti. Desideravo fare un poco il punto sulla musica franzosa, per ribadire, con innocenza, quanto già accennato in precedenza e cio' che tutti già sappiamo.

tre

Il canal du Midi.
Arrivo presto a Béziers per completare una parte del mio piano complessivo: l'assalto al Canal du Midi. Il Canal è la realizzazione concreta di un'idea apparentemente balzana, vale a dire di collegare l'oceano al mar mediterraneo con un canale navigabile. O, meglio ancora, essendo già la Garonna navigabile, collegare Tolosa a Sète.
L'idea, piuttosto grandiosa e bizzarra, venne a tal Pierre Paul de Riquet e, sebbene appaia un'intuizione del tutto contemporanea o, almeno, ottocentesca, lo scavo e l'apertura del canale sono della seconda metà del Seicento. In fin dei conti, non era molto che Leonardo aveva risolto il problema tecnico maggiore, importando qui la teoria e la pratica delle chiuse. Sono proprio le chiuse l'attrattiva più interessante del canale e l'Unesco, come sempre, ci ha messo il cappelletto protettivo.
Sono le otto e sono, dunque, pronto. Con una certa fatica, apprendo dall'ufficio turistico locale che non esiste un servizio di chiatte sulle quali adagiare me stesso e che la perlustrazione del canale è un po' lasciata all'iniziativa privata. Per andare a Tolosa, mi dicono gli imbelli, c'è il treno. E grazie, amici, che idiota a non averci pensato. Spiego la questione dell'iniziativa privata: o si affitta una barca, e son costose nonché necessitano di permis de conduire e vanno riportate, se no l'agenzia si secca, oppure ci si allinea alla crocierina con tizio vestito da Capitano Nemo e signorine con maglia a righe blu e bianche.
E poi, bisogna prenotare, mi fa il tizio all'ufficio turistico. Ehi, tizio, tu non hai capito: io sono un ragasso metal in vagabondaggio, la parola "prenotazione" non la conosco, io sono un ribelle e le prenotazioni le lascio ai ciccioni e ai fascisti. Io dico no. Ma se qualcuno volesse, il posto migliore per partire con la barca è Agde e non Béziers. A piedi, il contrario.
Detto questo, mi resta solo l'opzione piedi. Va bene, tanto ho la maglietta suda-pure-tanto-m'asciugo, che indosso prontamente, e parto.
Il paesaggio è incantevole, enormi platani costeggiano le rive e il canale, tutto bello limaccioso, è placido, interrotto solo da barche e barcone piene di gente che ha prenotato. Fichetti.
Ogni tanto, sotto i ponti, ci sono delle tracce di gioventù locale, che viene sul canale, di notte, a iniettarsi l'eroina sbarazzina. Che romanticoni. In realtà sto amplificando, il canale qui è davvero molto bello, lontano dalla strada e tutto bello tranquillo, ci sono anche miriadi di anatre dalla testa blu che nemmeno si spostano quando arrivo io.
Mi fermo a lungo alle chiuse di Fonseranes, che sono nove chiuse una sopra l'altra che gestiscono un dislivello davvero notevole: riempi, svuota, svuota, svuota, svuota e poi riempi, svuota eccetera, sto qui un bel po' a guardare le chiuse che si aprono e si chiudono. E poi vedo un ponte canale, non ne avevo mai visti dal vero. Un ponte canale, per i profani come me, è un ponte che passa su un canale e che ha un canale sopra. Un ponte per barche, che goduria.
Tra queste chiuse, Maigret risolse numerosi casi di omicidio, mi dicono, e Simenon ne fece l'ambientazione per vari racconti. Allora, signor Maigret, questo caso glielo risolvo io: sono stato io, confesso. Camminavo da quattro ore, ormai, quando è passata la barca delle vittime, signore, le quali stavano facendo una grigliata di carne al barbecue, sulla poppa della barca.
Io, avendo in mio possesso una sola bottiglia d'acqua e nulla di companatico, ho abbordato la barca, ho rubato le loro prenotazioni e mi sono mangiato la loro grigliata. Eh, beh, ovvio, ho dovuto ucciderli. Si', sono stato io. Non chiedo l'infermità mentale, anzi ne vado fiero.

Il canal du Midi - parte due.
Dopo alcune ore che camminavo sulle rive, mi sono fermato al ciglio del canale per ripristinare il livello dell'ottimismo e per sedare un processo di fusione in atto nelle mie scarpe.
Quand'ecco il colpo di genio (ne ho anche io, talvolta) e riesco a noleggiare un barchino-guscio-di-noce, che non richiede il permis e che ho il permesso di lasciare più avanti. Detto fatto, ci butto dentro me stesso e il mio fardello, e quasi non ci stiamo, e lancio il motore elettrico a tutta birra.
Poco dopo, mi accorgo che ci sono dei ragazzini sulla riva in bicicletta che vanno un bel po' più veloci di me. Maledetti, motori a tutta forza capitano, mi avete sentito laggiù, in sala motori? Niente da fare, 'sto affare va al massimo a tre all'ora. Tre, dico sul serio. Sono sconfitto. Pero' il motore elettrico non fa nessun rumore e mi ci vuole poco a diventare Huckleberry Finn su una zattera sul Mississippi. Sento anche l'armonica.
Giunto a un possibile attracco, mollo il barchino e proseguo ancora un po', per recuperare il tempo perso con il motore elettrico. E' il bello e il difficile di questi cammini: sono a tappe e bisogna per forza raggiungerne una, fermarsi in mezzo è davvero complicato. Vedo un cartello che mi comunica che sono a 5200 chilometri dal Polo e a 4801,750 dall'equatore (il calcolo è più facile). Grazie, me lo segno. Odio questi cartelli mentre cammino da ore con dodici chili sulle spalle.
Cercando di riavvicinarmi alla ferrovia, finisco in una festa di paese in stile occitano, con tanto di cornamuse e di torneo cavalleresco, tutta la popolazione è in costume e mescola, come sempre, il sacro con il profano. In ambito profano sono strepitose le bancarelle di dolci, di miele, di formaggio di capra e di cioccolato amaro mescolato a frutta secca, arance, fichi, ananas, che vien via a pezzi da mezzo quintale. La tradizione alimentare è orgogliosamente rivendicata come catara, Albi non è lontana, e la "tragedia", come la chiamano loro, è ancora viva nei racconti, nei libri e nei cartelli. La "tragedia" sarebbe la crociata contro gli albigesi.
Anche la Spagna è vicina, in fin dei conti sto più o meno seguendo la via domiziana; tre indizi: enormi arene per le corride, anche nuove di zecca, compaiono gli euro con Cervantes di resto, la gente mastica semi di zucca o pistacchi e li sputa per terra. Se non è Spagna, poco ci manca. Peraltro, come non bastasse, vedo i Pirenei, carichi di neve.
Mollo il canale e punto Tolosa.

due

Histoire d'Eau.
Niente di erotico, parlo di acqua. Acqua che sorge dalle sorgenti di Uzès, non si sa esattamente dove, a venti chilometri da Nîmes. I romani, tutt'altro che pazzi, la incanalarono in acquedotto per cinquanta chilometri, più a lungo della linea retta per seguire i rilievi delle colline.
Il punto più spettacolare del percorso dell'acqua che approvvigionava Nîmes è senz'altro il Pont du Gard, come da solita attestazione a sinistra. 49 metri di altezza per oltre duecentocinquanta di lunghezza, tre piani, cinquantamila tonnellate di blocchi di pietra mordoré, si crede mille operai per tre anni al lavoro, il tutto attorno al 50 d.c.
Tanto gigantismo per la perfezione tecnica: tutto l'acquedotto ha una pendenza media di 34 cm per chilometro, essendo la fonte solo diciassette metri più in alto di Nîmes, il che significa che l'acqua ci metteva una giornata a compiere il suo percorso. Se questo non è prodigioso, ci si avvicina.
E ne portava tanta, eccome. C'erano le terme, l'Augustaeum, le fontane di Nîmes da alimentare.
L'acqua, quando arrivava a Nîmes, si raccoglieva nel castellum, sempre qui a sinistra, una larga pozza da cui si dipartivano le condotte in piombo che distribuivano l'acqua nei diversi quartieri della città. Le bocche di partenza sono ancora evidenti.
Qualche storico improvvido spiego' la fine dell'Impero romano d'occidente con l'utilizzo delle tubature in piombo. Esagerato, anche se in effetti il piombo non è esattamente indicato in questo genere di cose.
Sono del tutto rapito da tutta questa acqua trasportata, condotta e indirizzata con cura, per chilometri e per valli intere, conservata e mostrata come bene prezioso e simbolo di potere e prosperità; io trovo tutto cio', peraltro, di assoluta attualità, ora che l'acqua manca, resa preziosa dalla nostra consueta idiozia di segare il ramo sul quale siamo seduti, come sempre.

Ha quattro angoli retti? E' carrée.
Tanto Arles è spocchiosa, leccatina e pedante, tanto Nîmes è spettacolare. Non mi soffermo su quanto si trova nelle guide, arena, Maison carrée, tour magne, giardini della Fontana, tempio di Diana etc., anche se ne avrei una certa voglia, lo ammetto.
Città ricca, colonia romana di prima grandezza (Nemasus), da sempre in competizione con Lione, prima specializzata nella tessitura delle sete e nella coltura della soia, da un paio di secoli si è rispecializzata nel vino e si è data una bella rinfrescatina. Hanno chiamato Nouvel, Starck, Foster e hanno affidato loro un potente restyling, dalla galleria d'arte contemporanea ai quartieri residenziali. Lo stesso simbolo della città, un coccodrillo incatenato a una palma, è stato ridisegnato da Starck (che, per questo, poteva pure starsene a casa, a parer mio), per mantenere il legame con le origini della città: infatti, i terreni su cui sorge furono donati ai legionari romani trionfanti nella campagna d'Egitto contro Antonio e Cleopatra, da cui il coccodrillo incatenato.
Il tempio al centro della città è chiamato maison carrée per il semplice fatto che i franzosi tutto cio', rettangolo o quadrato che sia, che ha quattro angoli retti lo chiamano carrée. Fu casa privata nel Seicento, poi proprietà degli agostiniani che ne fecero una stalla dell'annesso convento (alla faccia, frati teppisti, altroché) e poi deposito durante la rivoluzione, tant'è che ha pure il numero civico, l'89. Saranno caduti l'uno e il sette?
E si' che questa è terra protestante, i camisards tennero in scacco a lungo le forze di Luigi XVI fino all'editto di tolleranza, 1788, e le chiese protestanti sono ancora numerosissime.
In città c'è trambusto, di questi giorni: dal 7 al 12 (e mi fermerei, quasi) ci sarà la Feria, perché questa è zona di tauromachia. Tori spagnoli, da Salamanca e da Siviglia, a garanzia, e toreri spagnoli mescolati a glorie locali, tre spettacoli al giorno di cui la stella indiscussa sarà Juan Bautista detto "El Cid". Spagnolo, evidentemente. Nîmes è anche gemellata con Salamanca, ci mancherebbe che non mandassero i tori.
Da Verona, anch'essa gemellata, forse mandano i pandori.
In una visita tra le tante non mi rendo conto in cosa mi sia intruppato e mi ritrovo in una sala con filmone in 3d, visto che siamo stati tutti dotati di occhialetti all'uopo. Da non credere, quando il gladiatore tira il colpo verso di noi, c'è gente che si sposta. Caspitona, sembra proprio proprio vero... Maddai, sembra piuttosto di giocare ad Age of Empires con lo schermo grande.
A proposito, novità tecnologiche in ambito turistico: l'audioguida. Ora, a parte la mia idiosincrasia per un affare che devi girare cercando il numero seguente per poi digitarlo e aspettare che la spiegazione sia finita e il percorso libero te lo sei giocato. A parte questo, dico, la cosa assurda - capita sempre - è che coloro che sono succubi dell'audioguida, mentre la spiegazione è attiva, guardano il numero sulla parete, belli fissi. Giuro, è da un po' che li guardo. Solo dopo, ad apparecchio zitto, alzano il capino.
Ieri sera ero fermo sulla riva di un canale ai giardini della Fontana e scrivevo, appena appena all'ombra di un sole bellissimo. Passa un ragazzo con una custodia di uno strumento musicale, mi guarda e, facendo un cenno ampio con il braccio verso il cielo, dice: "Grand journée pour la création".
Grazie, amico, mi hai allargato il cuore.

La torre di controllo.
Oggi in tardo pomeriggio, sempre a Nîmes, mi giunge un sms dal mio amico mr. S.
Dice, pressapoco: "NEMAUSUS Jean Nouvel. Avenue de General Leclerc 66". E aggiunge qualcosa sulla sua gioventù, deve essere stato importante per lui in qualche modo.
Eleggo mr. S. prontamente "torre di controllo del tardo pomeriggio" e mi concentro: ho una missione. Una missione oltre alle solite, ovvio, che sarebbero vendicare nostro padre, sconfiggere le nere orde di Mordor e portare la bellezza nel mondo con la danza. Parto per la destinazione sconosciuta.
Raggiungo la posizione indicata dopo un po', Nemausus, superando traversie inimmaginabili da essere umano; mi divertono moltissimo le indicazioni da lontano, essere guidato da una torre di controllo, appunto. Inoltre, ho già incontrato Nouvel a Lione, posso approfondire; e poi questa missione ben si accorda con quanto ho scritto e visto di Nîmes proprio oggi.
Arriva un'altra dritta: "Fai un giro sul ballatoio, se si puo'. E' fatto con materiali da catalogo di prodotti per l'edilizia industriale". Mr. S. sa che sono ignorante in materia, indicazioni graditissime.
Giro, vedo, apprendo. E' un po' scassato ma valeva la pena.
Grazie mr. S., questo splendido autoscatto a sinistra è dedicato a te, mia prima torre di controllo di questo viaggio. Apprezzo anche il fatto che non mi hai spiritosamente diretto in qualche vulcano o maelstrom, grazie.

uno

Maggio francese.
Oggi è il primo maggio, di conseguenza trivigante va in manifestazione.
Il fatto che io mi trovi a Nîmes non comporta alcuna difficoltà, anzi. E, infatti, mi aggrego al corteo, che si apre con il camion della Cgt che suona. Pero' suona Whatever you want degli Status Quo e Jump dei Van Halen. Sono confuso. Poi, meno male, passa a canzoni più consone che io non conosco, di cui una - bellissima - ha un ritornello che fa, se ben comprendo, "bataillons bataillons bataillons pour la justice" o qualcosa del genere. Che soddisfazione.
Più indietro, la parte di corteo della CNT, che è la confederazione del lavoro anarchica, che invece propone grandi classiconi della musica e degli slogan, tra cui la più comprensibile Internazionale. Per me, ovvio. Altre confederazioni? Non pervenute.
Passiamo anche sotto l'arena, il che - oltre al sole meraviglioso - aggiunge senso a senso a questa mia presenza qui, anche se non siamo tanti, questo devo dirlo. Un migliaio, forse, in fin dei conti Nîmes non ha tantissimi abitanti, centocinquantamila a spanne. E, infatti, veniamo controllati a vista da due poliziotti in bicicletta, senza nemmeno la pistola.
Giusto cosi', per carità, non chiedo la prima celere, pero' nemmeno dei polotti balneari, ecco. La manifestazione prosegue tranquilla tra canzoni, danze e rivendicazioni, sotto un sole caldissimo, un mistral fresco e carezzevole e una città bellissima.
E' pur sempre un maggio francese.

La storia paraguagia.
Come promesso il 28, riporto il racconto che il mio nuovo amico paraguagio mi ha fatto a Orange.
Il Paraguay, che è un paese davvero poverello ed esce da sessantun anni devastanti di governo del Partido colorado, in realtà potrebbe essere il paese più ricco dell'America latina, se solo riuscisse a ristabilire la propria sovranità sulle risorse.
Ma, attenzione, stranamente per una volta qui non si parla di Stati Uniti, ohibo'.
Il Paraguay possiede due enormi dighe sul Paranà e su una di esse si trova la più grande centrale idroelettrica del mondo, Itaipu. Sulla seconda diga si trova, invece, un'altra centrale, enorme anch'essa, che si chiama Yaciretá. La prima produce novantamila gw/h l'anno, che è circa quattordici volte il fabbisogno energetico del Paraguay, la seconda ne produce diciannovemila gw/h. Senza essere ingegneri, si capisce che basta e avanza per il paese. Pero'.
Un gigantesco pero', come spesso succede in Sudamerica: nel 1973 il generale Stroessner, vigliacco dittatore con pochi pari, in cambio di un considerevole pacco di milioni, si fece corrompere e sottoscrisse un doppio trattato cinquantennale con il Brasile, firmatario il generale Garrastazu Medici, e con l'Argentina, firmataria Maria Estela Martinez Peron. Tra i tre, non so chi sia il peggiore. Comunque, il trattato di Itaipu prevede che la metà dell'energia prodotta dalla centrale venga venduta al Brasile (25% del fabbisogno complessivo), il trattato di Yaciretá prevede che tutta l'energia prodotta dalla seconda centrale, più piccola, venga venduta all'Argentina.
Inoltre, tutta l'energia non utilizzata dal Paraguay deve necessariamente essere venduta ai due paesi compagni di merende. Simpatici strozzini.
Il Brasile paga ogni megawatt/h prodotto la bellezza di 2,72 dollari, come da trattato. Peccato che lo stesso megawatt venga venduto in Brasile a 80,84 dollari. L'Argentina? Uguale. Ora: se il Paraguay potesse vendere a prezzo di mercato la quota di energia prodotta in eccedenza dalle due centrali, guadagnerebbe 11 miliardi di dollari l'anno, al netto delle spese. Vale a dire, pari all'intero PIL paraguagio. Invece incassa 102 milioni di dollari l'anno.
E c'è di più: siccome il Brasile ha finanziato la costruzione delle dighe e delle centrali (costate 20 miliardi di dollari invece che 2, come da progetto), ne consegue che il Paraguay ha un enorme debito, per cui il Paraguay, oltre subire un furto, finanzia pure lo sviluppo brasiliano. I tassi pare siano da usura.
Il ministro dell'energia brasiliano, Edison Lobao (nomen omen...) sostiene che "il prezzo e' giusto". Cento, cento, cento, gira la ruota... Da parte del democratico Lula, nessun commento.
Oppure, se il trattato non è rivedibile fino al 2023, si ritocchino i prezzi, in nome dell'equità.
Cosa potrà fare Fernando Lugo è ancora da vedere, speriamo. Lula? Sveglia!
Per la serie, ancora: comodo fare i sinceri progressisti con l'energia altrui.

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