the b. site of the moon
sbrodolata finto-casuale di b.cose.
A Stalingrado non passano e, nel suo piccolo, neanche nel b.site. In ogni caso, rimane sempre il piano B.

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trivigante 2006

trenta

L'Internazionale comunista.
Via Tarascon (Tartarino di), arrivo ad Arles. Oggi diluvia a secchiate, maledetto Mistral, non riesco a capire come funzioni: ieri sera il cielo era una mappa astronomica e io avrei giurato di bearmi al sole; oggi, invece scorrono nuvole nere che mi fanno mal presagire per la giornata.
Certe sere, invece, giurerei che stia per venire giù il cielo e, invece, segue sole.
Avevo programmato di andare a piedi al Pont du Gard, piano saltato, treno per Arles. Comunque, causa pioggia appunto e coincidenza, dopo alcuni giri canonici, arena (come attestato da chiara testimonianza a sinistra), anfiteatro, terme di Costantino, chiostro e chiesa di Sant Trophime, gli strepitosi Alyscamps e un numero generico di caffè olé, mi imbatto in una sede del PCF. Questa a destra.
Magari malandato ma loro ce l'hanno ancora.
Non so bene per fare cosa ma entro. Buongiorno compagni, lavoratori, amici. Loro sono in sei, mi salutano calorosamente, vogliono sapere da dove vengo, perché e percome. Dico Italia, un po' timoroso, e spiego che sto seguendo, per ora, il Rodano. Loro non fanno una piega, mi offrono un caffé e parlano un po' del tempo. Forse l'ho scampata, non mi hanno chiesto nulla, meno male, altrimenti come glielo spiego?
Cosi' mi offro di aiutarli e passo due ore, belle, a formare dei piccoli mazzi di rose rosse e gialle per domani. Eh si', domani è un'altra bella festa. A un certo punto, il più anziano, il quale sta solo fingendo di lavorare ai mazzetti lasciando alle donne e allo straniero il compito nemmeno troppo di nascosto, vede che ho con me una copia di "Repubblica" di un paio di giorni fa e me la chiede.
Legge interessato, non capisco se capisce. Poi, dopo un po', alza la testa e mi fa: "Chi é Schifani?". Ommerda... e adesso? Io non lo so mica bene cos'è uno schifani... Sto schiscio: è un fedelissimo di Berlusconi, non so esattamente da dove venga, credo sia avvocato, azzardo, non mi viene in mente nulla di ascrivibile a Schifani.
E, nel frattempo, penso: a me Schifani piace. Fisicamente, intendo. Avete presente quando si arriva su Marte e subito una creatura deforme e mutante, con la testa piena di bozzi e occhi enormi, si avvicina strisciando e chiede qualche pasticca di droga potentissima che lo sta, evidentemente, devastando fino alla morte? Ecco, io penso a Schifani, quando penso a Marte.
Il signore rista e continua a leggere, tace, finché mi guarda per un po' e si vede che ha dentro la pressione che deve uscire. Io faccio finta di nulla e assolutamente non lo devo guardare. Ma è quello a fianco a me che, a tradimento, sbotta: "Ma com' e' possibile? Eravate anche al governo e poi, dopo quindici anni, ancora Berlusconi... e poi con i cattolici". Sono fottuto.
Eeehm, lo so, ma sapete... le tasse... l'evasione fiscale... l'alternanza... siamo sempre stati democristiani... eh, lo so, i fascisti, è vero, pero' c'è il partito democratico, è nuovo, è un progetto a lungo termine... cazzo. Non convincerei un sordo.
Compagni: non lo so. Non ne ho idea, nemmeno la più pallida. Poi ho un vago recupero: eh, come voi con Sarkozy, solo che noi lo sapevamo, prima. Capiscono e non insistono. Anzi, sono pure più affettuosi di prima. Grazie, ne avevo bisogno.
Finisco i miei mazzetti, sono quasi riconoscente, mi alzo, saluto e ringrazio, sto per prendere la porta quando sento dietro di me: "Pero' un fascista a Roma...". Faccio il signore, dico "touché'" invece che "E Le Pen?", sorrido indietreggio ed esco, comunque molto contento.
Buon primo maggio a voi, amici.

Una comparazione ingenerosa.
Ad Arles trascorse molto tempo, e con gran diletto, Van Gogh. Dipinse parecchio, qui, compresa la famosa stanzetta con letto e seggiolina, peraltro ancora visitabile. A prescindere da cio' che penso io al riguardo (sopravvalutato), dipinse moltissimo qui, angoli, piazzette, ponti e viali.
Allora, non posso non proporre una comparazione: il ponte di Trinquetaille dipinto da Van Gogh

e lo stesso ponte fotografato da trivigante, oggi:


Beh, che dire?, almeno il platano è cresciuto.

ventinove

Vous êtes papistes?
Courthezon, Bedarrides, Sorgues-Chateauneuf du Pape e poi Avignone, come appare evidente dal solito autoscatto qui sotto al ponte rotto di Saint Bézenet, il ponte della canzone "Sur le pont d'Avignon / On y danse, on y danse / Sur le pont d'Avignon / on y danse, tout en rond". Il Santo in questione fece costruire il ponte, poi danneggiato nella crociata contro gli Albigesi e definitivamente rotto da una piena del Rodano due secoli fa, perché glielo ordino' la voce di dio, tuonando dal cielo.
Se dovessi contare i ponti, le chiese, gli ospedali e i monasteri, i santuari costruiti per ordine divino, converrei che il signore ha una predilezione per l'urbanistica.
Comunque, penso che l'istituto dell'apparizione divina sia decisamente da ripristinare, con vantaggio per tutti: "Ascoltate tutti, mi è apparso il signore e mi ha detto che Alemanno non puo' governare, innalziamo templi e lodi al signore" e cosi' via. Non male. "Iddio lo vuole!".
Ecco, mi ero ripromesso di non parlare di Rutelli, accidenti, perché sono seduto sotto i platani, enormi, di rue des Ténturieres, vicino a un piccolo canale, e non ho la minima intenzione di rovinarmi la giornata, peraltro di sole meraviglioso, e ci sono cascato.
D'accordo, qualche riga. Primo: per fortuna Rutelli non era a Waterloo e a Stalingrado, staremmo tutti molto peggio. Secondo: non bisogna mica prendersela con Rutelli, povero caro, lui dove lo metti sta; prendersela con lui è come prendersela con un sasso di una diga che è crollata rovinosamente. Il sasso, ancorché marcio, è un sasso. Bisogna prendersela con l'architetto della diga, con chi l'ha progettata e con chi ha deciso di utilizzare quel sasso. Infatti, il commento più gentile - di sinistra - che ho sentito a Roma, alla notizia che avremmo dovuto votare per Rutelli, è stato: "corcazzo!". Detto questo, sarebbe ora di buttare via il sasso definitivamente. E, già che ci siamo, anche la moglie del sasso. Grazie.
Tornando ad argomenti più interessanti, a un certo punto, venendo ad Avignone, mi sono trovato a un trivio, che mi ha riportato al mio passato di studente di belle lettere: prima opzione, Mont Ventoux, ed ecco torna Petrarca e la sua ascensione ("Altissimum regionis hujus montem, quem non immerito Ventosum vocant, hodierno die, sola videndi insignem loci altitudinem cupiditate ductus, ascendi"), son duemila metri, altro che monte, ed è ventoso qui sotto, figuriamoci lassù; seconda opzione, il paese di Vacqueyras, poco distante, ed ecco che torna Rimbaut de Vacqueyras, trovatore del secolo XI, di cui nulla ricordo se non che ci facemmo beffe del nome, bestie!, immaginandolo errante con la sua mandria di vacche; terza opzione, Chateauneuf du Pape, luogo in cui producono il vino più incredibile (e costoso) che io abbia mai avuto modo di assaggiare. Ho scelto la terza, perché avevo un amico, anni fa, che consumo' con me tutte le sue preziose bottiglie di Chateauneuf du Pape, rosso, senza mai risparmiarsi e senza mai riservarle a migliore occasione che non fossi io.
Viva, dunque, le persone cosi', generose e rare.
Ad Avignone punto diretto al Palazzo dei Papi, schivando le torme di italiani mostri, con pantalone al ginocchio e infradito, bleah, perché non son papista ma da romano d'adozione uno sguardo lo devo pur dare. Un bel palazzone, non c'è che dire, anche bello grande. Pero', diciamocelo, un qualunque re serio, d'Aragona per esempio, possiedeva regge più grandi, signorili e maestose, per non parlare dei Papi romani, a San Giovanni in Laterano, abituati a ben altra qualità di vita, se cosi' si puo' dire. Non mi si fraintenda, a me Simone Martini piace e anche questo palazzone, solo che non è da Papi o, almeno, non da Papi cui siamo abituati noi. Questi, Giovanni XXII, Clemente V, Urbano V e cosi' via, erano Papi guerrieri, abituati a una vita frugale con moderazione di mollezze, incapaci di apprezzare un affresco e di distinguere un buon pittore da un frescone. O quasi.
Col cavolo che Alessandro VI sarebbe venuto qui, nemmeno a pensarci, le stanze non hanno finestre grandi, le piastrelle hanno su i pesci e sembrano disegnate da un bambino, non c'è nemmeno una cappella sistina o il soglio di Pietro; e come si chiama la grande sala da pranzo del palazzo papale?
Le grand tinel... Per non parlare del fatto che il Papa, quando usciva, lo faceva a dorso di un mulo bianco. Nono, proprio non va. E, infatti, tornarono.
E se il papato non fosse tornato a Roma? Domanda interessante (è il mio gioco di oggi) che vi giro: come saremmo noi e l'Italia se il papato se ne fosse andato definitivamente nel secolo XIV?
Comincio io: in aula, probabilmente, invece del crocifisso avrei avuto il leone di San Marco; presumibilmente, nella gastronomia sotto casa il venerdi' potrebbero smettere di fare solo pesce; invece che a catechismo, forse sarei andato a equitazione e ora sarei uno stronzissimo giocatore nano di polo; dubito infine che Michelangelo avrebbe dipinto lo stesso il Giudizio Universale, qui, magari avrebbe dipinto Forum. Altro?

ventotto

Il caffè olè.
Questa mattina presto ho preso un camino di ferro per andare verso sud, dal Rodano alla Provenza.
Lungo la ferrovia, vigneti e ancora vigneti, tutti belli ordinati con squadra e righello, come un quaderno delle elementari. Le viti sono tagliate in modo da restare basse, suppongo sia per agevolare i nani specializzati che si occupano della vendemmia. Talvolta alcuni vigneti sono verticali a tal punto che, immagino, per la raccolta dell'uva sia necessario chiamare delle legioni di nani rocciatori. Li vedo arrivare con un microscopico pullmino e lavorare alacremente come dei piccoli aiutanti satanici di Babbo Natale, con le loro manine voraci e le voci come dopo insufflazione di elio.
Per inciso, tra vigneto e vigneto, perché mica vivo nell'arcadia permanente, sono appena passato a fianco di una gigantesca centrale nucleare della EDF, Cruas-Meysse, a monte di Montelimar, sulla riva del Rodano, con quattro enormi torri di raffreddamento a cilindrone fumanti. La visione mi inquieta, penso a messié Lefèvre che, magari, sta facendo cadere del caffè sul pulsante dell'autodistruzione (ho torto?).
Comunque, sono venuto a Orange per rivedere il teatro romano. Sono molto affezionato a questo teatro, non per le dimensioni o la struttura (è il dramma di chi vive a Roma: fuori non c'è rovina che non sembri in scala ridotta, anche se questo non lo è) quanto perché è uno dei pochi teatri che possiede ancora la parete retrostante il palcoscenico, il proscenio, di solito la prima a crollare. Ne ho visto solo un altro, cosi', in Turchia, non ricordo se a Pergamo o Efeso o dove, e credo ne esista un terzo in Siria, ma non ho ancora avuto il piacere. Mi piace immaginare che il teatro sia assolutamente intatto e mi piace far finta di assistere a una commedia di Plauto in una serata estiva di duemila anni fa. Il muro esterno del teatro, momento guida turistica-aneddoto, è lungo 103 metri, che era la misura aurea degli isolati delle città romane. Cosi', se vi capita di contare i passi in città, magari scoprite una cosa interessante.
Invece sono seduto a un caffè e ho ordinato un caffè olé, perché mi diverte fare il macaroni' e storpiare le parole franzose. Per esempio, tra un po' andro' a comprarmi una mezza baguette imbottita per pranzo: la demuasell la chiamerà panini', perche' la chiamano cosi', io rispondero' ui', un panino' e lei mi guarderà come si guarda un paracarro. Quel divert'ment béstial.
Sono sempre seduto al caffè, che mi do' un tono leggendo Libération o Le monde diplomatique, quando - per mancanza di sedie - un signore divide con me il tavolo. Non essendo lui francese, attacca bottone volentieri e, soprattutto, parla inglese. Chisei, dadovevieni, le solite cose: lui è paraguagio, si gode una vacanza e aaaah, l'Italia. Vacci, gli dico, parlano inglese ancora meno che qui. Il discorso, è inevitabile, cade su Fernando Lugo e lui mi racconta una storia che raccontero' qui non appena l'avrà finita.

Amenità franzose/3.
Mi spiace non essere stato a Orange il 25 aprile scorso quando, in occasione non casuale della nostra italica liberazione, alla civica sala Daudet, ore 20, qualcuno ha dato spettacolo di cabaret italien con "Bella ciao".
Cabaret? Oh, franzosi, scherziamo? O c'è qualcuno di noi che se ne va in giro a fare il cretinetti?

La testa del capo.
Ancora del teatro di Orange.
Al centro del proscenio, un'enorme statua di Augusto, paludata con le vesti riservate all'Imperatore, ricordava ai gallici che l'autorità stava a Roma, che si godessero lo spettacolo offerto dall'Impero in luogo consono senza dimenticare chi comandasse.
La statua, oltre alla funzione, non ha nulla di particolare, ne venivano prodotte a centinaia a Roma, tutte uguali, e poi inviate in tutte le province per questo scopo.
La cosa interessante è, pero', che essendo i romani avveduti delle cose della politica e della vita, le facevano con la testa smontabile ed, eventualmente, sostituibile.
Perché le cose cambiano ed è meglio essere previdenti.

ventisette

Me ne vado in cerca di un grande forse.
Oggi sono qui.
Tempo fa qualcuno mi racconto' di un viaggiatore che aveva come missione visitare tutti i luoghi dichiarati patrimonio mondiale dall'Unesco. Io non so quanti siano ma l'impresa mi pare davvero improba. Di sicuro, quel viaggiatore conosce Lione che, cinquecento ettari di città protetti à la carte, è di sicuro il sito più grande di tutti. In pratica, tutto il centro città che sta tra i due fiumoni, il Rodano e la Saona, che pare un'isola ma isola non è, e la collina di Fourvière, che domina la città.
Qui stavano i Galli, quelli di Cesare debellogallico fedeli a Roma, che avevano il monopolio del vino e producevano tessuti che nessuno nell'Impero sapeva fare: sete dipinte che viaggiavano per ogni dove. Va da sé che la città, da sempre, brilla per ricchezza. Soldi veri, soldi dei mercanti, non a caso il Credit Lyonnais qui è una potenza. E i soldi, quando ci sono, fanno il resto.
Infatti, non un teatro romano ma due, di cui un Odéon solo per la musica da tremila posti, che usano ancora oggi: "ci vediamo stasera al tremila?", sentito poco fa, stasera suona Katie Melua. E i despoti Caracalla e Claudio venivano da qui, quando Roma brucio' sotto Nerone, fu Lugdunum, cioè Lione, a sostenere economicamente la capitale, mentre Parigi era ancora alle prese con la paglia sui tetti. E le cose non cambiarono, poi. Fu sempre a Lione che un Montgolfier si lancio' sull'aerostato, che Ampère gioco' con la corrente, che furono inventati i telai automatici, che pubblicavano libri a stampa secondi solo a Venezia, che i Lumière girarono la Sortie des usines Lumière, il primo film, che Saint-Exupery scrisse il Piccolo Principe.
E fu città libera fino al 1943, caso raro.
Ma non è, solo, per questo che sono qui. Sono qui perché "nulla è sì confacente quanto il falciar l'estate in cantina ben guarnita di carta e inchiostro di penne e temperino di Lione sul Rodano"
, come scrisse l'anagramma Alcofribas Nasier, il mio amato Rabelais che, mentre faceva il medico serio all'Hotel Dieu, qui scrisse e pubblico' Gargantua e Pantagruel, senza mica troppi problemi di rispettabilità.
E poi sono sulle tracce di Laurent Morguet, ex operaio della seta, cavadenti a tempo perso, che si invento' Guignol, marionetta satirica che si faceva beffe della politica e sputava pasquinate. E le marionette e gli automi sono la storia di questa città, esiste ancora un quartiere di marionettisti, le botteghe sono meravigliose, animano feste e feste di compleanno ma - si badi bene - la cosa è serissima, mica un gioco da bambini come si pensa.
Non tutta Lione è bella, anzi. Esco dall'Unesco e trovo la città mercantile, magazzini, porti, chiatte gigantesche, ferrovie e depositi, casermoni anni Cinquanta. Gli algerini, i marocchini, i tunisini, i senegalesi stanno appena fuori, i francesi in centro, anche se la regola non è ferrea.
Per arrivare alla confluenza tra Rodano e Saona, posto speciale che non mi voglio perdere, attraverso infinite zone industriali dismesse e in rovina, alcune enormi tangenziali e almeno quatrevent signorine mi propongono di fare "amole lungo lungo". Pero' oggi alla confluenza c'è il circo, è pieno di famiglie e le signorine sono un po' in difficoltà negli affari; inoltre arriva l'inspecteur e loro fanno finta di spostarsi, chiamandolo "cherie".
Pero' la città è in fermento, i cantieri sono dappertutto, i progetti di recupero delle aree dismesse fioriscono come i tigli sulla Saona, gli investimenti ci sono: il Museo della Confluenza è in cantiere, credo affidato a Libeskind o qualcuno del genere, sono in progetto un idroscalo, impianti sportivi, abitazioni, una nuova area portuale per le escursioni in battello, un pattinodromo e un numero imbarazzante di parchi. La ristrutturazione dell'Opera di Nouvel è cosa fatta, il Museo d'Arte moderna macina mostre che è un piacere, le linee del metro sono quattro e raddoppieranno a breve, i parcheggi sono quasi tutti interrati, le stazioni ferroviarie, grazie allo snodo del TGV, sono tutte nuove ed efficienti, il traffico viene spostato fuori città, le vélo' sono disponibili ovunque e ci sono un sacco di tualétt pubbliche gratis.
Di' niente. Reinventarsi una città, tocco con mano il bengodi degli urbanisti intelligenti.
Il sistema pare funzionare, i soldi ci sono come credo ci siano da noi, al centro-nord almeno, e il Lyon vince cinque campionati di fila.
L'amministrazione comunale ha imposto una tassa di soggiorno di 44 centesimi al giorno per i turisti, nessuno ha fatto una piega, nessuno si è dichiarato leghista o secessionista, nessuno ha bandito Lione dalle guide turistiche, per la semplice ragione che il ritorno in servizi è immediato e visibile. Il signor Jambon, che divide una birretta con me a Place Bellecour, mi spiega pacifico che se c'è un motivo valido per pagare, a lui sta benissimo.
E anche a me.

ventisei

Liberazioni.
Dopo la Liberazione di Milano, è venuta l'ora di liberare me stesso, almeno per un po' e vagolare allo sbando per la strada. Ogni tanto mi è necessario, da parecchio mi mancava il perverso godimento delle notti passate nelle stazioni e l'imprevisto creativo. Forse. E così da oggi sono in giro.
Prima tappa: Lione. So perché vedo lì, il resto verrà. Per arrivarci, sono zompato su un TGV versione scrausa, cioè coeva dei nostri Eurostar penultima versione, trooooppo anni Ottanta: il TGV cafone. Manco a dirlo, non c'è pero' un cellulare che è uno che suona, maledette persone civili, e se capita l'accidente telefonico esiste una specie di box-doccia in ogni vagone in cui ci si chiude a telefonare, cosi' non si scassa. Ma non è questo che mi sorprende, nemmeno il fatto che noleggiano le playstation o i lettori dvd portatili per il viaggio, quanto - piuttosto - mi lascia a bocca aperta il fatto che al baretto del treno i tavolini hanno, oddio svengo dall'emozione, delle cose per sedersi. Ancora una volta, viva Trenitaglia.
Per inciso, facciamo tutta la val di Susa a due all'ora, vien voglia di scendere e fare due passi accanto al treno. Potenza dei comitati NO TAV o qui è uso?
Per esplorare l'etere, che son ragasso tennologico e interagisco con il contesto, ho con me una radiola portatilina davvero piccola: tra gli 88 e i 108FM ci sono meno di tre centimetri e cosi', per selezionare una stazione specifica, devo chiamare un chirurgo dalla mano ferma. La prima canzone che sento dopo la frontiera è "L'estate sta finendo". Ma vaffanculo, i Righeira.
Se si trattasse di una specie di auspicio sul viaggio e la canzone fosse la frattaglia da interpretare, farei meglio a tornare indietro di corsa senza parlare con nessuno. Se, invece, è il caldo benvenuto francese al mio arrivo, leggo astutamente tra le righe che non sono il benvenuto... Comunque diciamolo, i franciosi, dopo Brel, Montand e Piaf, si son proprio musicalmente rincoglioniti, nell'abbraccio mortale di Johnny Halliday. A parte, solo, un po' di elettronica. Che a me, pero', non piace. Auguri, buongustai, e avanti a tutta forza con l'autodeterminazione musicale.
E ora, il momento dell'emigrante: siccome Paolini non me l'ha detto, qualcuno mi puo' spiegare a che accidenti servono le righe bianche a zig-zag nelle gallerie ferroviarie?
Un ricco cotiglione franzoso, prometto, a chi mi evita la fusione del cervello per troppo cosare. Grazie.

Amenità franzose.
Varco la frontiera e vualà, amenità numero uno, il pisciatoio con la mosca disegnata dentro. Al mio sguardo perplesso, un signore d'oltralpe mi spiega paziente che disegnando una moschina vicino al buco, il maschio è portato naturalmente a puntare, ehm, il potente getto sulla mosca, ottenendo in maniera inconsapevole un ottimo e pregevole risultato in pulizia.
Naturalmente resto di stucco perché anch'io l'ho fatto e la mia autostima di maschio, è chiaro, ha ricevuto una bella botta e si nasconde sotto i piedi.
D'accordo, la dico tutta: beccare la mosca è spassoso. Lo ammetto. Eh...

Amenità franzose/2.
Turista italiano all'estero: questa è dedicata a tutti i pendolari e viaggiatori di treno in generale in Italia.
Nell'immagine è possibile ammirare senza finzione né dubbio una normalissima carrozza di treno franscioso e - attenzione attenzione - trattasi di normalissimo locale, regionale, insomma che fa tutte tutte le fermate, LOCALE! Beh, a volerla dire tutta, non ci sono né le prese della corrente né le hostess ignude che portano il campari né la sauna per lo stanco pendolare... Per la serie: c'è vita civile qua fuori, italiani. Beh, niente di nuovo sotto il sole altrui.

ventiquattro

Liberazione.
Alla faccia degli assessori missini, dei sindaci pistola alla ricerca di una carezza dal padrone, alla faccia di questo governo e di tutti coloro che l'hanno votato, alla faccia dei servi, alla faccia di chi smania per diventare ministro o segretario comunale, alla faccia di chi non sa cosa sia la lotta, alla faccia di chi evade le tasse e poi usa le strade e gli ospedali, alla faccia dei fascisti, alla faccia dei (scusate la parola) forzitalioti, alla faccia degli idioti, alla faccia di chi non andrebbe mai in montagna per un'idea, alla faccia di chi non ha la fantasia di immaginare il meglio, alla faccia degli sfruttatori, alla faccia di chi ha la faccia come il culo, alla faccia dei reazionari amanti dell'uomo forte, alla faccia di chi in piazza non ci va, alla faccia di chi ha paura dei comunisti, alla faccia dei dirigenti, alla faccia dei padroni, alla faccia della presidente di confindustria, alla faccia delle cordate italiane, alla faccia di chi non conosce la propria storia, alla faccia di tutti questi, noi domani festeggiamo.
Festeggiamo, ricordiamo e rendiamo onore, tra gli altri, alle 35 mila donne partigiane combattenti, alle 4.653 di loro che furono arrestate e torturate, alle 2.750 che furono deportate in Germania, alle 2.812 fucilate o impiccate, alle 1.070 cadute in combattimento.
Io sarò a Milano e non permetterò a nessun idiota di rovinarmi la festa: loro si godano la giornata dell'orgoglio SUV, a noi il 25 aprile. Ognuno abbia ciò che si merita.
Trivigante aderisce a radici resistenti, come da immagine sopra, buona liberazione a tutti noi.

ventitre

Gran giorno il venticinque aprile.
Diciannove secondi dopo la mezzanotte e venti, mancava poco e quasi passava il momento, Radio Renascença trasmise Grândola vila morena di José Afonso. Era il segnale, l'MFA era già pronto. Grândola, vila morena / Em cada rosto igualdade / O povo é quem mais ordena. Si diceva di stare in casa, ché fuori succedevan cose, era pericoloso, magari si sparava. Ma chi se ne importa, c'è la rivoluzione, la rivoluzione contro il fascista Caetano, quarantotto anni sono troppi, per una dittatura anche un giorno è troppo. Tutti in strada, dunque, e garofani nei fucili dell'MFA. Portogallo, 1974.
"È stato un brutto sogno che è passato, un boccone amaro che è finito". Sono le parole di Eu vim de longe di José Mario Branco, cantata per le strade durante i giorni e i mesi seguenti.
Gran giorno, il 25 aprile.

ventidue

In avvicinamento.
Si avvicina il 25 aprile, la più bella festa che ci sia.
Quest'anno, causa elezioni, il centro sarà Roma, nel senso che si proverà a sostenere un candidato poco proponibile per provare a mettere un freno al dissanguamento di voti e consenso. Peraltro, i coltelli sono già pronti nel PD, in caso di sconfitta romana: sarà guerra aperta.
In ogni caso, la sede naturale del 25 aprile resta Milano, per ragioni storiche e per ragioni ovvie, tra cui - di questi tempi - andare a fare una bella festa in casa del nemico. Anche se, a differenza del memorabile 1994, immagino che quest'anno il tono sarà minore, siamo ancora tutti basiti e ammutoliti, orecchie basse e sguardo perso alla ricerca di un appiglio.
Sparito l'Albertini che omaggiava i caduti della RSI con spirito pareggiatore, adesso c'è la Moratti. E io osservo: due anni fa fece la piazzata con il padre carriolato e si beccò fischi e monetine perché non avrebbe dovuto essere lì a far campagna elettorale; l'anno scorso fu fischiata sul palco perché vedere Letizia Brichetto Moratti Viendalmare gridare "Viva la Resistenza" fu un filino comico; quest'anno annuncia che non sarà presente per altri impegni e l'ANPI fa sapere che è un'"assenza che ci rammarica".
Compagni, diamoci una linea, eccazzo: la Moratti ci deve essere o no? Siamo contenti se non c'è e l'ANPI è ironica? O ci deve essere perché così poi possiamo insultarla? Oppure, decidiamoci, qualunque cosa faccia la Moratti, noi siamo contro?
Decidiamoci, compagni, una qualunque.
Non si può mica andare avanti così, sempre allo sbando e sempre senza una linea cui essere fedeli, porco cane. Io sono contento se la Moratti non partecipa, mica per motivi politici o di opportunità: sono contento perché con la Moratti non prenderei nemmeno un regionale per Brambate. Ma un minimo, dico un minimo, di unitarietà nelle posizioni ci vuole, cazzuola.
Quindi, qualcuno mi faccia sapere se devo essere contento o meno che quest'anno non c'è. Grazie.

ventuno

Luoghi pericolosi.
Da Repubblica di oggi: un bimbino viene smarrito dai genitori in Vaticano.
Ma benedetti genitori, dico io, con tutti i posti pericolosi per un bambino (cantine, pozzi, il tg4, cisterne, mc donalds etc.) proprio nella tana del lupo dovete portarlo? Avete idea del rischio che avete corso, nel luogo più pericoloso al mondo per l'infanzia? Sarebbe stato più sicuro mollarlo alla stazione termini con duecento euro appesi al collo.
Fortuna che l'hanno ritrovato sano e salvo.

diciotto

Bye bye Berlusconi.
Eh, magari. Invece si tratta di un film, "Bye bye Berlusconi" o "Buonanotte topolino", una coproduzione italo tedesca di due anni fa. Che in Italia nessuno ha visto, nonostante sia passato alla Berlinale e poi sia uscito in diverse sale in Germania, con un ragionevole successo.
Perché nessuno l'ha visto? Perché la censura, che in Italia fino al luglio scorso viveva e lottava insieme a noi, rifiutò il visto per motivi ridicoli, a dir poco.
Ora si può: qui il sito e qui si può scaricare a 4.99 euro, formato .avi. Grazie.
Da luglio 2007 (governo Prodi, questa la aggiungo per i detrattori a oltranza) la censura preventiva sui film non esiste più, esiste una Commissione di classificazione dei film per la tutela dei minori del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il che, tutto sommato, non è fatto trascurabile, basti pensare a, esempi, Pasolini o Bertolucci (quest'ultimo privato, oltre a tutto, dei diritti civili per cinque anni per aver girato Ultimo tango a Parigi... che vergogna!). Detto questo, comunque nelle sale non esce e tocca scaricarlo.

sedici

Oscenità.
La débâcle è stata colossale, sono crollate una dopo l'altra le prime, le seconde e le quinte linee.
Le interiora sono annodate più che mai, i capelli ancora ritti in testa, la tolleranza democratica l'ho sudata fuori per lo spavento. Da mesi, il cagone brianzolo avanti a tutti, mi veniva detto che avremmo perso e io, stolto, a credere che no, maddai, non è mica possibile, ancora?, saremmo la parodia di noi stessi quindici anni dopo, saranno pur cambiate alcune cose...
Invece sì.
Condannati alla ripetizione, come fosse il giorno della marmotta in chiave incubo-politico. Uniche varianti nella trama, rispetto all'incubo della notte precedente, Cuffaro che entra con i cannoli in parlamento e - sono davvero sconcertato - il candidato della sinistra alternativa che aspetta i risultati elettorali nell'Hard Rock Cafè di via Veneto.
Un incubo riuscito.
Da un anno a questa parte, la maggior parte dei mezzi di informazione internazionali ha cominciato a ritirare i propri corrispondenti dall'Italia, destinandoli a sedi di maggior respiro o attualmente più rilevanti. La cosa ha assunto proporzioni consistenti, al punto che è stata notata da alcuni giornalisti italiani: uno di questi, il direttore di Internazionale, ha intervistato uno di questi corrispondenti in fuga, diretto alla sede di Parigi per l'Europa orientale, chiedendo le ragioni di questo fuggi-fuggi. Il corrispondente, candido, ha risposto: "Non vorrei essere offensivo per nessuno, ma l'Italia è il paese più sviluppato del terzo mondo". Giudizio un filino tranchant, concordo, ma sottintende una sostanza non troppo lontana dal vero. E significa che se esiste un'orbita nella quale adesso succedono delle cose, ecco, noi al momento non la intravediamo.
Condannati alla ripetizione, in un paese che non ci appartiene e che, palesemente, non comprendiamo. Twentieth century go and sleep/you're Pleistocene/that is obscene/that is obscene. Ora è primavera e tra poco è di nuovo il 25 aprile, contiamo i nostri amici, quelli veri, stringiamoci e raccontiamoci cose nuove, inventiamoci da soli ciò che il paese non ci dà. Hollywood is under me/I'm Martin Sheen/I'm Steve McQueen/I'm Jimmy Dean... E poi, ancora e di nuovo, resistenza.

quattordici

In attesa di sorprese.
A Roma oggi c'è il sole, si sta in maglietta e verrebbe voglia di andare a dormire in un prato, guardando le nuvole che corrono per il ponentino. Ma no, non si può mica, ci sono le elezioni (cinque schede, a Roma, manca solo la schedina) ed è il caso di scoprire, ancora una volta, se devo (dobbiamo) mettere i dìdimi in una pressa o, magari, stavolta si riesce a mettere in piedi qualcosina di vagamente costruttivo. Senza esagerare, eh, sia mai che ci vien un raffreddore a cambiare qualche cosa in 'sto cavolo di paese.
Difficile fare previsioni, anche se - problema mio - non capisco come sia possibile che oggi si presenti una situazione perfettamente speculare a due anni fa: grande differenza tra i poli, riduzione e rimonta nei mesi, previsto pareggio. Pare cosa costruita a tavolino, mi lascia perplesso. Se così dev'essere, comunque, mi accontenterei se toccasse a loro (pdl e schifezze varie), stavolta, vivere la notte d'inferno che abbiamo vissuto noi due anni fa: un incubo, con alla fine un governo che più balengo non si poteva. Non era il voto ideale, figuriamoci, ma almeno non era scandalosamente cretino.
Boh, difficile. Meglio appoggiarsi su qualche dato certo, per ingannare l'attesa:
- il più stronzo di tutti: Formigoni, che (ancora!) si candida alle politiche senza il buongusto di dimettersi dalla presidenza della Regione, giusto per vedere l'effetto che fa e decidere poi a culo parato;
- la seconda repubblica: da che fingiamo di vivere nella seconda repubblica, abbiamo votato alle politiche quattro volte, oggi cinque, con alternanza quasi idiota: stando al rigoroso principio politico del "non c'è due...", oggi toccherebbe al nano maledetto;
- il nano maledetto: sfrontato assoluto, quinta volta che si presenta candidato alla presidenza del Consiglio, bella faccia da culo: ovunque, quando uno perde una volta (una, non due come lui) va a casa, anche senza essere impresentabile da sempre;
- mistero: come al solito, stile italiano nel mondo, non perderà nessuno: soltanto, qualcuno vincerà e qualcuno non perderà, una certezza;
- trentadue anni: dopo 32 anni, manca Mastella tra i candidati: io mi sento bene;
- ipotesi assurde: cosa penserei di un paese che votasse con una legge elettorale scritta da un rincoglionito leghista? Che son dei mentecatti, come minimo;
- certezza finale: dovendo, come ormai d'abitudine, votare contro, stasera o domani sarò molto incazzato, in ogni caso. Il fatto di non essere il solo non mi rassicura nemmeno un po'.

tredici

Viva Meucci.
Come scrivevo il 4 marzo, oggi è il Meucci blog day. Il 13 aprile è l'anniversario della nascita dello sfortunato inventore del telefono e, come proponeva Gimmi, oggi lo si celebra con un post, alla faccia del perfido e troppo fortunato Bell.
Io, come mi va, lo celebro elencando una serie di espressioni che sarebbero state diverse se la storia, metti il caso, fosse stata diversa: please ring the meucci; Packard Meucci; Mike Olfield, Tubular Meuccis e Mike Olfield, Tubular Meuccis II; The Liberty Meucci; Taco Meucci.
E, soprattutto: and therefore never send to know for whom the meuccis tolls, it tolls for thee. Viva l'eroico Meucci, abbasso quel culone di Bell.

undici

Saggezza egiziana.
Poggio Bracciolini, fine e spiritoso raccoglitore di facezie e sapiente studioso, già all'inizio del XV secolo affrontava argomenti tutt'altro che nuovi. Riporto una facezia.

Un Egiziano esortato alla conversione (De Aegyptio hortato ad fidem)
Un Cristiano esortava un infedele, un Egiziano cui era legato da lunghi rapporti di amicizia, perché nel corso di un suo viaggio in Italia entrasse almeno una volta in una chiesa per assistere alla celebrazione di una messa solenne. L'Egiziano accettò e assistette a una messa insieme con i cristiani. Più tardi, a un ricevimento gli domandarono che cosa ne pensasse del cerimoniale e della solennità del sacro rito; e quello rispose che aveva apprezzato tutto dall'inizio alla fine, salvo una cosa: che in quella messa non era stata osservata la carità, dal momento che, mentre tutti avevano fame, soltanto uno aveva mangiato e bevuto, senza preoccuparsi di offrire anche agli altri la loro parte di cibo e bevande.
(Poggio Bracciolini, Facezie, Milano, Garzanti, 1995, trad. di S. Pittaluga)

dieci

Spirito olimpico.
Dopo le contestazioni olimpiche a Londra e Parigi, spero che a San Francisco - per non essere da meno - infilino la torcia nel sedere del tedoforo e gli diano fuoco ai capelli. Buenos Aires, dovendo accentuare ancora la protesta, sta meditando spettacolari lanci di razzi sui portatori di fiaccola.
Ora: protestare in favore della causa tibetana sabotando il percorso della fiaccola olimpica è un po' come picchettare la piramide egizia di Gardaland per esprimere dissenso nei confronti di Mubarak e della politica egiziana. Oppure fare un sit in al Casinò di Venice per protestare contro il MO.S.E. Non c'entra molto, protestare senza centrare l'obbiettivo è come non protestare.
Peccato, infatti, che tutta la faccenda ipocrita della fiaccola e del tedoforo sia un affare del C.I.O. e non cinese; peccato che minacciare (ah! ah!) di non presenziare alla cerimonia di apertura abbia effetti pari a zero, se tre quarti delle cose che importi sono prodotte in Cina (e se colui che minacci se ne impippa allegramente); peccato che Londra già si preoccupi perché le prossime olimpiadi saranno loro e che fare se poi i cinesi non vengono o rompono le palle?
Dagli atleti sono pervenute solo preoccupazioni allarmate sulle dimensioni degli armadietti.
Altri tempi, altri atleti: Messico 1968, oltre a Tommy Smith e John Carlos, pugni chiusi in guanto nero, Ralph Boston, saltatore, andò sul podio scalzo, così come Bob Beamon, medaglia d'oro leggendaria, andò in calzini neri e Ron Freeman, Larry James e Lee Evans coprirono l'intero podio con i loro baschi e guanti neri. E non ce l'avevano con il paese organizzatore...
Altri tempi e altri atleti, bisogna farsi carico in prima persona, altrimenti non vale. Per esempio, avrebbe dovuto avere ben altra risonanza l'annuncio del grandissimo Gebrselassie di non correre la maratona causa inquinamento, altra questione non da poco, ma la cosa è scivolata via come sua fisima personale. Sei asmatico? Fatti tuoi.

Quantomeno, Spielberg ha rinunciato all'incarico di sommo stilista della cerimonia di apertura protestando contro la situazione in Darfur, causata anche dalle amicizie pericolose tra i governi cinese e sudanese: ci ha messo la sua faccia e questo è bene, ha dato un poco di visibilità alla causa dei diritti umani. No, dico: Spielberg! Quello di E.T., quello superbuono che produce Ritorno al Futuro
, se c'è arrivato lui, ce la possiamo fare anche noi, secondo me.

nove

C'è vita qua fuori.
Ho passato gli ultimi cinque anni rinchiuso in un ufficio. Ora che, alla ricerca di qualche nuovo ingrediente, non sono più una risorsa umana, mi sono dato alla macchia e vivo nella clandestinità lavorativa, comincio a scoprire alcune cose stupefacenti. Banalità, me ne rendo conto, sono nuovo del mestiere e non sono ancora tanto pratico nella gestione del tempo; ma diventerò a breve un eccellente contemplatore tramontista e riuscirò di certo a coglierne il godimento, che mi assicurano esista (ho molto da imparare dal mio amico lasino).
La prima domanda è: perché nessuno mi aveva detto che c'è vita sulla terra nelle ore canoniche d'ufficio? Vale a dire: com'è possibile che a qualunque ora ci sia in giro un sacco di gente che corre, mangia, si guarda attorno, dorme nel parco, fa la spesa con calma, si gratta? Chi sono costoro? Come fanno? Chi li manda? Perché io non lo sapevo?
Ho provato a fermarne qualcuno, "scusi, lei non ha un lavoro? come mai è in giro? qual è il suo segreto?" e ho raccolto le seguenti indicazioni: tre fanculi, un "lavoro? aaah, no, io non pratico" e sei sguardi interrogativi. Il mistero è ben lungi dall'essere risolto, sono neofita. In generale, mi han proprio guardato come si guarda una pianta crescere. Devo essere cretino, evidentemente, perché mi sfugge il punto. Meglio che io parta il prima possibile, probabilmente.
Cosa che farò, subito dopo le elezioni, in ogni caso.
Ecco perché, causa la mia dipartita dal mondo del lavoro, il b.site si è trasferito (temporaneamente) in questo spazio: cercherò di andarmene in giro finché bastano i soldi e posterò da remoti internet point non appena possibile. E, visto che la cosa sarà temporanea, tanto vale utilizzare qualche strumento offerto dal web 2.0 semplificato.
Poi, ritrovata la stabilità, tornerò al mio html 0.8, giuro.

nove

L'ora del piano B: il b-bsite.
Il bsite, per qualche tempo, cambia aspetto e forma.

Le ragioni: essendomi lavorativamente immolato in nome della mia libertà personale ed essendo, dunque, a spasso per un po' (non so bene dove né per quanto) si è reso necessario qualche mini-adeguamento tecnologico che mi permettesse di riempire come mio solito il b.site di amenità, ovunque io mi trovi.

L'espediente: trattandosi di situazione - immagino - temporanea, ho optato per lo spostamento del b.site su una piattaforma un po' più semplificata e per me meno elastica ma più versatile nella fruizione e nella compilazione. Ecco perché il b.site per un po' diventerà un blog a (quasi) tutti gli effetti. Poi, se le cose torneranno al loro posto, tutto tornerà come è stato finora. Credo.

La prova: diventando un blog, ho deciso di provare, nonostante la cosa non mi abbia mai molto convinto, e di lasciare attivata la funzione "commenti". Non so come andrà, è appunto una prova.

En passant: qualcuno ha mica un lavoro da offrirmi? Consumo poco e sono devoto, sul serio.

L'unica informazione utile di tutta 'sta cosa: il nuovo indirizzo, b-bsite.blogspot.com

La chiusa: se, dunque, qualcuno avesse voglia di continuare a leggere le mie amenità e, magari, di partecipare, mi trova di là, per un po'. L'indirizzo di posta resta lo stesso (posta[at]trivigante.it).

otto

Servi e venduti.
Il bsite è anche, essenzialmente, memoria, ragione per cui non posso dimenticare una notizia così squallida. I loro nomi sono Marinella Brambilla e Niccolò Querci, e nel 1994 svolgean professione di, rispettivamente, segretaria personale del Presidente del Consiglio e segretario particolare di Palazzo Chigi.
Sì, infatti, dire "1994" e dire "Palazzo Chigi" indica una cosa sola: Berlusconi.
I due segretarii sono stati condannati in secondo grado per falsa testimonianza nel processo per le tangenti alla Guardia di Finanza. Infatti, entrambi hanno negato che Berlusconi avesse incontrato Massimo Berruti (personaggio parecchio losco e venduto) l'8 giugno del '94, spiegando che il capo aveva fatto altre mirabolanti cose. Poi, però, è saltato fuori un pass e l'agenda di Berruti. Ahi, ahi.
E come la storia insegna, i servi ci lasciano qualche penna (un anno e quattro mesi a testa) e il padrone porta le chiappine fuori dal tribunale sano e salvo: assolto in appello. Complimenti ai due per la schiena dritta. Comunque, almeno a Querci non è andata male, finora: adesso fa il vicepresidente di Publitalia. Accludo squallida foto dello squallido uomo.

quattro

E una è fatta.
Ho bisogno dell'intelligenza degli elettricisti, ho bisogno di energia solare per vincere gli scontri, devo dare gas alla cervice senza narcotizzarmi, ho bisogno di impegni nuovi e non più di novità scongelate, devo abolire le ripetizioni, per quanto possibile, devo recuperare la consapevolezza di me e delle cose su cui mi siedo, devo provare a consumarmi in un lavoro che sia di nuovo difficile, devo vedere ancora un po' di mondo, devo stare lontano da chi verbalizza, devo cacciare le persone lente e circolari, devo avvicinarmi alle spine, è ora - insomma - di cambiare alcune cose, cinque anni sono tanti.
Oggi mi sono dimesso.

due

Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte sette.
Le altre sei puntate stracciacosi del viaggio all'interno del corpo elettorale sono più sotto oppure nel burocratico indice nella colonna di sinistra, in fondo.

cap. 5: il campionato dei distinguo (appendice).
Dalla puntata di ieri, dedicata ai luminosi esempi di distinguo politico, sono rimasti fuori quattro casi lampanti, che sarebbe un peccato sprecare. Si erano nascosti, vigliacchi, ma li ho ritrovati.
Li aggiungo a mo' di appendice del precedente capitolo, per poi passare ad altro.

Democratici. Un binomio di liste democratiche che si distinguono per il numero di sillabe del nome. O, meglio, i paladini, che nulla paiono avere a che fare con Barletta, presentano qualche indizio un po' giussanesco nella figurina scudocrociata, oltre al sostantivo "forza" che rimanda a destra; gli altri, il MDLF, potrebbero essere una lista della Plasmon. O dei Ringo Boys, vista la stretta di mani.

Facile dire cristiano. Bella botta di vivace manicheismo cristiano cattolico, tutti contro tutti, gli alleati contro i cattolici liberali, gli ortodossi e passatisti delle origini contro i cattolici progressisti, i papisti contro i lefevriani, gli europeisti contro i loretisti, i bassi contro gli alti.

cap. 6: il resto mancia.
Ultimo capitolo, dedicato ai rimasugli, in senso buono, vale a dire le liste che non sono riuscito a catalogare in altro modo. Avrei potuto, è vero, in qualche modo, ma esse resistettero. Eccole.

Back tu de fiucia. Viaggiare nel tempo? Si può. Essi l'hanno fatto e sono venuti dal futuro per darci indicazioni. Chiaro che, fossero eletti, verrebbero a crearsi una quantità di paradossi spazio-temporali difficili da risolvere, primo tra tutti l'effetto loop per cui continuerebbero a essere eletti dopo essere tornati ogni volta dal futuro. Oppure, altra ipotesi, si tratta di una lista di neonati.

Dall'universo profondo. Questi non hanno viaggiato nel tempo ma nello spazio. E intendo lo spazio siderale. Come spiegare altrimenti il nome e il simbolo, che è un'evidente rielaborazione del logo Ares o di Robotech?
Benvenuti, amici, speriamo veniate in pace. Non rubate tutto.

Braccia rubate all'aeronautica. Non ho idea di quali siano le posizioni ideologiche delle due liste seguenti né dei loro principi programmatici. Posso intuirli vagamente. Di certo, entrambi i simboli, in caso le elezioni andassero male, possono andare più che bene se attaccati su una bella giacca di pelle da Top Gun, con occhiale nero, animo fascio e un tomcruise nel cuore.

Abbiamo sbagliato il nome. Speriamo non abbiano fatto i manifesti.
Altrimenti, aggiungere la "R" è un fatto più che naturale.

Sotto il cielo di un'estate italiana.
Quel sogno che comincia da bambino  / e che ti porta sempre più lontano  / non è una favola - e dagli spogliatoi  / escono i ragazzi e siamo noi.

Happy together. Ah, l'Italia della cultura, dei gusti raffinati, della storia millenaria, dei poeti e dei filosofi, delle liriche d'amore e delle serenate, patria del diritto, ricca di mecenati e di artisti...
Certo, come no: molto pitorésko.

Comando sbagliato. Passi "azione popolare", occhei, ma che dire della scritta "Reset Party" fatta con il Dymo? Altro che "Reset Party", qui il comando corretto (cito battuta altrui) è Format c:

Latinorum? Significato: Comitato Assistenza Italiani Europa. Dal manifesto: "Quando gli ITALIANI nel Mondo sapranno di noi e saranno a conoscenza dell’importanza di avere persone di fiducia pronte ad ascoltarli e a formulare un programma politico intelligente in grado di risolvere i problemi degli Italiani, probabilmente di sottoscrizioni ne avremo MILIONI". Certo.

X. Passi la fetta di toast, passi il nome vagamente vago, passi la poca intesa cromatica, ma la "X" no, maledizione, la ics no. E fare "Ints X l'IT" no, eh? Vergogna.

Si conclude qui l'immane, estenuante, galoppatona tra i simboli delle liste bislacche, durata ben sette puntate e sei capitoli, troppo per le forze di chiunque, figuriamoci di trivigante.
Per coloro che non ne avessero abbastanza, esistono anche di questi autolesionisti, ecco i due files completi, direttamente dal frigorifero del Ministero dell'Interno: uno (9,6mb) e due (2,5mb).

uno

Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte sei.
Le altre cinque stufose puntate del viaggio all'interno del corpo elettorale sono più sotto oppure nel malandrino indice nella colonna di sinistra, in fondo.

cap. 5: il campionato dei distinguo.
Capitolo cinque, dedicato a qualche luminoso esempio di distinguo politico, cioè le differenze programmatiche che rendono  - per esempio - il Movimento di liberazione palestinese ontologicamente distante e differente dal Movimento di liberazione della Palestina. Votare uno piuttosto che l'altro è indice di una reale scelta di campo, di un diverso approccio all'esistenza, ovvio. Un po' come optare per un parrucchino o, invece, per un trapianto, tricologicamente parlando. Apparentemente paiono simili, se non uguali: chi non coglie le differenze, è evidente, non se ne intende di politica. Distinguo, appunto.

Moderazione. Una bella triade di distingui, perché è evidente che dire "moderati" non vuol dire avere capito che cosa sia davvero il moderatismo. Il moderatismo, quello vero, non è avanti al centro contro gli opposti estremismi, è essere moderati al punto da non essere così poco moderati come quei moderati, bensì essere i soli, gli unici, i primi, davvero moderati. Nessuno è moderato come me.
Alla ricerca del Sacro Graal delle differenze, ho pensato di ordinare i seguenti simboli da quello che mi pare più vicino alla sinistra (moderatismo di sinistra moderato) a quello, blu, che mi pare più destroide (ma sempre molto moderato, ovviamente). Ma è difficile, perché volevo prendere una decisione moderata.

Doppio salto moderato. Noi stiamo al centro. Se ci stiamo noi, gli altri devono essere ai lati. Quindi, meno moderati. Inoltre, siamo anche un polo civico, non un partito. Il che vuol dire, come minimo, moderati doppi, moderati al quadrato. I moderati tra i moderati. I moderatissimi. Ci abbiamo messo un sacco di tempo anche a decidere i colori del simbolo, figuratevi.

Donne. Le donne d'Italia sono diverse dalla donne d'Europa. Almeno questo è quello che capisco io osservando vicini i due simboli qui sotto. La cosa era già nota sulle spiagge di Riccione dagli anni Sessanta, direi, e i bagnini erano già a conoscenza di questo segreto. Ah, le svedesi! Mica come le italiane.
Mi pare, poi, che le donne d'Europa non siano candidate al ruolo di presidente del consiglio, come tutti, ma a quello di sceriffa, a guardare il simbolo.

Cloni. Beppe Grillo non si candida. Il che non fa deflettere minimamente alcune liste che, pur di mettere Grillo, in qualunque declinazione, nel simbolo o nel nome, se ne impippano allegramente.
Tra tutte ne ho scelte due, qui sotto, per esemplificare la cosa. Una, quella di sinistra, vince i quarti di finale contro la sua omologa per il nome vincente: "Movimento Ultima Speranza". Il MUS, che sprizza vitalità e ottimismo, fiducia nel futuro e muco di mente balenga.

Cloni venuti male. Se Grillo non dovesse piacere o riscuotere successo, lo farà la montagna per lui. A chi non piace la montagna? Dai, sul serio, a chi non piace? La facciamo rinascere, eh?
Un colpetto al Grillo e uno alla montagna, la montagna piena e il Grillo ubriaco, due Grilli con una montagna.

Sistemati anche i distingui, che per una volta non sono solo prerogativa della sinistra, la strada ormai si fa in discesa, visto che siamo ormai entrati nel mese elettorale.
Alla prossima: "Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte sette".

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