the b. site of the moon
sbrodolata finto-casuale di b.cose.
A Stalingrado non passano e, nel suo piccolo, neanche nel b.site. In ogni caso, rimane sempre il piano B.

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aprile duemilaesette

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trivigante in 27 luoghi:
uno, due,
tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciotto, diciannove, venti, ventuno, ventidue, ventitre, ventiquattro, venticinque, ventisei, ventisette

i giri a Roma di trivigante:
15/02: termini
17/02: attorno a termini

26/03: repubblica

le mie storie della musica:
il rock satanico (uno)
il rock satanico (due)
il white metal

la letteratura di trivigante:
la tenzone poetica pt. 1

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buffonate:
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matrix parody
rael
ristorante italiano a londra
una piazza


trivigante 2006

trenta

Portella della Ginestra.
Sessant'anni dalla prima strage dell'Italia repubblicana, domani. Il PCI aveva appena vinto le elezioni regionali in Sicilia con il PSI, il Blocco del Popolo (e la storia, forse, sarebbe stata davvero diversa), si andava a festeggiare il primo maggio nella piana e a manifestare contro i latifondisti, com'era usanza fin da prima che il fascismo proibisse la riunione.
Erano in tanti, quel giorno, duemila tra lavoratori, bambini, donne.
Sui monti che danno sulla piana c'era pure Giuliano con la banda, i fascisti della Decima MAS, gli americani e chissà chi altro, tutti armati.
Due minuti di colpi di mitragliatore e fucili in mezzo alla folla, undici morti, tra cui due bambini (Giovanni Megna, Vito Allotta, Vincenza La Fata, Giovanni Grifò, Lorenzo Di Maggio, Francesco Vicari, Castrenza Intravaia, Giorgio Cusenza, Margherita Clesceri, Serafino Lascari, Filippo Di Salvo), cinquanta feriti.
Si disse che era stato Giuliano, che la politica non c'entrava (Scelba: "
Niente, questo è banditismo comune; basta con gli arresti di mafiosi e mandanti indiziati"), poi Giuliano fu ammazzato da Pisciotta e Pisciotta avvelenato in carcere. Scelba rimase, come tutti gli altri, Guttuso ne fece alcuni quadri e i nomi e i cognomi dei mandanti non furono mai individuati.
Ci sono, però, le interviste ai testimoni, che qualcuno si è preso la briga di raccogliere con buona volontà e, come sempre, chi lo vuole davvero troverà le ragioni e i colpevoli, ancora oggi.

ventisette

Luoghi, altro che non luoghi.
Se qualcuno, quand'anche pieno di cattiveria e brutto dentro e fuori, fa qualcosa di giusto e bello, bisogna ammetterlo e complimentarsi. Me l'ha insegnato la mia amica Angelica e io sto imparando. E, allora, ammetto e mi complimento con Microsoft per Live Maps, operazione forse copiata o emulata da altri, i cui risultati sono senza dubbio superiori, al momento, dei diretti concorrenti, anche se ancora non hanno inserito le fotografie e le piante 3d di tutto il pianeta. Viene voglia di spremerlo, di vedere fin dove arriva, di giocarci e trovare un filo logico tra i dati e le fotografie: uno, per esempio, potrebbe essere la mia vita finora riassunta per luoghi, concentrati con poco criterio, allo scopo di capire - io - cosa ho combinato di splendido finora, dove sono stato e, magari, dove sto andando a cozzare.
Oppure se esiste un inconsapevole piano che mi porta da qualche parte senza che io me ne sia ancora reso conto, magari se sto girando in tondo su una ruota che gira.
Vado alla ricerca dei posti dei primi apprendimenti triviganteschi (uno, due), tra cui alcune scuole (tre, quattro, cinque) nelle quali mi obbligavano a svegliarmi presto e a stare fermo e zitto; se per un certo periodo qualcuno ha cercato di instillarmi il senso di Dio (sei), con i risultati, ottimi, di rendermi in seguito un discepolo dell'hard rock demoniaco e fastidioso, nel frattempo i miei genitori cercavano con una certa insistenza di educare il mio senso estetico (sette), di farmi respirare lo iodio che fa tanto bene (otto) o variamente l'aria di montagna che guarisce la pertosse (nove), piuttosto che cercare di farmi imparare qualcosa (dieci). Io, poi, mi sono dedicato a studi scelti volontariamente (undici) per alcuni anni, che hanno formato il mio nucleo trivigantesco in modo sostanziale, anche e soprattutto grazie all'intenso vagolare di quei tempi (dodici); inutile dire che ho cambiato diverse case, nel tempo (tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciotto) e diversi lavori (diciannove, venti, ventuno, ventidue, ventitre, ventiquattro), giusto per procedere per accumulo. Posso immaginare dove sarà una parte di futuro (venticinque) e so dov'ero l'altroieri (ventisei), di posti ne mancano ancora tanti, uno per tutti (ventisette), però posso dire senza timore che il filo conduttore di tutto questo è una incredibile, mostruosa, quasi imbarazzante, sfacciata dose di culo (leggasi: fortuna), tante cose fatte e tante cose da fare, ricordi e possibilità.
Quindi, ecco la morale: su con la vita che sempre alegri bisogna stare. Oplà, fate il vostro gioco.

venticinque (buona festa ai coraggiosi)

Lapide ad ignominia

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

Albert Kesselring durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante della forze delle forze armate germaniche in Italia. A fine conflitto (1947) fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre). Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue suppostamente gravi condizioni di salute. Tale gravità fu smentita dal fatto che Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Bavaria.
Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito di ciò che aveva fatto durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in Italia e, anzi, dichiarò che gli italiani, per il bene che aveva loro asseritamente fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento. In risposta a queste affermazioni Piero Calamandrei scrisse la celebre epigrafe "Lo avrai, camerata Kesselring...", il cui testo venne posto sotto una lapide ad ignominia che il comune di Cuneo ha dedicato a Kesselring. Buona festa a tutti.

ventiquattro

Resistenza/uno.
La foto non tragga in inganno: la ragazza, Nili, è israeliana e i soldati sono dell'esercito di Israele (IDF), incaricati di sgomberare Amona, un avamposto abusivo non lontano da Ramallah.
Il coraggio non le manca. Intervistata qualche giorno dopo dal quotidiano Yedioth Ahronoth, afferma che giustamente "non c'è niente di cui essere orgogliosi, quella foto è semplicemente un imbarazzo per lo Stato ebraico: invece di difendere il popolo e la terra di Israele, le forze di sicurezza distruggono le case degli ebrei". La foto ha appena vinto il Pulitzer ma è postata oggi perché significa resistenza.
 

Resistenza/due (cronaca di una morte davvero annunciata).
"Volevo avvertire il nostro ignoto estortore che non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia".
10 gennaio 1991, Libero Grassi, imprenditore siciliano, scrisse una lettera al Giornale di Sicilia nella quale denunciava il racket del pizzo e si rifiutava di pagare, la frase qui sopra è tratta da lì. Ci stupimmo tutti, favorevolmente, qualcuno disse che era un uomo coraggioso. Qualcuno disse che era un uomo stupido.
Io pensavo che lo Stato ne avrebbe fatto un simbolo o, per lo meno, lo avrebbe protetto a qualunque costo.
Andò anche da Santoro, l'11 aprile 1991, a dire: "Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Non condivido le mie scelte con i mafiosi, faccio l’imprenditore da tanti anni e voglio rimanere libero". Salvatore Cozzo, presidente dell'Associazione Industriali di Palermo, gli consiglio di tacere (testuale: "Le buone famiglie tendono a tacere") e lo accusò di aver sollevato una "tammurriata", dipingendo la Sicilia come terra di sola criminalità. Figuriamoci. Restò solo. Fu ucciso, ovviamente, la mattina del 29 agosto 1991 alle 7.30.
Essere uccisi perché si resiste non mette in discussione l'essenza e i motivi della resistenza stessa, resistere non è mai inutile e l'atto e il significato non possono essere vanificati da alcunché.
Alcuni giorni prima di morire scrisse una lettera al Corriere della Sera nella quale raccontava la vicenda (e la lettera fu pubblicata postuma, complimenti davvero):
 

"La "Sigma" è un'azienda sana, a conduzione familiare. Da anni produciamo biancheria da uomo: pigiami, boxer, slip e vestaglie di target medio-alto che esportiamo in tutta Europa. Abbiamo 100 addetti: 90 donne e 10 uomini. Il nostro giro d'affari è pari a 7 miliardi annui.
Evidentemente è stato proprio l'ottimo stato di salute dell'impresa ad attirare la loro attenzione.
La prima volta mi chiesero i soldi per i "poveri amici carcerati", i "picciotti chiusi all'Ucciardone". Quello fu il primissimo contatto. Dissi subito di no. Mi rifiutai di pagare. Così iniziarono le telefonate minatorie: "Attento al magazzino", "guardati tuo figlio", "attento a te". Il mio interlocutore si presentava come il geometra Anzalone, voleva parlare con me. Gli risposi di non disturbarsi a telefonare. Minacciava di incendiare il laboratorio. Non avendo intenzione di pagare una tangente alla mafia, decisi di denunciarli.
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera al "Giornale di Sicilia" che iniziava così: "Caro estortore...". La mattina successiva qui in fabbrica c'erano dei carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti. A polizia e carabinieri consegnai 4 chiavi dell'azienda chiedendo loro protezione.
Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani. Dissero di essere "ispettori di sanità". Fuori però c'era l'auto della polizia e avevano grande premura. Volevano parlare a tutti i costi con il titolare. Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione. Se ne andarono. Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni. Gli esattori del "pizzo", i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni.
Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice.
Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell'Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. Una "tamurriata" come si dice qui. E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito. Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori. Come? È facile. Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive. Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche. Ma anche a queste mie proposte il direttore dell'Associazione industriali di Palermo, dottor Viola, ha detto no, sostenendo che costerebbe troppo. Non credo però si tratti di un problema finanziario, è necessaria una volontà politica.
L'unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana. Devo dire di aver molto apprezzato l'iniziativa SoS Commercio che va nella stessa direzione della mia denuncia. Spero solo che la mia denuncia abbia dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si può ribellare.
Non ho mai avuto paura ed ora mi sento garantito da ciò che ho fatto.
La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo (del 4 aprile 1991) che ha stabilito con una sentenza che non è reato pagare la "protezione" ai boss mafiosi, è sconvolgente. In questo modo infatti è stato legittimato con il verdetto dello Stato il pagamento delle tangenti. Così come la resa delle istituzioni e le collusioni. Proprio ora che qualcosa si stava muovendo per il verso giusto. Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso delle scarcerazioni dei boss. Ormai nessuno è più colpevole di niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento; e cioè, pagate i mafiosi.
E quelli che come me hanno invece cercato di ribellarsi?
Ora più che mai le Associazioni imprenditoriali che non si impegnano sinceramente su questo fronte vanno messe con le spalle al muro.
La risposta infatti deve essere collettiva per spersonalizzare al massimo la vicenda".

Resistenza/tre: Bruno Frittaion (Attilio), diciannove anni, partigiano.
Di anni 19, studente, nato a San Daniele del Friuli (Udine) il 13 ottobre 1925; sino dal 1939 si dedica alla costituzione delle prime cellule comuniste nella zona di San Daniele; studente del III corso di avviamento professionale, dopo l'8 settembre 1943 abbandona la scuola unendosi alle formazioni partigiane operanti nella zona prende parte a tutte le azioni del Battaglione "Písacane", Brigata "Tagliamento" e, quindi, con funzioni di vice-commissario di Distaccamento, dei Battaglione "Silvio Pellíco ". Catturato il 15 dicembre 1944 da elementi delle SS italiane, in seguito a delazione, mentre con il compagno Adriano Carlon si trova nella casa di uno zio a predisporre i mezzi per una imminente azione, tradotto nelle carceri di Udine, più volte torturato. Processato il 22 gennaio 1945 dal Tribunale Militare Territoriale tedesco di Udine. Fucilato il 1 febbraio 1945 nei pressi dei cimitero di Tarcento (Udine), con Adriano Carlon, Angelo Lipponi, Cesare Longo, Elio Marcuz, Giannino Putto, Calogero Zaffuto e Pietro Zanier.
31 gennaio 1945
Edda
voglio scriverti queste mie ultime, e poche righe. Edda, purtroppo sono le ultime si, il destino vuole così, spero ti giungano di conforto in tanta triste sventura.
Edda, mi hanno condannato alla morte, mi uccidono; però uccidono il mio corpo non l'idea che c'è in me. Muoio, muoio senza alcun rimpianto, anzi sono orgoglioso di sacrificare la mia vita per una causa, per una giusta causa e spero che il mio sacrificio non sia vano anzi sia di aiuto nella grande lotta. Di quella causa che fino a oggi ho servito senza nulla chiedere e sempre sperando che un giorno ogni sacrificio abbia il suo ricompenso. Per me la migliore ricompensa era quella di vedere fiorire l'idea che purtroppo per poco ho servito, ma sempre fedelmente.
Edda il destino ci separa, il destino uccide il nostro amore quell'amore che io nutrivo per te e che aspettava quel giorno che ci faceva felici per sempre. Edda, abbi sempre un ricordo di chi ti ha sempre sinceramente amato. Addio a tutti.
Addio Edda

Resistenza/quattro: Albino Albico, ventiquattro anni, partigiano.
Di anni 24, operaio fonditore, nato a Milano il 24 novembre 1919. Prima dell’8 settembre 1943 svolge propaganda e diffonde stampa antifascista, dopo tale data è uno degli organizzatori del GAP, 113a Brigata Garibaldi, di Baggio (Milano), del quale diventa comandante. Arrestato il 28 agosto 1944 da militi della "Muti", nella casa di un compagno, in seguito a delazione di un collaborazionista infiltratosi nel gruppo partigiano, tradotto nella sede della "Muti" in Via Rovello a Milano, torturato, sommariamente processato. Fucilato lo stesso 28 agosto 1944, contro il muro di Via Tibaldi 26 a Milano, con Giovanni Aliffi, Bruno Clapiz e Maurizio Del Sale.
Carissimi, mamma, papà, fratello sorella e compagni tutti,
mi trovo senz’altro a breve distanza dall’esecuzione. Mi sento però calmo e muoio sereno e con l’animo tranquillo. Contento di morire per la nostra causa: il comunismo e per la nostra cara e bella Italia.
Il sole risplenderà su noi "domani" perché TUTTI riconosceranno che nulla di male abbiamo fatto noi.
Voi siate forti come lo sono io e non disperate.
Voglio che voi siate fieri ed orgogliosi del vostro Albuni che sempre vi ha voluto bene.

venti

Una veloce occhiata al rock neofascista italiano.
Si avvicina il 25 aprile e io, con la primavera, sento innalzarsi il mio tasso di antifascismo aggressivo, sento il desiderio fisico di fare a botte negli spartitraffico con legioni e legioni di neofascisti armati di cric, ovviamente umiliandoli tutti e costringendoli a ritirarsi nelle putride e fangose tane ove provengono.
E' un'idea un pochetto oleografica della lotta, mi rendo conto, ma prefigurarmi il fascista che esce da una pozza liquamosa con intenti belluini mi aiuta a convogliare il sentimento di odio e repulsione.
Il rock fascista, nazionalista, reazionario, bonehead, nazi-punk etc., dicevo. Siccome non è che la cosa mi appassioni più di tanto, mi limito a uno sguardo d'insieme, per avere una panoramica delle zone oscure.
Il tutto può essere riassunto sotto l'acronimo RAC (Rock Against Communism), formuletta-collante che si fa risalire a Ian Stuart, cantante degli Screwdriver più o meno attorno al '77.
In questo ambito, se vi svegliate la mattina e dalla radio un tizio canta: "Istria, Fiume e Dalmazia / né Slovenia né Croazia / Terra rossa, terra istriana / Terra mia, terra italiana", state sentendo Terra Rossa degli Ultima Frontiera; roba lieve, se paragonata a Colpevole di essere bianco dei Peggior Amico, che suona un po' così: "Roulotte e accampamenti e orde di immigrati / fuori dall'Italia, fuori i parassiti", cretineria veronese ben peggio del pandoro. Una bella lotta con i Gesta Bellica, il pezzo è 8 settembre '43, che sostengono: "Ma io sono camicia nera, la mia patria è la mia bandiera / ma io sono camicia nera, nel mio cuore una fede sincera / ma io sono camicia nera, dò la vita per l'Italia intera". Fuori dai contenuti, agghiaccianti, il livello stilistico e poetico è, con evidenza, sub-elementare, rozzo, il che - comunque - è più che sufficiente a riempire bar e discoteche vicino al movimento.
Infatti, la costellazione dei gruppi aderenti a vario titolo all'area ideologica sono parecchi, per lo più provenienti dalle zone più nere d'Italia, vale a dire Veneto e Friuli; ne cito un po':  270 bis, A.D.L.122, Bahnhof, Civico 88, Dioxina, Feccia Tricolore, Frangia Violenta, Fronte del Porto, Gangland, Gavroche, Gesta Bellica, Hobbit, Hope and Glory, Legittima Offesa, Nabat, Offensiva, Plastic Surgery, Peggior Amico, Rommel Skins, Reazione, Rip Off, Rough, Spina nel Fianco, The Arrogants, War Boots, Worthless, Porco 69. Anche se il disco più venduto in assoluto raggiunge a malapena le quindicimila copie, il movimento è più che attivo, la cosa non va sottovalutata, soprattutto grazie all'opera nefasta di alcune case discografiche, come la Hate division, la Rupe Tarpea, la Skinhouse Production e, maggiormente, la Tuono Records.
Esistono anche numerosi cantautori, tra cui spicca, sebbene sia morto, Massimo Morsello (l'agghiacciante sito). Morsello, dopo aver militato nel Fronte, nel FUAN, nell'MSI, fu con Roberto Fiore tra gli aderenti a Terza Posizione e tra i fondatori di Forza Nuova. Oltre a cantare, autodefinendosi il De Gregori fascista (qui un articolo-intervista del Messaggero del 1996), Morsello, scappato a Londra dopo varie condanne per associazione sovversiva, in relazione anche alla strage di Bologna, nel 1986 fondò la nota Meeting Point, poi Easy London, organizzazione ancora attiva, molto equivoca, che si occupa tuttora di giovani studenti e lavoratori a Londra fornendo loro impiego, pernottamento e contratti di lavoro, con profitti molto ingenti (milioni di euro!). Secondo la Commissione stragi del Parlamento italiano, "è accertato che sia il Movimento politico occidentale sia altri gruppi neofascisti e neonazisti hanno ricevuto rimesse di denaro da due noti personaggi già aderenti a Terza posizione, Roberto Fiore e Massimo Morsello, rimasti a lungo latitanti a Londra ove hanno avviato, nel corso degli anni, cospicue attività economiche. Non più ricercati dalla giustizia italiana (il Fiore perché è sopravvenuta una declaratoria di prescrizione della pena, pronunciata dalla Corte di Appello nel marzo del 1998; il Morsello, per una sopravvenuta sospensione della pena per gravi motivi di salute), essi sono di recente ricomparsi nel territorio nazionale per gestire Forza Nuova, un movimento creato dagli stessi nel 1997 e ora attivo in diverse province con progetti di partecipazione alle competizioni elettorali". Qui la relazione della Commissione.
Insomma, la questione è aperta e molto complessa, le galassie neofasciste sono molteplici e piuttosto attive, inutile e dannoso pensare che non esistano, lavorano ai fianchi dove i presidii democratici e libertari sono più deboli o assenti. Non bisogna, dunque, guardare altrove.

diciannove

Ciccio Bombo cannoniere contro i malvagi telefonisti.

Franco Nicoli Cristiani, assessore della Regione Lombardia alle fiere e ai mercati (e pregiudicato con un paio d'anni di condanna definitiva alle spalle), oltre che un'ottima icona per rappresentare al meglio l'idea della grassa volgarità e dell'ingordigia al potere, è anche uno dei tanti scendiletto utilizzati da Roberto Formigoni, a sua volta scendiletto altrui. Di sicuro è morbido.
La vicenda: ai catto-elettori forzisti lombardi i phone center stanno sulle palle. Primo, perché sono gestiti e utilizzati più che altro da immigrati, visto che le persone civili possiedono come minimo un cellulare, cribbio, e poi non non si capisce tutta 'sta smania di telefonare alle famiglie sperdute in chissà quale paese, quando hanno la bella fortuna di vivere in Italia, il paese più bello del mondo. Che mandino cartoline, su.
Secondo, pare evidente che i phone center siano losche coperture per centri di spaccio internazionale di droga e borsette di Gucci, per affari finanziari che portano di certo al crollo di borse e torri, per lo spargimento di effluvi pestilenziali che portano alla corruzione della nostra bella aria.
Ma il panzuto Franco Nicoli Cristiani mica può espellere una legge discriminatoria nei confronti di chicchessia, almeno non palesemente, e quindi, in accordo con il Gran Consiglio della Montagna del Sapone della Regione Lombardia, ha accrocchiato un anno fa una bella legge di disciplina del settore. La notizia non è nuova, lo so, il fatto è che il termine perentorio della legge è scaduto qualche giorno fa, chi non è in regola, chiude. Dice, infatti, la legge: vuoi aprire o continuare ad avere un phone center? Bene, devi rispettare alcune brevi norme di buon senso. Prima di tutto, devi avere molti parcheggi vicini all'esercizio e quanto sia quel "molti" lo stabilisce il Comune; poi, devi avere una sala d'aspetto di almeno 9 metri quadri; se il tuo locale è inferiore a sessanta metri quadri, devi avere almeno due bagni (altrimenti, tre); la domenica devi chiudere, non puoi tenere aperto oltre le 22 e devi chiedere i documenti a chi viene a telefonare. Un laboratorio di analisi, più che un phone center. E, in ultimo, le cabine telefoniche devono essere di almeno 95 centimetri di lato.
Ma che cazzo vuol dire che le cabine Telecom sono di 85 centimetri di lato? Volete far venire il nervoso al sergente Nicoli Cristiani? Chi siete, maghrebini sovversivi? Se solo il 15% dei phone center in Lombardia è in grado di ottemperare alla legge, allora vuol dire che ce n'era bisogno. Lo dice anche la Lega. Prot!
Andiamo tutti a mangiare, su.

diciotto

Cronaca di una morte davvero annunciata.
Era venuto in Europa nel novembre del 1998, per portare alla nostra attenzione di occidentali la questione kurda, Abdullah Ocalan, il fondatore del PKK, il partito dei lavoratori kurdi. La cosiddetta "minoranza" kurda, giusto per dare un dato e avere un'idea, è composta di venti milioni di persone.
Appena arrivato a Roma, scelta come meta per le esplicite aperture del governo di centrosinistra, Ocalan venne arrestato, all'aeroporto di Fiumicino, dove arrivava da Mosca. Due dati: 1998 e governo D'Alema.
Poi: chiese asilo politico, poiché ritornare in Turchia, che ne reclamava con toni perentori l'estradizione, sarebbe equivalso a una condanna a morte. Il 15 gennaio 1999 il governo D'Alema dichiarò ospite indesiderato Ocalan e cominciò alcune trattative per sbolognarlo a qualche paese europeo.
A quel punto, fu Ocalan, nobile e combattivo, a non voler più stare in Italia. E la cosa non stupisce. Dopo un pietoso vagare per aeroporti, il 15 febbraio fu catturato all'aeroporto di Nairobi con la complicità americana e del Mossad e consegnato ai turchi. Difficile scordare il momento dell'arresto: imbottito di sedativi, con la benda sugli occhi, barcollava e farfugliava, un'immagine terribile, mentre le teste di cuoio lo schernivano. Che vergogna quei giorni, per noi. Seguirono in ordine: la reclusione, il processo farsa, la condanna a morte. Poi commutata in ergastolo perché la Turchia già allora provava a ingraziarsi la UE. A seguire, umiliante, la beffa: il 4 ottobre 1999 l'Italia concesse asilo politico a Ocalan.
Peccato fosse già recluso e condannato nel bunker del carcere di Imrali.
Qualche giorno fa, è trapelata la notizia, riportata da pochi giornali, che Ocalan sarebbe molto malato, soffrirebbe di angina e di faringite, avrebbe gravi problemi di respirazione, soffrirebbe di bruciori sul corpo e di problemi di circolazione alle gambe, la sua salute andrebbe costantemente peggiorando. E' recluso in totale isolamento e i medici del carcere più che provargli la febbre non fanno. Gli avvocati italiani (tra cui Pisapia) e turchi di Ocalan sono entrati in agitazione. Sono riusciti a far uscire alcuni capelli di Apo ("zio", come lo chiamano in kurdo) e portarli in un laboratorio indipendente di analisi, senza svelare l'identità del proprietario: 32 elementi chimici, tra cui arsenico, piombo e argento. Una concentrazione di cromo sette volte superiore al normale e stronzio, 100 volte al di sopra della media.
Di cromo si muore, tumore, di stronzio ancora non si sa. Ma è probabile. L'Europa potrebbe tirarlo fuori con poco, imporre il rispetto dei diritti umani e delle minoranze, in fin dei conti ha il coltello dalla parte del manico, l'entrata nella UE è troppo importante per i turchi e potrebbero venire a patti facilmente pur di ottenere l'agognato riconoscimento. Ma nessuno lo farà, Ocalan morirà avvelenato e torturato, tanto mica è il primo, e la cosa finirà lì, nessun colpevole.
Tutto questo, anche, grazie all'Italia. E' solo questione di tempo, ormai, basta sedersi e aspettare.

tredici

quattro. Qui si giudica dalla copertina (disco) - recensione di mr. A.
Paddy pensava di avere esplorato tutte le dimensioni della musica e dell'amore, ma un giorno era al parchetto con il suo portapulci e la folgorazione di nuove prospettive lo colse. Lui non era impreparato.
Paddy capì che l'amore non è solo faccenda di uomini e/o donne, ma che pervade ogni cosa e ogni essere vivente. Aprite gli occhi e anche tutto quello che potete, sciocchini: la musica guiderà voi e il vostro amichetto peloso verso una nuova, gaia, frontiera.

dodici

Ancora Wiesenthal.
Simon Wiesenthal aveva trentasette anni nel 1945, quando decise di dare la caccia ai nazisti responsabili di crimini di guerra. Ora, a parer mio vi sono alcune considerazioni interessanti, tra le tante possibili, osservando gli accadimenti nella vita di Wiesenthal. Prima, però, un corollario basilare: i gerarchi nazisti, in gran parte, sono (stati) incredibilmente, spudoratamente, ingiustamente, maledettamente longevi. Io non so se sia la gran cattiveria a garantire lunga vita, altro che le vitamine, da qui le note considerazioni sui migliori che se ne vanno sempre per primi, oppure siano altri i fattori, fatto sta che la percentuale di novantenni tra le fila dei criminali di prima grandezza è impressionante (e imbarazzante).
Wiesenthal, uomo avvisato, accingendosi alla missione della sua vita, supponeva di certo che avrebbe impegnato, appunto, la sua intera vita alla caccia dei fuggitivi, dato l'improbo e difficoltoso compito e l'alto numero dei rei non confessi. E così è stato: infatti, Wiesenthal è morto nel 2005 alla veneranda età di novantasette anni, dopo che solo due anni prima (!) si era ritirato, dichiarando: "Sono sopravvissuto a tutti loro. Se ne è rimasto qualcuno, sarebbe troppo anziano e debole per sostenere un processo oggi. Il mio lavoro è finito". Sessant'anni di consapevolezza senza mai mollare la presa.
Io credo che non esistano le coincidenze in alcuni casi e questo è uno di quelli: infatti, Wiesenthal non poteva morire, non sopravvivere ai suoi aguzzini sarebbe stata una sconfitta e un fallimento enorme da tutti i punti di vista, non solo il suo. Non si trattò, secondo me, di una condanna ma di una scelta, talmente forte e consapevole da dettare le regole anche alla sua natura. Wiesenthal è morto non perché aveva novantasette anni ma, con poesia, perché aveva finito, finalmente, il suo lavoro e raggiunto lo scopo.
Una questione determinante, oltre alla cattura dei nazisti, era infatti sopravvivere più a lungo, era scampato ai campi di concentramento, non sarebbe morto prima di loro. Il confine tra una scelta radicale e una condanna è sottile e, soprattutto, può variare con il tempo e l'età.
Mi piace pensare che Wiesenthal non abbia mai avuto dubbi sulla correttezza della propria scelta e che se fossero rimasti nazisti ultracentenari ancora vegeti, lui sarebbe rimasto in vita e gli sarebbe corso dietro. A prescindere, un meraviglioso esempio di lotta e di forza. Chapeau.

tre. Qui si giudica dalla copertina (libro).
Sintesi in quattro titoli della mastodontica bibliografia di Susan Johnson: Hot legs, Hot pink, Hot spot, Hot streak. Ha inventato anche l'Hot dog e l'Hot Torinolaringoiatria. Per donne di gusto fine e discreto, come si intuisce dalla copertina, resta memorabile l'uso dei font e degli stili, vale a dire tutti quelli che noi tutti non useremmo mai, nemmeno davanti alla minaccia di un clown vietnamita ciccione che cerca di sedersi sulla nostra faccia.

Vonnegut.
Kurt Vonnegut è morto ieri e io vorrei postare una sua frase da Cronosisma che potrebbe benissimo essere il suo saluto finale: "Torno a casa. Me la sono proprio spassata. State a sentire: siamo sulla terra per cazzeggiare. Non credete a quelli che vi dicono che non è così". Da oggi, tutti cazzeggioni. Sul serio.

undici

due. Qui si giudica dalla copertina (rivista).
Intrigo e complotto, mistero e corruttismo, abbiamo i nastri e lo incastreremo, il Presidente, cacchio! Nixon non cadde per le intercettazioni e le inchieste, no, cadde per questa copertina, per un'idea di sintesi grafica che farebbe, ancora oggi, cadere monumenti ed eroi. Oltre ai testicoli, ovviamente.

dieci

Ancora copertine.
Non posso resistere, è decisamente più forte di me: sono devoto, attratto, rapito, affascinato, attirato, appassionato, irrinunciabilmente dipendente dalle brutte copertine. Brutte copertine di qualunque cosa, libri, dischi, riviste, manifesti (copertine in senso lato) mi fanno impazzire e mi danno grande soddisfazione. Chiunque scriva o canti qualcosa metterà in copertina una sintesi della propria essenza e della propria opera, non ci si scappa, e cercherà disperatamente di fare il meglio che può. Io vedo le copertine, alcune, e mi immagino l'autore, a fianco del supergrafico, che soddisfatti al tavolino si stringono la mano compiacendosi per l'opera grandiosa. Risultato? Talvolta, un insulto a centomila anni di esistenza umana. Meraviglioso, non posso proprio resistere, anche perché la fonte è inesauribile, le copertine sono miliardi e continuano a crescere, voglio vederle tutte. Tutte. Comincio dunque da oggi e per un po' un mini-post giornaliero con una bella (ih ih) copertina che diletti il mio buon gusto.
E parimenti qualche bell'esemplare anche negli inendaut dei prossimi giorni, nell'apposita pagina.

uno. Qui si giudica dalla copertina (disco).
L'autoironia sulle copertine non viene mai molto bene, regola uno.
Billy Bob miglior-grafico-del-Wyoming nonché giudice supremo alla fiera inteconteale del suino, il giorno in cui il suo maiale lasciò quest'esistenza terrena per una migliore esistenza soprannaturale, concepì quello che ritenne essere la sua miglior opera di sempre: Beastiality. D'altronde, che doveva fare, poareto, con un gruppo formato da uno che si chiama The handsome beasts e che anche senza il telescopio pare un maiale che si è mangiato tre maiali?
L'importante è non prendersi sul serio. Vero, ma solo se non si hanno problemi o tare di tal consistenza da imporre una seria riflessione sul proprio stare al mondo.
Appare dunque evidente, concludendo, che il disco dev'essere bellissimo e Billy Bob sia un genio indiscusso.

Wiesenthal e vicinanze.
Di palo in frasca, alcune indicazioni bibliografiche in cui mi sono imbattuto ultimamente e qualche consiglio di genere. Qualche settimana fa ho letto una recensione di Il cacciatore di nazisti. Vita di Simon Wiesenthal di Alan Levy, reportage con testimonianze e documenti, oltre a una lunga intervista, sulla vita di Wiesenthal, appunto, dicono molto ricco e ben fatto, anche se con un paio di grosse lacune (le idee politiche e la produzione letteraria, secondo la recensione). Non l'ho preso, magari più avanti. Quest'ultima, la produzione di Wiesenthal appunto, mi è però venuta in mente o, almeno, quella che conosco io: avevo letto anni fa un libro bellissimo, Gli assassini sono tra noi, racconto eccezionale delle ricerche, delle difficoltà, dei turbamenti e dei dubbi di Wiesenthal nella sua incessante ricerca di criminali nazisti (1967, Garzanti, mai più ripubblicato, somma vergogna!) che consiglio davvero; poi mi ero appassionato e avevo letto anche Max e Helen (sempre Garzanti, 1996), un lungo racconto a tratti dolcissimo dei motivi per cui una volta, l'unica, Wiesenthal abbia lasciato libero un criminale nazista che aveva individuato. Molte bello anche questo. Vorrei, invece, mettermi alla ricerca di un libro che non è più stato ristampato in italiano dal 1976 (Mondadori, somma vergogna!) e che riporto qui anche con funzione di promemoria: La casa di via Garibaldi di Isser Harel, a capo del commando israeliano che sequestrò Eichmann a Buenos Aires per condurlo a processo, che racconta proprio quella storia, tra le altre.

cinque

Usciamo con le mani in alto, siamo circondati.
Il gioco è abbastanza semplice, perlomeno fatto in questo modo: si prendono diciassette persone, possibilmente non troppo a caso, tra i professionisti dei Consigli di amministrazione (vale a dire, quelle persone che sono consiglieri di una o - meglio - più società quotate in borsa e non si capisce dove trovino il tempo per lavorare o giocare a golf o stirare), come per esempio Benetton, la figlia di Ligresti, Alberto Pirelli, Tronchetti Provera, Moratti, Gros e Bombassei, giusto per citare i più noti.
Ma ce ne sono parecchie tra cui scegliere.
Bene, a questo punto viene il difficile: bisogna verificare in quanti e quali Consigli di amministrazione sieda ogni personaggio scelto e poi tracciare delle linee che portano dalla singola persona a ogni società di cui è consigliere.
Prodigiosamente, le linee cominciano a intersecarsi, a portare alle medesime società, a percorrere tracciati già noti, a finire dove uno (io) non si aspetterebbe mai.
Se avete scelto i nomi con un minimo di crisma, il risultato è una figura come quella qui a destra (si può ingrandire): diciassette personaggi in cerchio che tengono in scacco una miriade di società di cui sono, variabilmente, consiglieri e amministratori. Va da sé che sono tutti amici e sodali, visto che - credo - si vedono a scadenze bisettimanali in uffici sempre diversi. Attenzione però: se avete scelto nomi grossi, al centro troverete società del calibro di Fiat, Telecom, Pirelli, Eni, Acea, Luxottica, Autogrill, Lottomatica e così via. La morale che ne discende quando si fa un gioco così è nota: sono sempre le stesse persone.
E' interessante, però, vedere l'immagine che rappresenta la situazione, mette un po' di ansia e spinge, me almeno, ad alzare le mani e a uscire di casa con la bandierina bianca. Un bel colpo d'occhio.
E' possibile fare il gioco un bel po' più facilmente, con l'ausilio di una bella banca dati sui Consigli di amministrazione e qualche animazione in Flash: qui. Ma la fantasia e le idee ce le dovete mettere voi, altrimenti non saltano mica fuori le oscure connessioni e le forme spaventevoli.

tre

Una bella invettiva dedicata ai tempi passati e attuali.
Ieri sera mi facevo alcune domande sull'arresto di tre funzionari italiani della Comunità Europea con l'accusa di corruzione, roba di una settimana fa sulla quale è calato il silenzio più assoluto; poi mi chiedevo che fine abbia fatto Paolo Bellini, alias Roberto Da Silva, alias diosolosacosa, personaggio di cui varrà la pena parlare ancora, legato alla destra, ai servizi segreti, in trattative con la mafia per conto dello Stato (o viceversa). Poi ho letto qualcosa sulla morte di Alceste Campanile, poi sul sequestro Cirillo a Napoli e sugli accordi tra Cutolo e le BR, poi sulla morte del commissario Ammaturo, insomma, tutta roba così.
Sono stato preda dello sconforto, almeno un poco, e ho ripensato a una cosa che avevo letto tempo fa e che ben si attaglia ai miei sentimenti di ieri sera verso il mio paese. La riporto:
 

Alla mia nazione di Pier Paolo Pasolini
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti, impiegati, di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Un po' pesante, direi, almeno nella chiusa, forse eccessiva (Pasolini, però, a differenza mia aveva ben più di una ragione giustificata per queste parole), certo è che la descrizione degli italiani nei versi centrali è azzeccata, vengono in mente alcuni volti noti e anche alcuni nomi, precisi precisi.
Un luminoso esempio di quanto vado dicendo? Francesco Zecchina, costruttore, depone al processo sulle tangenti per la ricostruzione post-terremoto il 17 maggio 1993 e parla di Paolo Cirino Pomicino: "Pomicino mi chiese di dare un contributo di 100 milioni, in rate da 10 milioni a Pasqua e 10 a Natale, per cinque anni, a don Salvatore D'Angelo, che ha il Villaggio dei ragazzi a Maddaloni. Pomicino mi fece questa richiesta dopo un suo viaggio a Houston, dove era stato sottoposto a un intervento al cuore e mi specificò che aveva fatto voto di aiutare questi ragazzi. Pertanto chiese a me di fare i pagamenti... io obiettai che mi sembrava singolare che io dovessi pagare di persona un voto fatto da lui.
Ma lui replicò che dovevo pagare io".

uno

Cose che non dovrebbero andare perdute.
Oggi, ho passato la giornata a cercare di installare il nuovo servizio TiSP di Google, lanciato oggi, perché voglio anche io la connessione veloce. Ho seguito attentamente le istruzioni ma non funziona, probabilmente perché dovrei aggiornare i drivers del mio water, oppure il router non vede lo scarico in funzione, oppure - ancora - c'è un conflitto tra sciacquone e controller wireless. Forse dovrei immergermi completamente nella fossa biologica, magari smettere di usare il water per esternare gli umori...
Chiamerò l'assistenza, cioè l'omino con la muta e il boccaglio dell'illustrazione, lui mi aiuterà.



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