the b. site of the moon
sbrodolata finto-casuale di b.cose.
A Stalingrado non passano e, nel suo piccolo, neanche nel b.site. In ogni caso, rimane sempre il piano B.

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la letteratura di trivigante:
la tenzone poetica pt. 1

commenti:
posta[at]trivigante.it


trivigante 2006

venticinque

Ikea vs. Danimarca.
Da un bell'articolo di Reinhard Wolff su Die Tageszeitung, alcune considerazioni interessanti sui nomi bislacchi del catalogo Ikea. Avendo più di quattromila articoli a catalogone, la "divisione nomi" della perfida multinazionale svedese ricorre spesso a toponimi, più che altro svedesi, talvolta norvegesi, talvolta danesi.
Klaus Kjøller, che è un docente dell'Università di Copenaghen, ha notato che i toponimi danesi inseriti nel catalogo Ikea si riferiscono esclusivamente a prodotti di poco valore e, di solito, calpestabili: zerbini, tappetini, scendiletti, i cui nomi sono Køge, Nästved, Sindal e via così. Sono pure orrendi, a dirla tutta, al di là della funzione. E non solo, la nuova tavoletta del cesso Ikea, Öresund, prende il nome dallo stretto di mare che separa Danimarca e Svezia. Che ridere.
L'autore di tutti i nomi danesi nel catalogo è Maj-Britt Olausson, il perfido, il quale è responsabile anche dell'associazione con i prodotti calpestabili. Però è andato in pensione da poco, per cui non dà risposte e si nega ai danesi.
Ovvio che i danesi si sono incacchiati, qualcuno ha lanciato la proposta pubblica di nominare le birre analcoliche e sciape della Carlsberg (danese) con nomi svedesi, in rappresaglia, ma la cosa non ha ancora avuto seguito, d'altronde la lotta è attualmente impari. Un po' come se la Barilla chiamasse "Modena" la pasta integrale senza sale fatta con gli scarti del gran caduto per terra e buona solo per il brodo del venerdì.
La buffa querelle continua, d'altronde è solo l'ennesimo atto di una rivalità che continua dal XVI secolo, quando la Danimarca, unita alla Norvegia, lottò ininterrottamente con la Svezia per più di due secoli.
A margine, un'amenità: qual è il testo scritto attualmente più diffuso al mondo? La Bibbia? Harry Potter? Il libretto di istruzioni di windows XP? No, il catalogo Ikea, uguale in sostanza in tutto il mondo.
Son brutti tempi, questi, non solo per i danesi, le assi da cesso e gli zerbini.

ventidue

Bugiardi!
Da Repubblica on-line di qualche minuto fa:

Contapalle, è mezz'ora che clicco e ancora non sento nulla...

ventuno

Le belle interviste di trivigante.it: Ciriaco De Mita.
Ciriaco De Mita, politico, nato nel 4 avanti Cristo a Nusco, irpinia, padrino spirituale di Giovanni XXIII, John Glenn e Catone l'Uticense, maestro alle elementari di Sem, Cam e Iafet, istitutore di Barbadillo e Luciano Favero, è considerato l'inventore di Spacewar! nel 1962, il primo videogioco della storia.
Iniziò da ragazzo la sua carriera politica nel Partito Nascosto Catacombale, iscrivendosi alla sezione locale di Pompei; dopo pochi anni, avendo assistito con Plinio il Vecchio alla distruzione della città, si trasferì a Roma, sospettato di aver gettato lo studioso nel vulcano. A Roma aderì per quattro secoli al movimento monoteista dell'imperatore Costantino, lottando duramente contro il dilagare dei culti di Mitra e Iside.
De Mita era ancora troppo giovane per assumere incarichi rilevanti e si fece le ossa per settecento anni nella segreteria papale con funzioni di centralinista e di addetto alla Lotta alla Lotta per le investiture. Prese posizioni conservatrici di fronte all'esilio avignonese e allo scisma d'Occidente finché, inviato al Concilio di Trento in qualità di cronista del giornalino parrocchiale "Luterus merdosus", ebbe il suo primo incarico: accoltellare Paolo Sarpi. Preso in simpatia da Pio IV, gli fu regalato un ciocco di legno tutto d'oro con il quale cercò ripetutamente per tre secoli di bruciare i seguaci delle eresie gianseniste, gallicane, febroniane, giuseppine e quietiste. Fu visto nel 1870 a Porta Pia con una cazzuola, mentre cercava di riparare una fastidiosa breccia nelle mura. Nel 1963, ormai professionista affermato, seppur di poca esperienza, entrò nel Parlamento italiano, fu poi ministro, presidente del consiglio e segretario della DC.

Trivigante.it ha incontrato ieri Ciriaco De Mita e l'ha intervistato per voi; ecco di seguito il testo dell'intervista (in bordò e senza le virgolette le mie domande, la traduzione dall'avellinese è mia):

Veltroni ha stabilito che chi ha fatto più di tre legislature non può essere ricandidato nel PD. Lei è stato deputato nelle legislature IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XIII, XIV, XV e quindi... ehm... fa un sacco di legislature, mi sembra più di tre. Cosa ne pensa?
«Addio, mi sento insultato».
Ma no, mica ho detto "vecchio babbuino rimbecillito democristiano del cavolo rompipalle senza vergogna", ho solo chiesto se, dopo 45 anni di parlamento e a ottant'anni suonati, non pensa che sia il momento di andare a quel paese e lasciar spazio a qualche settantenne rampante...

«Sono entrato nel PD nonostante le molte perplessità. Adesso divento vittima di criteri di selezione della classe dirigente fondati sull'età e non sull'intelligenza politica. Per questo ritengo di non poter più partecipare ad un progetto che giudico inconsistente perchè fonda la sua prospettiva più sul desiderio che sulla realtà».
Beh, l'età tutto sommato è un criterio sensato. Oltre al fatto che nell'ultima legislatura lei ha un indice di attività pari a 0,04, cioè in due anni ha presentato solo un progetto di legge come cofirmatario ed era assente a un quarto delle votazioni. Non le sembra il caso di levare le tende?
«No, non farò una mia lista ma sia chiaro: non lascio la politica».
Uhm, ci speravo. Va bene, non lascia la politica, cosa ha intenzione di fare?
«Nell'applicazione dello statuto sono vittima dell'età. Mi ribello».

E abbiamo capito, porc... Mi sa che han fatto bene a farla fuori, il rinciulimento galoppa indisturbato. Mi ripete, per favore, perché ha deciso di uscire dal Pd?
«Il trasferimento in Italia di un modello statunitense si fonda più sull'indicazione del nuovo come speranza che sulla politica come soluzione dei problemi...».

Oh, bene, si è sturato: una risposta nefanda alla De Mita, incomprensibile senza traduttore simultaneo.
«... e lascio questo partito».
Oh no! Ha detto che lascia il Pd?
«Come diceva un poeta spagnolo, 'Quando morirò morirò con la chitarra in mano'».

Ma non era un poeta spagnolo! E il testo era 'Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano / Lasciatemi cantare, sono un italiano'...
«Perchè sia chiaro: io l'ultimo comizio lo farò quando muoio».

Sia buono, non mi ingolosisca. Ora assodato che esce dal Pd e assodato che lo fa per motivazioni politiche ideali, mi dice cosa intende fare adesso?

«Farò politica, contro il Pd. Non sarò più con voi ma contro di voi».
Voi chi? Mi farebbe felice? Mi dice una cosa qualunque che però contenga un congiuntivo?
«Non lo so, non l'ho capito nemmeno io…».
Grazie, gentilissimo.

venti

Fifty ways to kill your leader.
Fidel Castro annuncia che si ritira dalle cariche presidenziali e che lascia tutto al fratello Raul, il che ci ricorda da vicino alcuni comici episodi italiani degli ultimi anni, il futuro di Cuba diventa ancora più enigmatico (per citare una battuta altrui, diventa "la Cuba di Rubik") e le leggende si sprecano.
Non a caso, visto che la disinformazione (non disinformacija, bensì disinformation) su Castro e Cuba è stata praticata con la stessa pervicacia con cui gli operosi castorini costruiscono le dighe sul fiume giallo.
Tra le varie ed eventuali, sempre al limite del buon senso e oltre quello del comico, ci sono i favolosi racconti sugli attentati cui Castro sarebbe scampato. All'origine ci sarebbe Fabian Escalante, a volte citato come guardia del corpo di Castro a volte come capo della contro-intelligence cubana, il quale ha scritto un libro in cui racconta i 634 attentati cui Castro sarebbe sfuggito. Qualcuno dice 638, qualcuno 630. Il che non vuol mica dire che i racconti non siano veritieri, anzi, la fantasia degli agenti della CIA non ha limiti, è noto.
Ne cito alcuni: fornitura nel 1959 a dissidenti cubani di fucili a lunga gittata, di pillole e penne avvelenate, di polveri infettate da batteri letali; nel 1960 arrivò a Cuba una scatola di sigari avvelenati con botulino; nel 1963 si segnala un piano della CIA per depositare un mollusco esotico pronto a esplodere, in una zona dove Castro sarebbe andato a pescare subbaqquo; stesso anno, piano per regalare una muta da subbaqquo contaminata con un fungo che causa la maduromycosis e l’equipaggiamento per la respirazione anch'esso infettato da un bacillo tubercolotico; naturalmente, non manca la fatalona che avrebbe dovuto avvelenarlo sciogliendo le pillole nella crema ma lui, diabolico, ne fece la sua amante e le sciolse il cuore; avanti così, c'è anche la confezione di finto borotalco speciale che avrebbe dovuto fargli cadere la barba. Ih ih! Bombe fallate e cecchini dalla mira sbilenca si sprecano nei racconti. Non ho però trovato traccia del petardo a forma di cuscino, del fiore al bavero che spruzza veleno, del flautista andino esperto di tiri con la cerbottana, del tassista killer senza tassametro, del finto sacchetto scorreggione esplosivo, del cioccolatino al tritolo, dello strangolatore vestito da ballerina del Bolscioi, del nano avvelenatore di budini, della limatura di vetro nel dentifricio, del finto pupazzo di Guevara imbottito di pece e piume. Insomma, comunque robaccia da gianchìs.
Lunga vita a Fidel e chi cerca di ucciderlo non rompa le palle, almeno oggi.

diciassette

Hai detto niente.
Ho intercettato questo invito di tutto rispetto (Gabinetto Vieusseux, Le Lettere...):

Finalmente le spiegazioni al mistero più misterioso e oscuro di tutti. Forse.

quindici

Una persona giusta.
Il 13 gennaio scorso è mancata Patricia Verdugo, figlia di Sergio Verdugo, desaparecido cileno, scrittrice e giornalista, che non ha mai dato tregua al regime di Pinochet, scrivendo almeno una decina di libri di denuncia. Libri che non solo hanno raccontato un sacco di storie volutamente dimenticate ma che sono serviti anche come spunto per aprire delle inchieste come, per esempio, quella sulla "Carovana della morte". Così si chiamava una squadra militare guidata dal generale Sergio Arellano Stark che, a bordo di un elicottero Puma, dal 1973 arrestava, torturava e giustiziava gli oppositori politici in tutto il paese. Il libro, in questo caso, è "Gli artigli del puma", del 1985, e racconta quello che Verdugo definisce "l'atto fondativo della dittatura".
Per fortuna, Verdugo ci ha lasciato tanti libri, basta cercarli, tanti scritti e alcune interviste (ne segnalo una), ci ha regalato memoria e storia quando era davvero difficile farlo e bisognava essere coraggiosi.
Lei lo era ed è, questa, una delle ragioni per cui mi piace. Un'altra è che sorrideva.

tredici

Index pelicularum prohibitarum.
Aggiungo un particolare al post qui sotto: alla "Guida bibliografica dell'Opus Dei" si accompagna, con il medesimo criterio, una guida ai film con relativo punteggio, uno-sei. Purtroppo non sono ancora riuscito a metterci su le mani ma, appena ce la faccio, la posto immediatamente qui, così che si abbia, anche per i film, una comoda lista di suggerimenti su cosa vedere di corsa (punteggio sei). Grazie, Opus Dei.

dodici

Index librorum prohibitorum.
La storia degli Indices librorum prohibitorum è nota, furono più di uno (l'Indice paolino, l'Indice tridentino, l'Indice clementino, l'Indice dell'Inquisizione spagnola, per esempio) e stabilivano le regole di lettura per l'intera cristianità. La storia dice anche che l'Indice dei libri proibiti fu soppresso nel 1966 con la fine dell'inquisizione romana, prontamente sostituita dalla congregazione per la dottrina della fede. Potenza delle parole, è sufficiente attenuarne il tono, senza mutare il significato, per sparigliare le carte in tavola.
Quarant'anni fa, dunque, dopo quattro secoli di ferree prescrizioni contro la corruzione morale, la vicenda pareva conclusa, almeno nella sua forma più deteriore.
E invece no, l'Indice uscì dalla porta e rientrò dalla finestra senza passare dal via. Ora si chiama "Guida bibliografica dell'Opus Dei": stesso scopo ma dicitura neutra, pare quasi un repertorio per studiosi devoti o un reader's digest cattolicone.
E qui ci vuole una premessina: l'Opus Dei (OD, d'ora in poi), tralasciando le minchiate del Codice da Vinci, è l'unica prelatura personale riconosciuta dal diritto canonico, vale a dire è un'istituzione gerarchica della Chiesa cattolica a dimensione sovra-territoriale, governata da un prelato, ha i suoi propri fedeli, i quali rispondono all'OD, prima che alla Chiesa cattolica. Lo scopo principale dell'organizzazione è diffondere la "viva consapevolezza della chiamata universale alla santità e all'apostolato nella vita quotidiana, in particolar modo nell'esercizio del lavoro professionale e su una pratica di vita ispirata da un costante spirito di mortificazione".
La storia dell'OD dal 1928 a oggi è molto controversa (è un eufemismo, ne dico una per mio sfizio personale: membri dell'OD parteciparono in qualità di Ministri ai governi franchisti) ed è caratterizzata sia da grande intransigenza e durezza nei confronti di chi la pensi in modo diverso, sia dalla partecipazione concreta dei suoi membri (circa 85.000 a oggi) all'interno di istituzioni laiche di quasiasi genere, compresi governi (es.: Paola Binetti), banche, industrie, multinazionali e quant'altro. In sostanza, una lobby potentissima che, non a caso, ha la sua sede di governo a Milano. Chiaro, il genere?
Detto questo, torno alla "Guida bibliografica dell'Opus Dei": soppresso l'Indice, l'OD si fece immediatamente carico di mantenerlo e aggiornarlo, sotto la forma di una guida bibliografica.
La Guida raccoglie, al 2003, 60.541 titoli di libri, a ognuno dei quali è associato un punteggio da 1 a 6. La scala di giudizio funziona in questo modo: 1 per i testi che possono essere letti liberamente con profitto spirituale; 6 per i testi "pericolosi", giudicati conflittuali verso l'insegnamento impartito dall'OD; questi ultimi possono essere consultati solo con l'esplicito consenso della Prelatura, vale a dire il vertice dell'organizzazione. I testi che hanno una valutazione di 3 o 4 o 5 devono essere sottoposti al consenso dei Direttori, prima di essere letti. Dal mio punto di vista, la cosa non sta né in cielo né in terra.
Comunque: secondo l'OD, la Guida sarebbe un elenco di letture consigliate e sconsigliate e la libertà di decisione ricadrebbe sempre e comunque sull'individuo (libero arbitrio, ah ah!). Naturalmente così non è, dato che "se un fedele della prelatura leggesse pubblicazioni erronee o fuorvianti senza aver richiesto consiglio e orientamento ai Direttori, si esporrebbe facilmente ad un pericolo per la sua anima. Per questo (...) si informerà immediatamente la Commissione Regionale; non rispettare la disposizione di chiedere consiglio è motivo di non ammissione all'Opera, o per chi è già incorporato, per consigliare l'uscita dalla prelatura", come recita il Vademecum dell'OD spagnola.
E ora, qualche mio rigurgito in merito, dopo faticosissima consultazione della Guida, provvisto di boccaglio e scafandro anti-teodem: il criterio che sembra guidare l'assegnazione dei punteggi mi pare sia più attinente alla lotta al marxismo che al vaglio dei contenuti intrinseci dei testi, altrimenti non si spiega la scelta idiota di dare 6 alla Storia della Filosofia di Nicola Abbagnano, per esempio, o a Le radici storiche dei racconti di fiabe di Vladimir Propp o, ancora, Marcuse o Althusser o Pavese; poi ci sono i 6 dati secondo logiche misteriose (cretineria?), ne cito alcuni: Woody Allen, Mario Puzo, Andrea Camilleri, Manuel Puig, Tommaso Landolfi, Isaac Asimov, Milan Kundera, Doris Lessing, Jack Kerouac... insomma, il concetto è chiaro.
Poi ci sono i 6 con cui io sono d'accordo, sebbene con motivazioni diverse: I miei primi quarant'anni di Marina Ripa di Meana, per esempio, oppure l'opera omnia di Carmen Llera e di Jackie Collins, che andrebbero banditi dall'universo mica perché pericolosi ma perché fan schifo.
Della Recherche di Proust, dovreste leggere fino al terzo volume e poi saltare al sesto, per piacere; per fortuna si becca 6 anche Mein Kampf, meno male, ma è in sostanza il solo, a destra.
Sono circa quattordicimila i libri con valutazione 6, ragione per cui posso stare certo che di quelli la Binetti non ne ha letto nemmeno uno. Complimenti, sono tutti bellissimi, tranne Hitler e Ripa di Meana.
A dimostrazione della potenza dell'OD, l'allora cardinale Joseph Ratzinger porta a casa un bel po' di tre e di quattro, il che significa che ci vuole l'autorizzazione. E che mai avrà scritto? Robe smutandate? Maddai...
In definitiva, questa Guida, come tutte le prescrizioni tassative, rientra nell'ambito della repressione, ancor più odiosa se colpisce la memoria, il racconto, l'esperienza, l'intelligenza e la conoscenza. E ancor più avvilente è il fatto che ci siano persone che si privano volontariamente di tale conoscenza, che si mettono il cilicio all'immaginazione, affidandosi ciecamente al volere altrui. Volere altrui che, spesso, è guidato dall'idiozia sfrenata: ma guarda te se il povero Ugo Foscolo si deve pigliare un 6 per il suo Jacopo Ortis, dico io!, manco fosse Satana alla scrivania... Incomprensibile, orresco.
Per chi volesse scartabellare nella "Guida bibliografica dell'Opus Dei", per farsi un'idea, due risate, un pianto, qualunque cosa, la metto a disposizione qui, in foglio excel (1,7mb, file .rar).
Così sapete tutto quello che la Binetti non ha letto e non leggerà mai, oppure avete una comoda e pronta bibliografia di testi da leggere di corsa.

sette

Forse non tutti sanno che: la pietra dello scandalo.
Amenità a sbrega su trivigante.it, anche oggi. Pare che l'uso dell'espressione risalga alla Roma imperiale, nella quale un debitore che si fosse reso colpevole di scandalo finanziario causando turbamento della sensibilità morale pubblica veniva condannato a sedere su una pietra nel Foro e a pronunciare la fatidica frase "cedo bona", vale a dire rinunciava a tutti i propri beni. A quel punto, non poteva più essere perseguito per lo scandalo.
Culturona a mestolate, oggi.
Nella Firenze del XVI secolo, invece, il costume era leggermente diverso: il debitore veniva incatenato e, a brache calate, veniva fatto sbattere di terga varie volte contro una pietra nella Loggia del Porcellino, o del Mercato Nuovo. La pietra esiste ancora ed è ancora oggi chiamata la pietra dello scandalo, qui a destra.
Da tale usanza potrebbe derivare l'espressione "essere con il culo per terra", ma la cosa non è affatto certa.

Un esempio di scandalo.
Era il 17 marzo 1986 quando la Procura di Milano scoprì che Ciravegna, Baroncini, Fusco e altri, tutti proprietari di grosse aziende vitivinicole, producevano vino alterandolo con il metanolo, più precisamente alcol metilico sintetico, di solito utilizzato per vernici e lacche. Il fatto fu gravissimo, morirono almeno 22 persone e molte persero la vista o rimasero menomate. Il principale imputato, il piemontese Giovanni Ciravegna, fu condannato a 14 anni per omicidio colposo plurimo. Gliene furono condonati quattro, si fece il resto e poi vualà, oggi - se non è morto nel frattempo - è a Narzole e fa ancora il vino con il nome di suo figlio. Quando Report fece una puntata su di lui, aggredì l'inviato. L'Italia è un paese bellissimo, offre sempre l'opportunità di ricominciare, esattamente come prima. Due mesi fa, uno degli imputati nello scandalo del "vino al metanolo", a Veronella (VR), è stato beccato a farlo di nuovo, alterava il mosto con acido cloridrico e solforico. Paese bellissimo, il nostro, pieno di bella gente.

cinque

Aggiornamento: Titoli onorifici meravigliosi o del delirio demente da superpotere.
Secondo alcuni eminenti studiosi, il titolo onorifico che Joseph-Désiré Mobutu si attribuì in virtù della sua carica di dittatore balengo dello Zaire, "Mobutu Sese Seko Koko Ngbendu Wa Zabanga", non significherebbe solo "Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che alcuno possa fermarlo", bensì "Mobutu l'onnipotente guerriero che, con la sua resistenza e l'inflessibile volontà di vincere, andrà di conquista in conquista lasciandosi fuoco alle sue spalle". Ora, se così fosse, pare evidente che - come minimo - Mobutu raggiunga il primo posto ex aequo con Idi Amin Dada nella speciale classifica dei titoli onorifici più idioti e fragorosi, in virtù anche del fuoco che si lascia dietro. Complimenti vivissimi.

quattro

Titoli onorifici meravigliosi o del delirio demente da superpotere.
Dittatori, imperatori, colonnelli e marescialli, più sono grassoni e sanguinari e più tendono ad attribuirsi titoli onorifici imbarazzanti una volta preso il potere, in una perenne rincorsa demenziale, titoli che attestino non solo la legittimità della carica, acquisita per derivazione divina o per necessaria logica delle cose, ma anche la propria, somma, immensità personale. E io mi diverto moltissimo.
Per esempio, Hongli, quarto figlio dell'imperatore Yongzheng, Imperatore manciù della Cina dal 18 ottobre 1735 al 9 febbraio 1796, fu noto con il titolo di "Qianlong" (乾隆), che potrebbe essere tradotto con "Grandiosità Cosmica", mica bazzeccole. Ma gli Imperatori cinesi, si sa, avevano un che di grandioso in sé, dato che soggiornavano nel Palazzo della Purezza Celeste e, quando potevano, si ritiravano nella Sala della Coltivazione Mentale nella Città Proibita. A suo merito, bisogna dire che fu fine letterato, poeta, e che portò il Celeste Impero in un'era di prosperità piuttosto durevole.
Naturalmente, Hongli è decisamente un piccolo dilettante - in quanto a titoli onorifici - rispetto a certi pingui dittatori dell'Africa centrale. Joseph-Désiré Mobutu, cleptocratico dittatore della Repubblica Democratica del Congo, nel 1971 cambiò il nome del paese in Zaire e il proprio in "Mobutu Sese Seko Koko Ngbendu Wa Zabanga", che significa, grossomodo, "Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che alcuno possa fermarlo". Complimenti vivissimi, per il sobrio nomignolo e per la serie di vittorie, non troppo lunga, a onor del vero, e conclusasi con l'ignominiosa fuga. Nessuno lo ferma.
Degno di stare alla pari con Mobutu, Jean-Bédel Bokassa fu dal 1966 dittatore militare della Repubblica Centro Africana e dal 1976 imperatore dell'Impero Centro Africano fino al 1979. Il titolo di Imperatore, dal 1976, era così composto: il titolo ufficiale "Empereur de Centrafrique par la volonté du peuple Centrafricain, uni au sein du parti politique national, le MESAN" era accompagnato dal più informale "Imperatore del Centrafrica, apostolo della pace e servitore di Cristo", dovuto a una delle sue numerevoli conversioni. Anche in questo caso, il titolo signorile non lo protesse dallo schianto rovinoso.
Altro sobrio e modesto compare è l'abominevole Idi Amin Dada, presidente dell'Uganda dal 1971 al 1979. Non solo può tranquillamente stare alla pari dei suoi colleghi qui sopra ma lo decreto senza porre indugio il grande indiscutibile vincitore della competizione per il titolo onorifico più struggente e sensazionale. Nel 1971 si autoproclamò "Sua Eccellenza il Presidente a vita, Feldmaresciallo Al Hadji Dottor Idi Amin, VC, DSO, MC, Signore di Tutte le Bestie della Terra e dei Pesci del Mare e Conquistatore dell'Impero britannico in Africa in Generale e dell'Uganda in Particolare". Ossignur, la dicitura finale "
Conqueror of the British Empire in Africa in General and Uganda in Particular" è davvero strepitosa e chissà cosa accidenti vuol dire. Povere bestie, poveri pesci e, soprattutto, poveri ugandesi. Dottore...
La lista dei potenti-dementi è lunghissima, proseguo. Buon amico personale di Mobutu, oltre che pazzo criminale, era Nicolae Ceauşescu, sanguinario dittatore rumeno,
che non solo si fece costruire un enorme scettro simile a quello del Re di Romania, ma si attribuì i titoli di "Conducător", cioè "Leader", poca cosa in verità, e l'inquietante "Geniul din Carpaţi", vale a dire "Genio dei Carpazi". Genio nel senso di nume tutelare, principio vitale o genio intelligente tout court? Certo, è dura da comprendere in entrambi i casi, vista la caratura del personaggio.
Procedendo, bisognerebbe citare
Lij Tafari Makonnen, meglio conosciuto come Haile Selassie I, che significa "Potenza della Trinità" o "Ras Tafari", che in amarico intendesi "Capo da temere"; oppure Didier Ratsiraka, dittatore malgascio che non cambiò il suo nome ma quello del suo partito, che chiamò "Andry sy Riana Enti-Manavotra an'i Madagasikara" (AREMA), che significa "Pilastro e struttura della salvazione del Madagascar", niente di meno; oppure, ancora, Hastings Kamuzu Banda, presidente-dittatore del Malawi, il cui titolo ufficiale fu "Sua Eccellenza il Presidente a Vita della Repubblica del Malawi, Ngwazi Dr. Hastings Kamuzu Banda", e si noti il "Dr.", che fa tanto dittatore frustrato. Il titolo di "Ngwazi" significa "grande leone" o, secondo qualcuno, "conquistatore" in chichewa.
Potrei andare avanti a lungo, probabilmente varrà la pena tornare sull'argomento, non resisto. A mo' di chiusa, non posso non citare il nano
Kim Il-sung, che assunse il titolo di "Grande Leader" (!) e, più che altro, il figliolo, l'ancor più nano Kim Jong Il, il quale assunse - per emulazione - il titolo di "Caro Leader".
Il che viene molto comodo quando gli si scrive una lettera.

uno

Ondina Peteani.
A quindici anni, nel 1940, andava in treno da Udine a Padova per portare copie de L'Unità in Friuli e lavorava come operaia nei cantieri navali di Monfalcone. Operaia comunista. A diciotto si unì alle formazioni partigiane in Carso e fu la prima staffetta partigiana italiana, "Natalia". La prima.
Infatti, nel 1943, grazie alla collaborazione tra il PCI e l’Osvoboldilna Fronta (il Fronte di Liberazione sloveno), era nato il Distaccamento Garibaldi, il primo distaccamento partigiano italiano, poi parzialmente confluito nella Brigata Proletaria e nel Battaglione Triestino.
Arrestata due volte, riuscì a fuggire in modo rocambolesco, finché nel febbraio 1944 fu arrestata dalla polizia politica e in seguito portata al Coroneo di Trieste. Erano i giorni della rappresaglia tedesca per l'attentato dei G.A.P. di via Ghega a Trieste, giorni tremendi.
Il 31 maggio 1944 fu deportata ad Auschwitz, "non dal solito binario (la gente non doveva vedere queste cose!) ma sul binario dei silos da dove partivano i treni merci". Vide Auschwitz ("di Auschwitz ho un ricordo stupido se si vuole... - una sera sono andata sulla soglia della porta della baracca e c'era una lunona grande. Pensavo - la vedono anche a casa mia. Mi ha preso un'angoscia, un male fisico, una nostalgia così dolorosa della mia gente, della mia terra, di casa... Avevo il terrore di non farcela"), fu trasferita nel campo di concentramento di Ravensbruck e poi, perché era capace di stare al tornio, fu spostata in una fabbrica di Eberswalde, vicino a Berlino. Ondina era tenace e resistente. In fabbrica mise in atto un sabotaggio sistematico, di fatto bloccando la produzione con la scusa di continui controlli e verifiche ai torni e ai pezzi prodotti, tanto che da quella fabbrica per alcune settimane non uscì nemmeno un pezzo. Non fu mai rassegnata.
Nell'aprile del 1945, durante una marcia forzata, riuscì a fuggire e, in tre mesi, tornò a Trieste: "
Emozionante è stato tornare a casa. Avevo avuto il tempo di recuperare la sensibilità, l'umanità perduta. Sono stata fra le prime a rientrare, erano i primi di luglio, tre mesi incredibili per attraversare 1300 chilometri circa, in un'Europa in ginocchio, senza più ponti, strade e ferrovie integre".
Tutto questo e aveva solo vent'anni.
Una volta tornata non si fermò mai, nonostante i polmoni devastati dal freddo di Auschwitz: fece l'ostetrica, aprì la prima delle Librerie Riunite del Triveneto, organizzò le attività dei Pionieri d'Italia, fondò la sezione locale SPI-CGIL, lavorò nel PCI, divenne dirigente dell'Unione Donne Italiane, lottò per il referendum sul divorzio, allestì la tendopoli di Majano nel 1976, dopo il terremoto, tutto questo sempre sdrammatizzando i suoi racconti; diceva sempre: "
Ah, poveri noi che abbiamo tanto soffritto!".
Però diceva anche: "Non so cosa sia il sogno. Dal 1944 so benissimo cosa sia un incubo".
Non amava parlare di sé, le poche cose scritte che ci rimangono di lei sono interviste e racconti di persone che l'hanno conosciuta. Una sua lunga intervista si trova in Racconti dal Lager, a cura di Marco Coslovich, Mursia, 1997. E' mancata nel 2003. Tra le cose che ci ha lasciato, un discorso (20 Aprile 1990):

"Ero sopravvissuta ad Auschwitz e Ravensbruck. Ma irrimediabilmente provata nel fisico e brutalizzata nella mente. Né più né meno di tutti i reduci da quell’orrore d’Inferno.
Spesso mi chiedo come personalmente ne sia uscita viva. La ragione puntualmente mi porta l’unica risposta possibile: Resistenza!
Resistenza contro l’aggressore nazifascista. Resistenza in Cantiere e in Fabbrica. Resistenza di casa in casa. Resistenza mentre le pallottole fischiavano sopra la testa. Resistenza sotto interrogatorio. Resistenza in Carcere. Resistenza a davanti ai miei aguzzini al comando SS di Piazza Oberdan a Trieste dove venni segregata. Resistenza mentre mi si tatuava il numero 81672 sul braccio. Resistenza contro la perdita di dignità e l’annientamento di umanità. Resistenza contro una fame demoniaca. Resistenza al latrare di cani aizzatici contro. Resistenza al sottile desiderio di lanciarsi contro il filo spinato ad alta tensione per farla finita. Resistenza contro le bastonate e le frustate inferte dai nostri carnefici. Resistenza contro uomini fregiati dalla svastica che di umano non avevano ormai nulla. Resistenza per Resistere ad AUSCHWITZ stesso. Contro ogni forma di razzismo, contro qualsiasi discriminazione e prevaricazione razziale, sociale, culturale e religiosa, OSTINATAMENTE, ORA E SEMPRE Resistenza!
".

Ora mi metto un cappello per potermelo togliere, di fronte a Ondina Peteani.

rif.: http://www.olokaustos.org/saggi/saggi/peteani/
http://www.geocities.com/ondinapeteani/Ondina-Peteani.html
http://www.atuttascuola.it/ondina/una_testimonianza_da_auschwitz.htm
http://wreckage.altervista.org/article.php3?id_article=18

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