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la letteratura di trivigante:
la tenzone poetica pt. 1

commenti:
posta[at]trivigante.it


trivigante 2006

ventitre

I Re Magi portano i doni.
Visto il tenore della festa e del contesto attuale, suggerisco per l'occasione natalizia due magnifici e succulenti doni da sciorinarsi in occasione delle cene parentali, facendo davvero un gran figurone:

1) La mia vita è stata una corsa. In dvd, lo splendido nuovo film di Paolo Pizzolante sulla vita di Bettino Craxi: "una vita vissuta di corsa, fatta di scatti d’orgoglio (“non prendiamo lezioni dai comunisti”), di responsabilità (“se perdo il referendum sulla Scala Mobile mi dimetto un minuto dopo”), d’onore (Sigonella), di giustizia (aiuto al dissenso internazionale)". Una strenna di grande valore che aiuta a pensare la figura di Craxi come grande statista e non solo come un grosso statista. Densa di significato è la prefazione di Silvio Berlusconi: "Il cortometraggio (...) andrebbe proiettato anche nelle scuole (...) per riflettere sul modo in cui è finita la prima repubblica".
Non fatevelo mancare, tra il capitone e lo spumantino gazzosino.

2) Il Dizionario poetico. Uno splendido volume che raccoglie 2535 poesie, scritte da Licio Gelli tra il 1950 e il 2008, corredato da una pergamena con poesia autografa del Venerabile Poeta, firma dello stesso, un cd con sette liriche lette da lui medesimo (per i viaggi in auto), al modico prezzo di 75 euri per la bellezza di 1548 pagine, ovvero 2,1 chilogrammi. Qui.
Ed è subito libreria.
Alcuni degli argomenti trattati dal poeta: Amicizia, Bellezza, Carcere, Farfalle, Fragilità umana, Giustizia, Libertà, Politica, Speranza, Valori. Una specie di compendio della vita.

Non fatevi mancare, dunque, le due strenne natalizie del 2008, consigliate da trivigante.it

Un natale per bere e per pensare, per ricordare e per mettere in atto il piano di rinascita democratica.

In versi, però. Buon natale a tutti in ottima compagnia.

diciotto

Anche a Genova faceva caldo.
Il 6 novembre scorso Aufi Farid, detto Fabio, algerino di quarantasei anni, è stato arrestato dopo un borseggio ed è stato condotto nella caserma dei carabinieri della Maddalena di Genova. Non è chiaro se fosse o meno il colpevole del borseggio. Aufi è entrato alla stazione alle 14.30 e ne è uscito alle 19.30.
Dalla finestra.
Dopo quattro ore di agonia è morto all'ospedale Galliera di Genova. La ricostruzione ufficiale del comandante della stazione: l'uomo era ammanettato con le mani dietro, le manette gli sono state spostate in avanti per fargli compilare un foglio, mentre uno dei carabinieri prendeva il modulo l'uomo si è divincolato ed è precipitato dalla finestra. Punto. Il comandante non si è premurato nemmeno di raccontare il gran caldo che faceva. La ricostruzione della moglie Sandra è tristemente laconica: "L'unica cosa che ho capito è che avrebbe avuto tutte e due le mani legate ma, mentre cadeva, una manetta si sarebbe sfilata da una mano". Molto plausibile.
Ancora violenza, vera, la persona sparisce e restano le cose, stupide. In questo caso, mi vien male a dirlo, non resteranno nemmeno le cose. Non si trova nemmeno una fotografia di Aufi, era una persona e non diventerà nemmeno un caso. Non è diventato nemmeno una notizia.
Quei pochi che sono riusciti a leggere la sua fine sui giornali hanno avuto lo stesso pensiero, identico. Con tutto ciò che ne consegue. Ovvero che non se ne verrà a capo: Aufi resterà uno che è caduto da una finestra per propria colpa, il fatto che la finestra fosse una finestra dello Stato non fa differenza, di lapidi non ne avrà né due né una, nessuno a Roma avrà un pensiero, piccolo o fugace.
Che cosa si può e si deve fare in questi casi? mi sono chiesto. Non lo so. L'unico che avrebbe, tra le sue prerogative, potere di intervento è proprio lo Stato. Ma se è lo Stato stesso che, in qualche modo, uccide, allora questa è una situazione da cui non si esce, un disgustoso paradosso: perché quella stazione di carabinieri avrebbe dovuto smettere di essere Stato mentre Aufi cadeva. E lo Stato, non gli individui, dovrebbe punire i responsabili con molta più forza, in virtù di ciò che rappresentavano, non difenderli come parte di sé. Invece, ciò che ci resta, alla fine, è l'atto del ricordo, il racconto, la memoria, lo sdegno. Come al solito, non ci resta mai nulla di più. Dunque, è per questi motivi che racconto questa storia. Il che non toglie che io mi senta, ora, molto stupido a scriverla qui e in questo modo.

quindici

Ma che caldo faceva.
Oggi non fa caldo come quella sera, trentanove quindici dicembre fa. Quindi, nessuna finestra aperta e nessun morto in questura. "Poche storie" disse il commissario "il tuo amico Valpreda ha parlato e il suo socio sappiamo sei tu". "Impossibile" gridò l'indiziato "un compagno non può averlo fatto, tra i padroni bisogna cercare chi le bombe ha fatto scoppiar". Ma faceva caldo e qualcuno aprì una finestra.
Di quella finestra e di quel pacifico ferroviere una volta partigiano poi anarchico qualcuno scrisse (Cederna, Fo, Fortini e molti), qualcuno ne fece un film (Petri e Risi), qualcuno ancora ne cantò (Fallisi, Mannerini e molti): tra tante, una ballata (qui). Joe Fallisi, l'esecutore e riadattatore, nel 1970 specificò che la sua ballata "può essere eseguita, riprodotta o adattata da tutti coloro che non sono recuperatori, 'progressisti' e falsi nemici del Sistema". Richiesto esame di coscienza prima dell'ascolto.
Ma Pinelli, nonostante le tante parole dette, era una faccia, gesti, azioni e idee, un marito e un padre, a noi purtroppo tocca sempre parlare delle due lapidi e della finestra del quarto piano, di sindaci stronzi e di malore attivo. Questa è vera violenza, la persona sparisce e restano le cose, stupide. E allora viva Pinelli!, lo ricordo così, al sole, giovane e bello, come tutti gli eroi.

tredici

Addio, amico mio.
Niente a che vedere con Krusciov, l'eroe incompiuto di oggi è Muntazer al-Zaidi, giornalista iracheno, pare sunnita, che alla conferenza stampa a sorpresa di George W. Bush a Baghdad, l'ultima grazieadio, per salutare il presidente uscente gli ha tirato le scarpe. Cioè, al-Zaidi ha tirato le sue scarpe proprie a Bush, dicendogli una cosa come: "questo è un addio dal popolo iracheno, cane".
Eroe incompiuto perché l'ha mancato. Ma vivaddio, come si fa a mancarlo da così vicino? L'avesse preso, oggi trivigante sarebbe genuflesso di fronte al proprio nuovo eroe di sempre. Anche così, comunque, va bene. Grazie, al-Zaidi, per il gesto atletico e per l'atto comico insito nel lancio delle scarpe.
Certo, una torta sarebbe stato il massimo, la prossima volta vorrei assistere al lancio della giacca, degli occhiali, delle calze dopo le scarpe, al lancio del fazzoletto smacagnato.
E ora le cose meno eroiche: eccellenti come sempre i commentatori italiani, Repubblica e Corriere in testa, che si affrettano a spiegare che "lanciare le scarpe contro qualcuno è uno dei peggiori insulti nella cultura araba" (mentre nella cultura europea è un gesto molto affettuoso e ricco di gentilezza) e che "nella cultura islamica l'insulto «cane» con cui Bush è stato apostrofato dal giornalista è considerato uno tra i più pesanti perché quello che in occidente è considerato il miglior amico dell'uomo dai musulmani è visto come un animale impuro" (infatti, in Italia dare del cane a qualcuno significa palesargli la propria fedele amicizia; si segnala anche l'accrescitivo figlio di cane, ancor più affettuoso). Per chi desiderasse la documentazione che-si-muove del gesto atletico dell'eroe, ho raccattato il video (meglio tasto destro, "tira giù il coso").

dodici

Trentanove giorni di pioggia.
Il dodici dicembre a Milano piove sempre. O meglio, da trentanove anni piove sempre, il dodici dicembre, a Milano. Non perché sia dicembre e quindi la pioggia sia normale, piove perché molti di noi soffrono ancora.
Se a Brescia il processo prosegue tra mille difficoltà, a Milano il processo per la strage è chiuso, sepolto, defunto, nonostante alcune sentenze abbiano sancito la colpevolezza di coloro che erano stati assolti in prima battuta. E, come tali, non più condannabili. Molti, invece, nelle inchieste non sono neppure entrati, oppure furono interrogati distrattamente, nonostante fosse indubbio che avessero assunto un qualche ruolo nell'organizzazione della strage. Uno di questi, mai incluso tra i sospettati di strage, è Mario Merlino. Nome e cognome fanno assonanza con figure di molto migliori ma nulla hanno a che fare: Merlino è un fascista, di quelli peggiori. Infatti fu in Grecia, partecipò al famoso convegno all'Hotel Parco dei Principi nel 1965, ebbe rapporti con Delle Chiaie, finché non si infiltrò prima nel circolo anarchico milanese in cui militava Valpreda, il "Bakunin", e poi nel circolo "22 marzo" di Roma. Particolare non da poco, perché il 12 dicembre le bombe scoppiarono anche a Roma, anche se nessuno mai lo ricorda. Poche ore dopo gli scoppi, Merlino era già in questura a fare nomi di anarchici, uno via l'altro. Grazie a lui, ci sono compagni che, prima di essere scagionati per la strage, si fecero anche tre anni di cella, ingiustamente. Merlino non fu più interrogato né convocato in alcuna occasione. Continuò tranquillo a fare le sue cose: lavorare con la casa editrice "Settimo sigillo", interessante, scrivere di Mishima, allestire un paio di spettacoli come La rosa fra i denti, omaggio alla Xª flottiglia MAS, e Rapsodia in nero, letture e musica dall'Armistizio di Cassibile alla morte di Benito Mussolini. E a insegnare, come fa ancora oggi, storia e filosofia al liceo scientifico "Francesco d'Assisi" a Roma. Storia e filosofia, il danno, la beffa e l'insulto.
Ma la storia della strage di Milano non interessa più a nessuno, chi ha il tempo, la voglia, la dedizione, lo stomaco per leggersi migliaia e migliaia di pagine di ricostruzioni storiche e di indagini, centinaia di migliaia di pagine di atti processuali e di testimonianze? A chi interessa sapere, tra l'altro, che il pentito Martino Siciliano, per scagionare l'esecutore Delfo Zorzi, fu pagato da un conto svizzero Finivest e, fisicamente, da Gaetano Pecorella, avvocato di Berlusconi, parlamentare e candidato alla presidenza della Corte Costituzionale? A pochi, davvero pochi. Sono quei pochi, però, che non mollano, perché non bisogna dargliela vinta, perché uccisi e sconfitti sì, ma umiliati no.
Tra quei pochi, cui va la mia ammirazione e il rispetto più sincero, la casa editrice Odradek, che un paio di anni fa ha ripubblicato "La strage di Stato - Controinchiesta" di Eduardo M. Di Giovanni, Marco Ligini, Edgardo Pellegrini. Il titolo oggi pare normale ma questo libro fu pubblicato cinque mesi dopo la strage. E, allora, nessuno parlava di Stato, bensì solo di anarchici, Pinelli era morto da poco. Fu una vera e propria controinchiesta, svolta dall'interno del movimento, e giunse a risultati non dissimili da quelli della magistratura. Trentacinque anni prima, però. Il libro è in vendita e in buona parte consultabile qui.
Alle ore 15 circa del 12 dicembre 1969, un noto professionista romano, iscritto ad un partito di sinistra, ricevette una telefonata: "Ti consiglio di sparire dalla circolazione. Tra poco in Italia, per voi, l'aria sarà irrespirabile". Era vero.

nove

Umorismo norvegiano.

I norvegiani, già famosi nel mondo per il loro spirito gioviale e il leggendario sense of humour, ci hanno regalato alcune perle che si sono prontamente diffuse nel mondo: la comicità dell'"Urlo" di Munch, gli allegri divertimenti musicali di Grieg, gli spassosi drammi di Ibsen, la buffa redenzione di Peer Gynt, il soave black metal e il lieve punk hardcore norvegiano, il contagioso pop degli A-ha, la simpatia del petrolio del mare del Nord, la giocosità del fiordo gelato e il riso argentino dell'inverno polare.
In questo solco di tradizione secolare si innesta la copertina dell'orario dei tram di Oslo, edizione 2008, a cura della locale azienda dei trasporti pubblici, che non posso non condividere qui.

Here come old flattop he come grooving up slowly / He got joo-joo eyeball he one holy roller... Forse Paul è morto davvero.

otto

Promemoria.

quattro

La scatola rossa e le mappe potenziali.
L'anno scorso è stato pubblicato anche in Italia un libro di Marc Levinson, The Box. La scatola che ha cambiato il mondo (Egea, 2007), libro che si occupa della storia del container, ovvero dell'idea di standardizzare i contenitori per il trasporto delle merci e, quindi, di tutto ciò che ne consegue in termini di commercio, trasporti, economia e globalizzazione.
L'idea del container risale al 1956 e in breve ha conquistato il mondo del commercio per la semplificazione nelle operazioni di trasporto, carico e scarico, e per l'incredibile riduzione dei costi. Dieci anni dopo si provvide alla standardizzazione internazionale delle misure del container: a parità di larghezza (244 cm) e di altezza (259 cm), esiste il 20 piedi (610cm di lunghezza) e il 40 piedi (1220cm di lunghezza). A seguire, sono stati adattati di conseguenza i camion, i treni, le navi, le stazioni e i porti, soprattutto. Tant'è che oggi la portata di carico delle navi porta-containers è valutata in multipli dell'unità di misura base, il 20 piedi (TEU, Twenty-feet Equivalent Unit). Tutta la faccenda è interessante in relazione alle conseguenze, è chiaro, più che per il fatto in sé: per esempio, la riduzione dei costi globali porta con sé una legge fondamentale del commercio attuale, "o si diventa internazionali o si muore". Che sarebbe anche una bella legge in generale per noi italiani, se non dovessimo combattere ogni giorno con Maroni e le sue cricche e se non fosse applicata pervicacemente alle spalle delle nazioni più deboli.
Come che sia, due mesi fa la BBC (che sarebbe l'omologa della RAI se non venisse da ridere a dirlo) ha intrapreso un esperimento: ha comprato un container, l'ha dipinto di rosso con il logo BBC, ha applicato un rilevatore satellitare e l'ha affidato alla compagnia di trasporti Nyk, in modo che venga utilizzato come qualunque altro container. Detto, fatto, il container è stato imbarcato a Glasgow il 12 settembre e ora, via Suez, Singapore, Shanghai, è giunto a Los Angeles. Naturalmente è possibile seguire il percorso del container sul sito della BBC, giorno per giorno (qui, la mappa completa è qui).
Lo scopo dell'esperimento è evidente: mostrare la complessità della rete di trasporti del pianeta, tracciandone una parte. Il che ha di certo un significato per gli addetti ai lavori, al contrario per un profano si traduce in una buffa mappa che mostra una trottola impazzita che pare girare per i porti del mondo apparentemente senza raziocinio. Cioè ciò che in qualche maniera già supponevamo.
Però è uno spunto. Infatti, se il significato di una mappa è la rappresentazione delle relazioni tra componenti, quali che siano, continenti, containers, voli aerei, popolazioni, gatti e cani etc., nulla impedisce di indagare più a fondo le relazioni più strane. Per esempio, sono interessanti le mappe che variano le dimensioni dei paesi in ragione al dato rappresentato. Come sarebbe il mondo in base al numero di voli aerei decollati in ogni nazione (21 milioni all'anno, 40 al minuto)? Così:

Difficile muoversi dall'Africa, si sapeva, l'Europa segue l'esempio americano. Per l'Italia, meglio rivedere la mappa tra qualche mese, con la CAI all'opera (questo è sarcasmo).
Molto più buffa e fonte di orgoglio per noi italici atei è la mappa della diffusione dell'ateismo, nella quale - modestamente - facciamo anche noi la nostra bella parte (e che dire di Cuba?):

Però, surprais!, è scomparsa la Russia e, si sa, tutto il mondo è Cina. Questi due esempi e molti, molti altri si trovano su worldmapper, sito interessante su molti fronti anche se, mi pare, difficile comprenderne l'affidabilità in dettaglio. Spunti, in ogni caso. Come spunti possono venire da altri tipi di mappe, più tradizionali, che analizzano in dettaglio alcuni elementi: il traffico telefonico globale, per esempio:

Germania chiama Turchia, Italia chiama Stati Uniti, Finlandia chiama Australia. E fin qui si tratta di emigrazione. Stati Uniti chiamano Cina, e qui si tratta di affari e di debiti. Qualche relazione si chiarisce. Questa e altre mappe si trovano su TeleGeography.
Un altro tipo di mappe sono le mappe non-geografiche, ovvero le mappe che rappresentano i flussi sulla base delle distanze o della mole del dato esaminato. Per esempio, una mappa interattiva del Princeton's International Network (INA) che mostra le distanze tra i paesi non nei termini consueti ma in base al tempo necessario per spostarsi da uno all'altro.
E' ovvio che Londra è molto più vicina a New York rispetto a Vancouver:

Ecco dove trovarla. Il bello delle mappe, in definitiva, è che pur essendo bidimensionali (non sempre, peraltro) non hanno limiti di nessun genere. Figuriamoci, noi europei andiamo in confusione alla sola vista di una mappa non eurocentrica, basta poco. Come basta poco, fantasia, a inventarsi delle mappe nuove, per rappresentazione, elementi o, addirittura, supporto. Come questa mappa della carne argentina, nota nel mondo. Ben fatto (e grazie a global voices per un paio di dritte).

due

La storia di Bartolomeo Garro.
Nato nel 1921 a San Benigno di Cuneo, Bartolomeo Garro a dieci anni andò da vaché, cioè da servo di campagna sotto un padrone, come capitava a tutti i suoi coetanei figli di contadini. A quattordici anni fu affittato a Centallo, poi di nuovo a San Benigno, a Cavallermaggiore, finché a vent'anni, nel 1941, partì soldato nel 7° artiglieria Gaf. Prima Porto Nettuno, poi Trieste, poi - il 12 settembre 1943 - di nuovo a casa. Salì in montagna, in valle Maira, con i partigiani della 20a brigata GL, comandata da Faustino Dalmazzo, con funzioni di collegamento con le formazioni di pianura.
Nella notte tra il primo e il due febbraio 1945 una brigata partigiana compì un'incursione contro il municipio di Tarantasca, un paesello vicino a Cuneo; morì un fascista per lo scoppio di una bomba a mano. Sebbene la bomba fosse stata lanciata dall'interno del municipio, i fascisti decisero di procedere ugualmente alla rappresaglia.
Il due febbraio 1945, venerdì, era il giorno della Candelora e molta gente, tra cui anche alcuni partigiani, si riunì nella chiesa di San Benigno per assistere alla funzione delle dieci, con il rito delle candele. Garro arrivò sulla piazza della chiesa a funzione cominciata. La chiesa e la piazza erano gremite di persone, più di duecento tra uomini, donne e bambini.
Pochi minuti dopo giunse una motocicletta sidecar sul piazzale della chiesa, armata di mitragliatore Breda: il fascista all'arma cominciò a sparare e ferì un partigiano, Dutto, e uccise un soldato sbandato, Piacquadio. Poi seguì un camion con una ventina di fascisti armati, tutti della Questura di Cuneo, guidati dal tenente Frezza. I fascisti fecero uscire alcuni giovani dalla chiesa e li radunarono contro un muro, con i giovani rastrellati in piazza: il tenente Frezza li prese a schiaffi, chiedendo a ciascuno i documenti.
Rimasero in tredici contro il muro, tutti figli di contadini. Frezza disse: "Voi siete tutti delinquenti, tutti malfattori. Di notte andate a rubare, a uccidere, e adesso vorreste salvarvi?" e diede l'ordine di sparare. Caddero in dodici, Garro restò in piedi incolume. Allora Frezza diede ordine di sparare di nuovo e Garro fu colpito da un colpo di sten al torace. Cadde.
Il suo racconto: "Sento i gemiti, sento dei colpi singoli di mitra, sono i colpi di grazia. Infine un gran silenzio. Un fascista grida: 'Signor tenente, questo vive ancora'. Cadendo in avanti ho battuto il mento, ho del sangue in bocca. Tento di alzarmi per riprendere un po' il fiato, ma come butto avanti le mani per sollevarmi vedo che il tenente Frezza mi è vicino con il mitra. Sento un colpo, paf, e ricado giù. Perdo i sensi". Ma Garro è fortunato. "Il tenente voleva colpirmi alla tempia, proprio nel momento in cui mi stavo muovendo, così la pallottola è entrata sotto l'orecchio destro ed è uscita sotto l'orecchio sinistro".
I fascisti se ne andarono, la madre di Garro uscì dalla chiesa e vide il figlio con le mandibole spaccate, la lingua bruciata e un colpo nel petto. Nessuno ebbe il coraggio di soccorrerlo per più di due ore, nessuno ebbe il coraggio di muoversi, troppa era la paura dei fascisti e troppa l'impressione per la strage.
Garro fu soccorso da due padri di famiglia coraggiosi, Gallo e Fantino, che chiamarono anche il medico di Tarantasca, Vezzosi. Il medico, prima di muoversi, chiamò Frezza: "Uno dei fucilati di San Benigno è ancora vivo. Mi chiedono di assisterlo. Posso medicarlo?"- Frezza rispose: "Lo medichi pure, lo guarisca. Visto che non è morto con le pallottole verrò poi a impiccarlo".
Garro ci mise molti mesi a riprendersi, rimase nascosto nei fienili, fu operato alla mandibola su un tavolo da cucina, per fortuna aprile non era lontano. Dopo la Liberazione, il processo ai fascisti di San Benigno durò quattro mesi, Frezza fu condannato all'ergastolo ma uscì dopo poco e fu amnistiato.
Ma ancora non bastava: "Li conosco i fascisti che mi hanno fucilato, alcuni li incontro per le strade di Cuneo. Quando li vedo li schivo. Una volta ho incontrato quello che guidava il moto-sidecar e l'ho insultato. Mi voleva denunciare, mi ha detto: 'Sono già stato condannato una volta, non mi condanni più tu. Stai attento perché ti mando in galera'". Così andò il mondo, in Italia.
Questa è la storia di Bartolomeo Garro, l'uomo che rivide i fascisti che lo fucilarono, contadino, partigiano, commerciante, scomparso qualche anno fa.

Riferimenti: Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, Torino, Einaudi, 1977, pp. 62-67; AA. VV., San Benigno: frazione martire di Cuneo, in Lotte Nuove, settimanale del Partito Socialista Italiano, Cuneo, 1° febbraio 1960, p. 3; Bartolomeo Garro, Partenza per l'aldilà e ritorno, inedito.

b.site of the moon - chi copia e non me lo dice è un fassista e una brutta persona; se mi fate causa, parte l'anatema.