distanze siderali tra Mattei e Scaroni: il caso de “Il Gatto Selvatico”

Ovvero, quando non è possibile non essere passatisti.
Quando Enrico Mattei fu designato allo smaltimento del baraccone Agip, nel 1945, molti si attendevano lo svolgimento diligente di un compito da poco, con buona pace di tutti. Così non fu, e la vicenda è nota, Mattei non solo non liquidò ma potenziò e costruì badando poco alle regole della politica, usandola – come diceva spesso – come un taxi: si sale, si paga la corsa e poi si scende all’arrivo.
eni_gatto-selvatico_dueE fu l’ENI, il gas naturale di Ripalta, il petrolio di Cortemaggiore, furono i blitz notturni per posare i condotti, le ottomila ordinanze trasgredite, i rapporti con i paesi nemici, la Persia, la Tunisia, la Libia, il Libano, il Marocco, le leggi su misura, l’OAS e la CIA, i soldi distribuiti a destra e a manca, in un crescendo inarrestabile fino allo schianto nel 1962.
Nel turbinio di quel quindicennio, perché ne faceva tante quante ne pensava, Mattei dotò l’ENI di un giornale e, soprattutto, di una rivista: “Il giornale che faremo noi deve essere lo stesso, democraticamente possibile, cioè leggibile, dal Presidente della Repubblica al più lontano dei nostri perforatori, anche fuori dall’Italia”. La chiamò “Il Gatto Selvatico”, roba impossibile oggi, richiamando il wildcat del gergo petrolifero e l’animale poco incline ai domatori.
Ancor più impossibile oggi, a dirigerla chiamò – pazzo! – un poeta, Attilio Bertolucci, cui diede carta bianca e mezzi sufficienti a fare una rivista diffusa ovunque: niente carte patinate e immagini da rappresentanza ma “interviste volanti” ai distributori di benzina e racconti di Gadda, recensioni cinematografiche e analisi di Salvadori sulle elezioni americane, ricette gastronomiche e consigli per stare al mondo, Ginzburg, Parise, Saviane, Sciascia, Calvino, Manganelli, Caproni, Cassola, Banti, le copertine di Mino Maccari (bellissime, una follia viste da un amministratore delegato di oggi), Fo, racconti di Joyce, Hemingway, Eliot, insomma tutto quanto poteva contribuire allo sviluppo di un paese dal punto di vista energetico e culturale. Tutto insieme. Perché le cose stesse, da sole, vanno tutte insieme.
Misurare la distanza tra un poeta alla tolda di comando, allora, e gli Scaroni di oggi è cosa possibile ma rischiosissima, densa di rimpianti e di una non vaga sensazione di miseria, attuale. Perché era pur sempre la rivista di un gruppo industriale colossale, con interessi economici enormi e finalità chiare, eppure al reportage sulle nuove scoperte di giacimenti nel nord Italia si accompagnavano riflessioni sensate sul costume e sulla storia, sulle arti e sul pensiero non dominante, oltre a un discreto e notevole cazzeggio divertito, nobilissimo.

Oggi l’ENI pubblica una rivista che si chiama “OIL”, te pareva, il cui comitato editoriale è diretto da Lucia Annunziata e conta membri come Joaquín Navarro-Valls, ultra-vaticanista della prima ora, il che la dice non lunga ma lunghissima sul vicolo nel quale siamo finiti. Per i giovani virgulti desiderosi di suggere petrolio pubblica invece “Amalgam@”, rivista bidone fin dal nome. E all’ENI di oggi importa poco del Gatto Selvatico che fu, esattamente come importa poco di Mattei e dello sviluppo energetico nonché culturale del paese, non a caso le note d’archivio sul passato sono parecchio striminzite.
Non importa, non è da Scaroni che bisogna aspettarsi qualche guizzo di genio, purtroppo: ci penso io, con modesti mezzi, a riportare alla memoria qualche piccolo passaggio, ormai leggendario, della rivista sepolta. Ecco la strepitosa ricetta del risotto alla milanese che Gadda scrisse appositamente per il Gatto (1959), e il racconto “I rapporti umani” di Natalia Ginzburg (1957), sempre per le stesse pagine; e ancora, la buffa storia del primo pozzo di petrolio di Marcello Venturi (1959), “Il fidanzato” di Giuseppe Dessì (1955) e ancora Gadda con una novellina del 1955. E l’indice completo delle pubblicazioni del Gatto, per chi fosse curioso oltremodo.

Oh, intendiamoci, l’ENI fa tuttora cultura: paga e mette il nome come sponsor. E’ il caso della Scala, si guardi la promozione qui sotto: una piattaforma petrolifera che si fa palcoscenico, orge creative spinte al massimo per parti minuscoli e stortignaccoli, una prospettiva di futuro immaginata da menti più che deboli che altro non sanno fare che scucire quattro lire per mettere il cappelletto su cose fatte da altri.
La distanza è, ahinoi, ormai del tutto incolmabile. Tutti a teatro, dunque:

italia-eni-scala

  • Nov 4th, 2009 at 13:19 | #1

    Caro Trivigante, tu parli di Cultura culturona, e chiaro che Scaroni ne esca con le corna rotte da Mattei… Figuriamoci, signora mia, erano anche altri tempi, un Paese che voleva crescere e lanciare una cultura democratica.
    Io a latere, e nel mio piccolo (ormai avrai capito che dei tuoi post guardo solo le figure) trovo molto interessante la “comunicazione” di quei gruppi o aziende che non hanno da pubblicizzare dei prodotti in senso stretto (tipo il Dash o la Fiat 850) e che devono più che altro vendere nel miglior modo possibile la loro immagine.
    Esempi ce ne sono molti in ogni epoca e alcuni più recenti sono a modo loro mirabili. No, non penso a Gandhi per Telecom (anche se a suo modo…) ma a DiCaprio/Allen si. E poi Enel, UBS, Finmeccanica (peace!) e via dicendo.
    Bellissimo, in particolare, come viene declinato il “corporate brand” per le compagnie di assicurazione, sempre a loro modo, tra cui per me spicca il geniale “because change happenZ”. Semplice, immediato, super-Brandizzato.
    Grazie, T. per aver riesumato queste pillole dal Gatto Selvatico, ottime letture da treno!

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