Dipende da persona a persona. Dice il sommo Gipi.
Categoria: estasi
Finalmente consegnate le cartine geografiche per la scuola di Adro.
da isolavirtuale via cassonetto bananarchico.
Savoia o Borbone? (il re spurcazóne)
Con la convocazione del primo parlamento d’Italia e quindi la proclamazione del regno, Vittorio Emanuele II diventò il primo re d’Italia.
Va da sé che, 1861, si ritrovò a capo di uno stato che così grande, da Torino, non l’aveva mai visto e così si disse che un bell’inventario sarebbe stato utile, per capire tra regge, piatti e bicchieri, di che cosa potesse disporre.
Tra i beni incamerati coll’unificazione (meglio: annessione) egli non si fece sfuggire, furbo, la reggia borbonica di Caserta, meraviglia tra le meraviglie e così, solerte, inviò un tot di funzionari torinesi pignoli a inventariare tutto il contenuto della reggia, cucchiaio per cucchiaio. Quelli, dediti al lavoro impiegatizio, compilarono una lista lunga tanto che tanto fece gioire il re di argentina cupidigia.
Rimase interdetto, però, quando vide una voce singola, che tanto aveva lasciato interdetti anche i suoi: “numero X di bacili a forma di chitarra di uso sconosciuto“. Chissà cosa facevano i Borboni, quegli incivili, con gli strani bacili a forma di chitarra. Soprassedé all’idea di aggiungerci sei corde metalliche e suonarli, e lì li lasciò, nel mistero.
Se ancora qualcuno è incerto se sia stato meglio essere conquistati dai Savoia piuttosto che da qualsiasi altra dinastia umana o intergalattica di ogni tipo, forma o colore, allora è il caso che si scopra cos’erano i misteriosi bacili: ecco. Fortunati, noi.
Niente preamboli, Buzzati è grande (e non è la mia prima volta) e questo che segue è, senza dubbio, il più grande racconto mai scritto.
Esagerato? Forse, ma se siete stati bambini e avete avuto uno di quei momenti in cui avreste desiderato morire per sconfiggere il mondo, allora sarete d’accordo con me. Non so se questo succeda alle bambine, ma ai maschi di sicuro. Ammesso che si siano nascosti nei boschi da soli e nell’oscurità per almeno una volta. A voi (qui il pdf se lo volete per voi).
—
Dino Buzzati, Il borghese stregato.
Giuseppe Gaspari, commerciante in cereali, di 44 anni, arrivò un giorno d’estate al paese di montagna dove sua moglie e le bambine erano in villeggiatura. Appena giunto, dopo colazione, quasi tutti gli altri essendo andati a dormire, egli uscì da solo a fare una passeggiata.
Incamminatosi per una ripida mulattiera che saliva alla montagna, si guardava intorno a osservare il paesaggio. Ma, nonostante il sole, provava un senso di delusione. Aveva sperato che il posto fosse in una romantica valle con boschi di pini e di larici, recinta da grandi pareti. Era invece una valle di prealpi chiusa da cime tozze, a panettone, che parevano desolate e torve. Un posto da cacciatori, pensò il Gaspari, rimpiangendo di non esser potuto mai vivere, neppure per pochi giorni, in una di quelle valli, immagini di felicità umana, sovrastate da fantastiche rupi, dove candidi alberghi a forma di castello stanno alla soglia di foreste antiche, cariche di leggende. E con amarezza considerava come tutta la sua vita fosse stata così: niente in fondo gli era mancato ma ogni cosa sempre inferiore al desiderio, una via di mezzo che spegneva il bisogno, mai gli aveva dato piena gioia.
Uno dei miei giri romani prediletti consiste nell’arrancare per la salita gianicolare verso Sant’Onofrio, visitare il chiostro che ospitò il Tasso e poi vide Leopardi, Goethe e tanti altri venuti a omaggiare il poeta, e poi proseguire in alto ricordando la Repubblica Romana, tempi migliori di questi, incappare nel bizzarro faro argentino, per poi ridiscendere via tempietto di Bramante, ambasciata di Spagna, Acqua Paola e via così.
Lungo la salita si incontra la cosiddetta quercia del Tasso, sotto la quale il poeta andava a meditare. E a pigliare il fresco, diciamocelo. Però io, che son rinascimentale di formazione, mi diletto assai poco dei versi tasseschi, preferendo loro i versi dell’Ariosto, o del Pulci, o meglio ancora del Boiardo, giusto per restare in analogo argomento. Ciò non toglie che una bella visita alla quercia e al sepolcro non me la nego quasi mai.
E ogni volta che passo davanti alla quercia, ormai seccherella e annerita dal fulmine, non posso non ricordare Achille Campanile che, da pazzo qual era, scrisse quella meraviglia che è “La quercia del tasso” (e la minuscola è corretta). Ecco la meraviglia:
Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand’essa era frondosa.
Anche a quei tempi la chiamavano così.
Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
io dubai no posibile io rimborso
Phishing così non si vedeva dai tempi di “il tuo conto è rotto”: che meraviglia. Che poi Dubai mi fa schifo, meglio richedo premio gaudagnato, sì.
Gipi è un genio, e fin qui niente di nuovo.
La novità è che, come Andreotti o Dell’Utri, si può uscire dalla mafia, perché è come il cinema o come una vacanza, la meravigliosa settimana mafia, ci stai quanto ti pare.
I videi si trovano qui, oltre che. Rarefatti e bellissimi.
momento epico all’olympiastadion
In ogni concerto che si rispetti, l’entrata allo stadio – se ce n’è uno – è uno dei momenti salienti ed epici di tutta la faccenda: il buio delle gallerie e all’improvviso si spalanca l’ovale, che va riempiendosi che sembra che non ci stia più nessuno.
Se poi tutto questo avviene all’Olympiastadion di Berlino, lo stadio di Jesse Owens e delle medaglie alla faccia del baffino isterico, tutto diventa più speciale. Perché lo stadio è ancora quello del 1936, più o meno, basta far finta di non vedere la copertura e immaginarsi orrende bandiere qua e là. Ecco com’è andata, qualche giorno fa (e io avevo la maglietta di Mao, appositamente).