lo spirito nel granaio (omaggio a Dino Buzzati)

Nel 1965 Dino Buzzati decise di ritornare in Val Belluna per una notte, nella casa della sua infanzia. Nonostante non fosse tipica terra da belluno-villa-buzzatistregonerie e da fantasmi, la gente non avesse molti umori fantastici e i declivi e la campagna sembrassero bonari, la casa – fin dall’infanzia di Buzzati – pare fosse infestata da uno spirito di un antico fattore, forse un certo Fontana che defraudava le misure del granturco. Spirito che a mezzanotte attraversava il pavimento del granaio camminando da parete a parete, calpestando sonoramente i tavolacci di legno e rimestando tra i mucchi di grano e mais, il suo tormento.
Si dice che gli spiriti perdano di anno in anno in vitalità e consistenza, che dimagriscano e si attenuino, che le loro impronte si facciano fievoli e sottili fino a dissiparsi del tutto, dissolte e smussate con l’andare del tempo: per ciò, ormai quasi sessantenne, Buzzati decise di tornare nella vecchia casa, per assaporare ancora una volta quella soggezione solenne e antica che vien su la notte dai rintocchi, dai passi sul legno, quella folla di volti, di voci e di momenti perduti che avevano costituito la sua infanzia.
Anche uno spirito è questo.
Custodiva la casa l’Amabile, Maria Pia Orzetti di quasi quarant’anni, chissà perché soprannominata così, forse perché più facile da dire, vedova da due mesi per incidente di motocicletta. Accolto Buzzati, ascoltò con calma e pazienza il suo piano di passare la notte nel granaio, per vedere lo spirito, lo guardò come si guarda un parente strambo e gli preparò la cena. Poco dopo, lo scrittore salì su nel granaio, una sedia, una candela e una torcia elettrica, e si mise da solo ad aspettare.
Silenzio. Poi un’auto, poi un’altra. Silenzio. La fiamma della candela che traballa, poi si ferma e poi ricomincia. Rumore di pioggia, ticchettìo sulle foglie. E poi ancora silenzio. Una campana di una chiesa vicina suona la mezzanotte. Silenzio. Tramestio sulle travi di sopra, topi probabilmente, un cane da lontano chiama e non piove più. A un certo punto, un passo, un altro, un breve rantolo. Un passo strascicato, pesante, che si avvicina. Un tuffo al cuore. Il suono viene dalla parte sbagliata, da dietro. E’ l’Amabile, che apre appena la porta da dentro una fetta di buio per controllare che tutto vada bene. Sì, Amabile, vada pure a dormire, grazie.
Ormai l’incantesimo si era rotto, troppo tardi, lo spirito non venne e forse non sarebbe mai più venuto. Che tristezza e che dolore quando ci tocca capire che le cose del passato non torneranno mai più, niente sarà come prima, ciò che è stato ormai non è e le stanze resteranno vuote, i cassetti e gli armadi inutili, le cose più di nessuno. Tocca sbatterci la faccia e quando accade vien su una nostalgia ma una nostalgia che c’è da sbattere la testa per farla passare. Lo spirito se ne era dunque andato, dissolto, e con lui tutto il resto. E lo dice bene Buzzati:

“Addio, spirito antico, anche tu consumato dal tempo a poco a poco, simbolo di una età felice e defunta, della remota fanciullezza, delle favole, delle parole che dissi e che udii, dei lari benigni, dei vecchi che non conobbi, del padre, della mamma, addio”.

Era dunque venuta mattina e non restava altro che salutare l’Amabile e tornare a Milano, avendo sapute cose che si sapevano già, da qualche parte dentro al cuore. “Arrivederci, Amabile”. “Arrivederci signor Dino. Ieri sera non è venuto, poi?”. “No, Amabile, purtroppo no”. “Mi dispiace, io l’ho aspettato fino alle undici. Poi mi scuserà ma sono andata a dormire, che ero così stanca”.

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