A trent’anni dall’ultimo, mi sono comprato un album di figurine.

D’accordo, non vado a dirlo in giro nelle cene eleganti, ma tutto sommato sono piuttosto soddisfatto.
La storia del Risorgimento, le figurine di Pisacane, del Volturno, di Giacomo Medici e dei fratelli Dandolo, porta San Pancrazio e il Vascello. Che goduria. E in un attimo, la gloriosa sensazione di aprire i pacchetti delle figurine, il rituale mantrico del celocelomanca, e le carte sparse dappertutto che poi ti giri e rigiri l’album immaginando come possano essere le figure che ancora mancano. Sensazionale. Era dal 1983 suppergiù che non praticavo, da quando scoprii che non ce l’avrei mai fatta a trovare la figurina 56, la foce a delta, maledetta lei e tutti i fiumi della terra.
Ora che sono adulto, fisicamente diciamo, ho finalmente provato l’estasi suprema del figurinismo quando si è ricchi: andare dall’edicolante, chiedere quanti pacchetti di figurine ha e – momento sommo – dire: “dammele tutte”. Uoah, il sogno di quando ero nano. Tornare a casa con, che so, quaranta pacchetti di figurine in un colpo solo. Non sono bastate per finire? Edicolante (un altro): “dammele tutte”. L’ho sognato un milione di volte.
Cazzarola, però, nonostante io sia ricco da far schifo ho commesso dilapidazione di danari. Paniniugualeladri. Ma le devo avere tutte lo stesso.
E poi, da adulto, nonostante io rifiuti la cosa, puoi fare ciò che è proibito da ragazzetti: compilare il modulo dentro e comprarti direttamente le figurine che mancano. E finire. Bum! Un po’ sporca, lo so, non lo farò.
L’albume di figurine ha portato ancor più gaiezza nella mia casa, il tempo è tornato indietro e certe cose, nella testa, non cambiano.
Anzi sì, una sì, una cosa è cambiata. E non ci avevo pensato e un poco mi ha fatto male scoprirlo: non ho più nessuno con cui scambiarle.
Il tempo se ne è davvero andato.