Il 25 aprile è il mio natale, anzi meglio: è l’unica ricorrenza annuale in cui non mi tocca scendere in piazza per ricordare una strage o per protestare contro il pacchetto sicurezza (il 2 giugno è un po’ una sòla, una roba per sottosegretari), è una festa vera, che si è felici e si celebra una vittoria. Capito? Una VITTORIA!
Categoria: memoria
la liberazione non venne per tutti
Giovedì scorso mi sono unito a partigiani, parenti di combattenti, radical chic, democratici sinceri e di facciata, cinefili, innamorati di Gian Maria Volonté, chiacchieroni, comunisti, giovani presenzialisti e vecchi dediti alle lettere al direttore, appassionati vari, per vedere “I sette fratelli Cervi“ di Gianni Puccini (e non Giacomo Puccini, bestia d’un Mereghetti), film del 1968. Sommo Volonté nel ruolo di Aldo Cervi, oltre a un cast importante.
Il film, sembra una banalità dirlo ma non lo è, fu sottoposto a censura preventiva e tale rimase – ossia tagliato – fino a oggi, ristampato e restaurato grazie all’Istituto Alcide Cervi. Il film, per fortuna, è disponibile qui.
Gli è che i Cervi, in particolare Aldo, erano cattolici ma nei primi anni Quaranta, mentre maturavano l’idea della resistenza armata e aumentava la loro insofferenza verso le collusioni della Chiesa con il Fascismo, si avvicinarono a posizioni comuniste, pur restando autonomi dall’organizzazione politica. La cosa, ovviamente, non piacque ai censori che provvidero a tagliuzzare pesantemente la pellicola.
La stessa sorte la subì “I miei sette figli” di Alcide Cervi, resoconto pubblicato nel 1955 che raccoglie le memorie del vecchio padre dei sette fratelli. La seconda edizione, del 1971, fu barbaramente tranciata dai Catoncini dell’epoca, che non potevano sopportare le cose come stavano. Solo nel 2010, e di nuovo per fortuna, è uscita la versione integrale da Einaudi. Quarant’anni ci sono voluti e uno vorrebbe non crederci.
Come che sia, alla proiezione era presente il figlio di Aldo Cervi, Adelmo. Il 27 dicembre 1943 aveva quattro mesi, per cui non ricorda di certo il padre e gli zii, oltre che gli avvenimenti di quei mesi. Ricorda però benissimo cosa accadde dopo. I sette fratelli furono prontamente insigniti della medaglia d’argento al valor militare («La fede ardente che li ha uniti in vita ed in morte ed il sacrificio affrontato con eroica, suprema fierezza, fanno di essi il simbolo imperituro di quanto possano l’amore di Patria e lo spirito di sacrificio») e i simboli imperituri furono chiusi definitivamente negli armadi: una famiglia devastata nella quale erano sopravvissuti i vecchi genitori, quattro vedove e undici nipoti bambini venne lasciata a sé stessa. Un solo cugino, adulto, si trasferì da loro per lavorare i campi, unico sostentamento, nessuno dei ragazzini maschi potè frequentare la scuola perché necessari a casa, la loro abitazione nel 1944 fu bruciata dai fascisti, la Contessa Sailcavolo Viendalmare qualche anno dopo vendette la casa e i terreni che i Cervi avevano in affitto per non avere a che fare con loro. E fu la fame, perché le medaglie, come si sa, non fanno passare l’appetito, nemmeno se sono di cioccolata, e i simboli (o i loro figli) a volte hanno il vizio di mangiare.
La Liberazione, dunque, non venne per tutti. Tributare onori, creare ed esaltare i simboli, gloriarsene, dedicare le strade e poi girarsi dall’altra parte è senza dubbio comportamento degno dei fascisti. Delle cose e delle persone bisogna occuparsene.
senza fare di necessità virtù
Il comandante Paolo se n’è andato.
Novant’anni vissuti dal primo all’ultimo, ne ho parlato tante volte, ora non c’è più per davvero. E con lui non solo se ne va un altro partigiano, uno dei pochi rimasti in grado di raccontare in prima persona, la cosa peggiore è che restano i Belpietro e i Feltri, mistificatori senza coraggio e senza dignità. Io ho ricevuto molto da Rosario Bentivegna, leggendolo e incontrandolo una volta, ho appreso il concetto di ‘integrità’ nella sua pienezza, ho sempre considerato una fortuna ascoltarlo e vederlo ergersi a baluardo della verità dei fatti con la semplicità delle persone corrette.
In un altro paese, quasi uno qualsiasi, sarebbe stato considerato un eroe e celebrato fino alla fine. Qui no, perché siamo sempre speciali, noi. E la prossima volta che qualcuno parlerà a vanvera di bambini morti, di manifesti dei nazisti prima dell’eccidio delle Fosse, di inopportunità delle azioni partigiane, noi saremo sempre qui, tutti, a rispondere. Ma ci mancherà, Rosario.
Quasi due anni fa ebbi la fortuna di ascoltarlo raccontare la nostra storia, lucido e coerente, oggi mi sembra doveroso riproporre il video di quell’incontro. E’ quello che ci resta: i racconti di come siamo arrivati, oggi, a essere liberi. Pare poco?
23 marzo 1944
Ancora una volta è l’anniversario dell’attacco di via Rasella. E domani lo sarà dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
E ancora una volta è il caso di ricordare. Che poi, tocca ogni anno ricordare le stesse cose, ripetere le stesse cose a chi non ha nessuna voglia di saperlo o di essere giusto, tocca ripetersi ancora e ancora, senza capire bene perché sia il caso di ripetersi. O meglio: tocca fare i conti con l’insistenza “che è tipica di chi sa che mente e che la menzogna a furia di battere può passare per verità“, per citare Carla Capponi.
E allora, se bisogna ripetersi, tanto vale farlo davvero: ripropongo anche quest’anno una bellissima intervista del 1994 a una delle protagoniste dell’attacco, Carla Capponi appunto, per rifare il punto, sempre quello, sulla questione di via Rasella e sulla rappresaglia nazista. Vale la pena rileggersela, a parer mio. Almeno una volta l’anno. Eccola qui.
Resto basito, come ogni anno, dalla sfrontatezza di alcuni e dalla assoluta mancanza di senso in chi, e non sono pochi, punta il dito contro l’attacco partigiano e non si accorge della mostruosità dell’idea stessa di rappresaglia, per non parlare della rappresaglia in concreto. Ma tant’è. Tocca farci i conti quasi tutti i giorni.
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Aggiuntina delle 18.55
Domanda: ma perché Napolitano e tutti gli amici belli commemorano l’eccidio delle Fosse oggi? E’ perché domani è sabato e hanno da fare? E’ perché le scuole il sabato non ci vengono? O forse ha a che vedere con shabbat? Come che sia, non afferro.
C’è in giro un sacco di gente che io apprezzo molto.
E questa gente che io apprezzo molto (e non solo io, per fortuna) fa cose che io apprezzo molto.
E non solo io, per fortuna.
Una di queste persone è Many di Schegge di Liberazione. Una delle cose è Schegge di Liberazione: bonus tracks (ma non solo). Lui e il collettivo Barabba, che matti, raccolgono materiale, ne scrivono, e ne pubblicano aggratise.
Questo giro, il quarto del genere, è un bonus tracks, una raccoltona (qui il pdf), nella quale, meritatamente o meno, ci sono finito anche io. O, anzi meglio, non io: ma il corpo che porta pesante carico. Pagina 68.
Ci sono un sacco di racconti belli, di racconti tristi e divertenti, un sacco di idee notevoli e memorie importanti.
E di svagatezze, come la mia.
Se ne avete voglia, tutti i collegamenti necessari sono qui sopra.
ir Pinelli
il quarantaduesimo dodici dicembre
La parte importante è in basso, il resto è retorica e sconfitta.
Onorina Brambilla Pesce
Nori, come la chiamano tutti, o “Sandra”, il suo nome da staffetta partigiana, se n’è andata ieri mattina. Il 25 aprile di due anni fa la sentii raccontare un pezzetto della sua storia, della deportazione, delle torture, della guerra e del comandante Visone. Lo ripropongo oggi, per ricordarla e salutarla:
Fino all’ultimo in prima persona, senza tregua. Mi mancherai.
Gian Maria Volontè interpretò Nicola Sacco nel film di Montaldo del 1971 e, quando si trattò di recitare il lungo monologo in propria difesa (“la società nella quale ci costringete a vivere e che noi vogliamo distruggere, è tutta costruita sulla violenza: mendicare la vita per un tozzo di pane è violenza; la miseria, la fame a cui sono costretti milioni di uomini è violenza; il denaro è violenza; la guerra; e persino la paura di morire che abbiamo tutti ogni giorno, a pensarci bene, è violenza“), Volontè si preparò a lungo. Quando si dichiarò pronto, cominciò a recitare l’intera scena, come era solito fare.
Si racconta che dovette interrompersi e ricominciare perché una comparsa, che interpretava un poliziotto alle spalle di Nicola Sacco, scoppiò a piangere per il pathos e la carica dell’interpretazione di Volontè e ci volle un bel po’ perché si riprendesse.
Potere delle parole, dei pensieri (e del magnifico Volontè).
E’ una storia che mi piace ricordare.
1974, alle ore 1.30 del 4 agosto, una bomba esplose nel secondo scompartimento della quinta carrozza del treno Italicus, Roma-Monaco di Baviera, mentre transitava all’interno della galleria della Direttissima a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna.
Morirono dodici persone: Nunzio Russo di Merano, tornitore delle ferrovie, la moglie Maria Santina Carraro e Marco, il figlio quattordicenne. Nicola Buffi, 51 anni, segretario della Dc di San Gervaso (Fi) ed Elena Donatini rappresentante Cisl dell’Istituto Biochimico di Firenze. E poi Herbert Kontriner, 35 anni, Fukada Tsugufumi 31 anni, e Jacobus Wilhelmus Haneman, 19 anni. La bomba uccise anche Elena Celli, 67 anni e Raffaella Garosi, di Grosseto, 22 anni. Silver Sirotti, invece, non era stato coinvolto nell’esplosione. Aveva 24 anni ed era stato assunto dalle Ferrovie da dieci mesi, stava svolgendo servizio sul treno quella notte e, quando vide le fiamme in galleria, impugnò un estintore e incominciò a estrarre i feriti. Rimase anche lui bloccato tra le fiamme. Fu decorato con la medaglia d’oro al valor civile. L’incendio rese irriconoscibili molti corpi, tra cui quello di Antidio Medaglia, 70 anni, che venne riconosciuto dalla fede al dito.
L’attentato fu subito rivendicato. Fu fatto ritrovare un volantino di Ordine nero che proclamava: “Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti“.
Poi qualcuno fece il nome di Tuti, qualche pista portò poi a Gelli (Arezzo è vicina), al SISMI e così via. Facile indovinarne la conclusione: nessun colpevole individuato.
Questo è un post di quattro anni fa. E la cosa tragica è che non fa nessuna differenza.