Che meraviglia, quando ci si affaccia dalla finestra e si vedono le cose belle.
Categoria: estasi
un’idea folgorante
Qualche giorno fa ho sentito parlare Riccardo Petrella. Ossia, uno che da decenni partorisce idee grandiose e poi, seduto ai tavoli più grandi, le propone e le sostiene. Con una leggerezza toscanaccia che dovremmo imparare in molti.
Comunque, durante la conferenza a un certo punto, con giusta pausa di suspàns, butta lì una cosa folgorante, cui penso da giorni: “perché” – dice – “non rendere illegale la povertà?”.
Bam, ci resto secco. All’inizio si resta un po’ così, poi l’idea arriva abbastanza in fretta. Ora: se siete leghisti rincoglioniti, probabilmente avrete capito “rendere illegali i poveri”, e allora è meglio che lasciate perdere, il pensiero è cosa da persone robuste. Però, in sostanza, la differenza sta proprio qui. Ossia: tanto per cominciare, non si tratta di considerare la povertà una cosa giusta o sbagliata, categorie abbastanza ridicole quando si deve fare sul serio, quanto più una cosa al di fuori della legge, cioè passibile di sanzioni. Ma verso chi? E qui viene la bomba: se la povertà è illegale, la responsabilità dell’esistenza di fasce sociali al di sotto di una certa soglia è collettiva, ossia dello Stato, ossia nuovamente collettiva. E’ lo Stato che non può permettersi di avere dei poveri, perché la cosa è illegale. E pian piano, l’idea arriva.
Ed è molto più sofisticata di, che so?, dichiarare patrimonio collettivo un bene, tipo l’acqua o il partenone, e implica responsabilità dirette e indirette, perché è la legge che parla. Ora non voglio farla tanto lunga, visto che si può ascoltare la cosa direttamente da Petrella, meglio e ancor meglio. Però pensateci, perché – a pensare alle implicazioni e alla meraviglia di una decisione collettiva di questo genere – è a dir poco entusiasmante. Almeno a parer mio.
è ora, vattene affanculo
genio farmaceutico
Diciamo che mi sono fatto male, lottando contro il Male.
Il farmacista, osservando le mie ferite quasi-mortali, ha sentenziato: “Ho io quello che fa per lei”.
Bene, ho pensato, ora va a prendere una cintura, un coltello arroventato, del whisky e degli asciugamani bagnati.
E invece mi ha dato questo:
Meraviglia, sono ancora estasiato. Ora vorrei del Beviben, del Secerniunsacc, del Malincovia, del Vivifelicitezz e una goccina, dopo i pasti, di Nessundolor. Non sento niente no, adesso niente no.
B (one letter one book)
Una lettera, un libro. Una lettera, un titolo. Venticinque titoli per venticinque audaci. Eccoli:
- a, Andy Warhol
- c, Thomas Sowell
- C, Maurice Baring
- “C”, Anthony Cave Brown
- C, Tom McCarthy
- E, Matt Beaumont
- G, John Berger
- H, Elizabeth Shepard
- H., Lin Haire-Sargeant
- K, Mary Roberts Rinehart
- [K, Roberto Calasso]
- K., Ronald Hayman
- M, John Sack
- N, Louis Edwards
- O, Omari Grandberry
- P, Andrew Lewis Conn
- Q, Stephen Leacock
- Q, Luther Blissett
- S, Semaines de Suzanne, AAVV
- S., John Updike
- V, Thomas Pynchon
- W ou le souvenir d’enfance, Georges Perec
- X, Sue Coe
- Y: the Last Man, Brian Vaughn
- Z, Vassily Vassilikos
sei considerazioni sugli stati uniti
Nel 1961 De Laurentiis spedì il giovane Goffredo Parise negli Stati Uniti, con l’incarico di procurargli un soggetto cinematografico. Parise non tornò con un’idea per un film ma fece quello che sapeva fare meglio: il reportage di viaggio.
Era l’inizio degli anni Sessanta e degli Stati Uniti circolava un’immagine piuttosto oleografica e poco distinta, Kennedy era appena stato eletto, la baia dei Porci era dietro l’angolo e da noi si vedeva “La battaglia di Alamo” di John Wayne. Un po’ poco per capire davvero.
Parise rimase molto colpito da quel viaggio, parlò di uno “choc conoscitivo”, e scrisse alcuni articoli al riguardo, rivolti ai lettori italiani che così poco conoscevano del paese che – Parise già lo intuiva chiaramente – avrebbe radicalmente condizionato la vita culturale e politica di tutti noi. Non era così evidente, allora. Parise, che era capace del miracolo dell’analisi e della sintesi, scrisse un breve prologo nel quale anticipava i temi che avrebbe poi trattato negli articoli: l’horror vacui, la pornografia, la selezione naturale, il consumo, quel che resta dell’arte figurativa, la nuova cultura popolare americana. Gli elementi, cioè, più interessanti per un europeo in trasferta.
Come promesso nel titolo del post, Parise fece nel prologo sei considerazioni sintetiche sugli aspetti degli americani che colpiscono di più un europeo per differenza. Considerazioni che valgono, da sole, molto più di qualsiasi summa di Furio Colombo. Le riporto, perché rivelatorie ancora oggi, oltre che illuminanti allora.
1) La totale assenza di radici. E’ strano, dopo duecento anni di vita nazionale: eppure il vacuum perseguita quel paese come una maledizione e l’uomo prova l’horror di stare poggiato sull’etere, sul nulla, dentro il territorio della solitudine più tragica e alle frontiere della disperazione.
2) L’american way of life è, e sarà sempre di più negli anni futuri, il modello di vita per una sempre maggior parte della popolazione occidentale, specialmente italiana.
3) Là il cittadino medio americano non ha alcuna coscienza di classe; non perché le classi, come vedremo, non esistano. L’uomo medio americano ha subito come una sorta di lobotomizzazione storica e politica e non si rende conto della propria identità politica, delle differenziazioni e discriminazioni sociali e razziali, enormi, che esistono nel proprio paese. E’, al tempo stesso, mansueto collettivamente, violento individualmente.
4) Il popolo americano, dall’uomo più ricco al più povero, manca completamente del senso di proprietà nei confronti del proprio corpo e della propria persona, mentre ha un fortissimo senso, supersviluppato, della proprietà delle cose. E’ assetato e talvolta ricco di prestigio sociale ma è poverissimo e molte volte nullatenente, di dignità.
5) L’America di oggi, dopo la guerra in Vietnam e con l’immenso sviluppo della pornografia e della pornografia criminale è, dopo secoli, la prova della sconfitta di Calvino e di Lutero e della vittoria, dopo secoli, della Controriforma.
6) La nascita di una nuova, misteriosissima e simbolica scrittura, tra grafica e figurativa, che non comunica nulla. Sui vagoni del subway, sui muri, sui box della posta, su furgoni e camion appaiono segni tracciati con bombole spray o con pennarelli giapponesi: sono belli, non hanno alcun connotato stilistico individuale, non significano nulla. E’ la scrittura anticomunicativa per eccellenza: è bella e muta.
Quasi premonitorio, se il dirlo non togliesse qualche cosa alla capacità di Parise di comprendere la realtà non ancora evidente, in Cina come in Laos come a New York. Il libro è: Goffredo Parise, New York, Milano, Rizzoli, 2001.
il cinema indiano d’azione
A metà tra un film di Little Tony e Terminator, nessuno canta ma ci si dà dentro con l’azione: Endhiran. Roba forte.
(grazie a J.avarnanda per la segnalazione).
Evoluzione, mignoli, anelli mancanti, luoghi comuni sfatati, paleontologia, piccanti accoppiamenti tra neanderthal e sapiens, migrazioni, occupazioni e lotte, scimmioni e uominiorsomaiale, insomma tutta la bellezza della storia dell’evoluzione raccontata meravigliosamente da Telmo Pievani, brillante filosofo della scienza e biologo evolutivo. Se avete un’oretta e desiderate imparare qualcosa sulla storia dell’evoluzione senza sforzo alcuno, ecco la conferenza di Pievani:
Io raccomando calorosamente. Se, poi, ne desiderate ancora, qui il seguito, fatto di domande e risposte.
“Quando discutiamo di evoluzione, lo facciamo da molti punti di vista. Se ti dico diversità, tu capisci qual è il motore dell’evoluzione, il messaggio imperituro che ci rimane. Però in fondo l’aspetto che più ci disorienta e che non abbiamo ancora metabolizzato è l’idea di contingenza storica: dalla ricerca scientifica si scopre che il fatto che noi siamo qui non era necessario. Non era previsto, ma soprattutto in molte occasioni la storia poteva andare diversamente. A molti fa paura, invece per me contingenza è una parola liberatoria: se non era necessario che noi fossimo qui, allora forse il fatto di esserci dipende un po’ più da noi. È un messaggio di libertà e responsabilità molto bello” (da Intervista a Telmo Pievani).
stickers and books: maledetti inglesi
Cathy Hutton e Alice Tonge hanno avuto una buona idea per i pendolari ferrotrasportati: adesivi da appiccicarsi addosso con la scritta “Wake me up at…” e là dove sono i puntini la propria destinazione. Niente male, sul serio.
Certo, Shepherd’s Bush non è Treviglio ma tant’è, sarebbe bello vedere tanti adesivi quanti sono i pendolari e qualche persona pia che si prende la briga, dolcemente, di svegliare gli arrivanti.
Le due creative, poi, hanno avuto un’altra idea: sovracopertine intelligenti da applicare alla propria rivista o libro, così da sembrare immersi in chissà quale lettura impegnativa. Bella idea, dico sul serio. E il Corriere va in visibilio. Giusto. Ma dico anche: ehi, l’idea è mia. Ed è bella, infatti.
Più di due anni fa proponevo l’“Operazione sottocoperta”, ossia: comodissime sovracopertine per libri già pronte, da stampare, ritagliare e applicare sul libro in lettura. In biblioteca, sul comodino, sul sedile del treno. Per scandalizzare i bacchettoni, suscitare interesse negli sconosciuti, far venire i pensieri ai vostri genitori e congiunti, rendere inquieti gli ospiti.
Certo, io lo facevo per dare scandalo e suscitare la rissa, mentre qui l’idea è di apparire più intelligentoni, è vero, ma rivendico la sostanza e pretendo, dico pretendo, che il Corriere vada in visibilio anche per me e per le mie belle copertine di allora, che riporto qui sotto:
Visibilia, o Corriere, e voi, perfidi albionici, non costringete il mio cervello a fuggire da questo paese per venirsi a riprendere le proprie idee.
poesia: ed è record
Il cardinale Mezzofanti, Giuseppe Gasparo per gli amici bolognesi, fu linguista d’eccezione nel secolo decimonono, al punto che si rammaricava di saper soltanto leggere il sanscrito, il malese, il tibetano, l’islandese, il lappone, il ruteno, il frisone, il lettone, il cornico, il quechua, il bambara (che, per i pochi che non lo sapessero, deriva dal mandingo orientale) e di non saperli parlare. Se lo avesse saputo fare, il suo bagaglio di lingue parlate correntemente sarebbe passato da trentotto a quarantanove. Senza contare i dialetti. Sciapò.
Ma non è questo che costituisce il record. Il Mezzofanti scrisse un sonetto poeticamente valido fino a un certo punto ma che, linguisticamente, costituisce un valico insormontabile per i posteri: il sonetto monosillabico. Eccolo, con le rime tutte a posto:
A
me
la
fe’
dà,
se
da
te
l’ho,
be’
fò
i
mie’
dì!
Difficile fare meglio, resterebbero le singole lettere con risultato discutibile. Una traduzione approssimativa potrebbe essere: “Dammi la fede, se da te l’avrò, farò belli i miei giorni”. Teologicamente e stilisticamente ineccepibile.
Se la torre di Babele fosse stata costruita due secoli fa, noi avremmo potuto mandare il solo Mezzofanti, facendo pure bella figura.