Ancora un gesto epico, seppur di quattro secondi, dell’uomo che tenta di fare moonwalking nel mondo sempre con la stessa borsa (munuocchin’ uorldbag men): il luogo stavolta è Vigoleno.
Il quale, sebbene sia chiaramente un pessimo posto per tentare il mnwlkn’, è un ottimo posto in cui gustare la torta fritta piacentina e visitare amenissimi castelli.
Mese: Maggio 2009
speciale europee pt. 4: discoring
Quarta peregrinazione nel mondo fantastico delle liste elettorali candidate alle elezioni europee e breve momento di svago: accoppiata di simboli in stile discoring.
“Alleanza lombarda” presenta un evidente 45 giri con buco grosso al centro, in tinta unita, che richiama certe stampe musicali degli anni Sessanta, Caterina Caselli e i Ribelli. Non è noto cosa vi possa essere inciso, probabilmente un inno programmatico, una canzone patriottica che inneggia alla piccola vedetta, un discorso sgrammaticato di un qualche separatista del varesotto cresciuto a polenta e attacchi di scorbuto. Niente che possa entrare nell’hit parade, comunque.
Più interessante il 33 giri di “Parlamentare indipendente”, l’etichetta è sconosciuta, inciso nel solco sbarazzino dei picture discs che tanto andavano negli anni Ottanta. L’autore ignoto, il cui nome sostantivo+aggettivo richiama tanti altri esempi nel genere, come “Rondò veneziano” per esempio, è forse un DJ dalle velleità artistico-politiche, forse un rapper, forse un pupillo di Cecchetto. I colori non suggeriscono l’utilizzo di strumenti della tradizione né melodie campagnole. Forse, ecco, un richiamo alle sonorità dei Ricchi e Poveri nel periodo Ottanta o a qualche bella invenzione della Carrà nel periodo dei fagioli: la grafica lo dimostra. Se non utilizzate Campus-alla-mela-verde, non indossate scaldamuscoli fosforescenti e non desiderate sposare Simone Le Bon o Tonio Hadley, continuate a ignorare come avete fatto in quel decennio maledetto.


problema rifiuti in Campania: risolto.
Se qualcuno si fosse mai chiesto se la torre di Pisa sia una torre campanaria, ebbene la risposta è sì. Se qualcuno si fosse mai chiesto che suono facciano le campane della torre di Pisa, ebbene la risposta è qui. Se qualcuno si fosse mai chiesto se sia meglio un pisano all’uscio o un morto in casa, ebbene non saprei proprio che rispondere.
Invece, resta un fatto che, da secoli, se si vuole vedere Pisa allora è d’uopo andare a Genova.
trentacinque
Aggiornamento delle ore 10.12:
Alle ore 10.12 di trentacinque anni fa scoppiò la bomba in piazza della Loggia. Oggi, esattamente alla stessa ora, il che un pochino mi fa pensare, escono due articoli sul Corriere della Sera online, riguardanti la strage di piazza Fontana. Questi due articoli (uno e due) sono a corredo dell’uscita, sempre oggi, del libro «I segreti di Piazza Fontana» di Paolo Cucchiarelli, nel quale è esposta la tesi della doppia bomba, una di matrice neofascista e una anarchica, nella Banca dell’Agricoltura.
la parata dei redditi
Nonostante non contenga nulla di nuovo, questo post fa incazzare parecchio (avvertenza per chi è già nervoso).
Nel 1971 l’economista Jan Pen, in Income distribution, teorizzò – per meglio rendere la disparità tra i redditi della classe media e dei super-ricchi – lo strumento della “parata dei redditi“: immaginate una parata di persone che vi sfili davanti, nella quale ogni persona è alta in proporzione quanto guadagna. Attualizzando il concetto, direi che uno stipendio di 1.100 euro (13.200 annuali) equivale a un’altezza di 1,75 metri, considerando stipendio e altezza media. Di conseguenza, chi guadagna circa tremila euri al mese sarà alto più o meno quattro metri e così via. Provate a immaginare di assistere alla parata.
Il brand “cristianità” funziona sempre e, quindi, perché non utilizzarlo ancora? Anche perché per un Odifreddi che banalizza pare ci siano sempre svariate schiere di (scudo)crociati pronti alla chiamata, in difesa delle radici omogenee e non contaminate – fantasiose invero – della cristianità europea. Ovviamente non è così, e le schiere si riducono più che altro a minutaglie sparse, in cerca di qualche Goffredo di Buglione che si atteggi a cavaliere senza macchia spinto da spingitori idealisti: a Gerusalemme, ovvio, aveva anche lui i suoi bravi interessi propri. Come allora, metter su una crociata, anche piccolina e scassona, è un investimento redditizio, perché un finanziatore si trova sempre. In questo caso, finanzia direttamente il parlamento europeo e indirettamente un pizzaiolo di Potenza che delle radici cristiane, francamente, se ne impippa, riflettendo lui su mozzarella e pomodoro. Magari sulla scamorza, talvolta.



Il terzo giro di giostra delle liste candidate alle elezioni europee, dunque, è a cavalcioni delle liste minoritarie di ispirazione cristiana. Apre “Italia cristiana” che propone un cuore di Vandea, singolo anziché doppio come norma vorrebbe ma con corona e croce regolamentari, inscritto in scudo tricolore simile a calcistico scudetto, non fosse per i bordi superiori scurvati. Rimane il solito equivoco generato dai nomi delle liste elettorali, o partiti, di questo genere: si intende qui raccogliere a chiamata l’“Italia dei cristiani” oppure il nome è l’espressione di un anelito, teso a rendere l’Italia finalmente del tutto cristiana? Sottigliezze.
Più decise le altre due liste, “TPdC-DC” e “CDC”: il concetto è siamo cristiani e se siete cristiani ci dovete votare. Punto. Interessante notare che il nome della perfetta lista di ispirazione cristiana deve SEMPRE contenere le lettere “c” e “d”, combinate variamente (si pensi a DC, CCD, UDC, CDU), pena l’insuccesso elettorale: a questo proposito, suggerisco gli inutilizzati (ancora) DDC, PCD, DCC. Evitare assolutamente, anatema!, PDC, già usato in altra area politica, e LCD, che è proprio altro ambito.
Si notino lo slogan sullo scudocrociato “Liberi dal 1942”, ovvero l’anno di fondazione della DC nonché anno XX dell’era fascista, libera tanto quanto un sequestrato delle FARC, e il campanile ecclesiale ton-sur-ton che svetta dietro la famigliola felice e cristiana. Nonché di destra, il che si coglie dalla gonna abbastanza corta della prolifica mamma al centro.
“Un giardino dentro al mare / Contadina come me / Ride e canta e ballerina / Forse il sole è nato qui”: efforse anche no. Qualcuno non era d’accordo e cantava: “l’Italia metà giardino e metà galera”.
Seconda puntata dell’appassionante viaggio all’interno delle liste candidate alle europee e sbornia di retorica nazional-popolare sul paese che come si mangia in Italia, le donne, il genio, il sole, l’allegria, orcozzio. Declinazioni della summa forzitaliota, e speriamo sempre non ci tocchi mangiare spaghetti bolognaise a Colonia o a Manchester.



In puro stile Tozzi-Morandi-Ruggeri apre la parata la lista “Gente d’Italia”, che se ne va, bandiera spiegata al vento e dodici stelline europee (Romania? Che Romania?), sottotitolo esplicativo: “Oltre la casta”, che detta così pare puntare a una super-casta di contadini, ballerine e suonatori di tortiglioni. L’immagine, oleografica, della Mangano con la faccia di Sordi si fa strada verso Bruxelles, con le calze da mondina ai piedi e in testa il genio italico che con colpo di reni recupera le materie insufficienti all’ultimo giorno utile di giugno.
Risponde alla pari “La mia Italia”, simbolo spudoratamente copiato con sorrisetto tricolore e palese rimando all’“Italia che ho in mente”, gran buffonata recitata a schermi unificati. Il sottotitolo: “protagonista democratica popolare” copre tutto lo spettro visibile dal lato ggente e garantisce equa distribuzione dei benefici: un posto al sole, partecipazione con eguali diritti, bel canto per tutti. L’Italia del valzer, l’Italia del caffè.
Terza posizione balenga ma meritevolissima alla lista “Terra d’Italia”, tautologico anzichenò, concetto ribadito ulteriormente nel sopratitolo “La mia terra”, a rubar voti alla lista precedente. E anche qui l’immagine dell’albero degli zoccoli ambientato nella classe di “Cuore” si manifesta con l’audace sostantivazione (argh!) ancor più sotto: “ambiente, ruralità, caccia, pesca, tradizioni”, in cui chiaramente è più che lecito sparargli o, semmai, pescarlo, all’ambiente.
Irresistibile la semplificazione grafica: pino>passator cortese>nano>gabbiani>mare e montagna. Chè la pizza non si sa mai a che gusto prenderla e che bello il riso argentino dei bambini le giornate di sole.
Niente scorregge, please. Sinceri e rurali fino al 7 giugno.
la nuova scalinata di Granbassi
Per chi ha seguito la vicenda triestina dell’intitolazione di una pubblica scalinata a Mario Granbassi, fascistone giornalista e combattente di Spagna dalla parte sbagliata, raccontata da Siu in questi mesi (cfr. b.site 19 novembre 2008 e segg.), la faccenda – puzzolente e vergognosa da qualsiasi angolatura la si guardi – ha avuto degna conclusione: la scalinata, ora, ha la sua nuova targa. Qui il resoconto, segnalato ancora da Siu.
Non si registrano commenti della schermidrice nipote del tizio. Il sindaco di Trieste, uno dei tanti mona del genere al comando di amministrazioni fascistelle, ha commentato: «stare vicini a una vita breve, vicini ai sentimenti, distinguendo la persona da un contesto storico cui un’intera nazione è appartenuta». Bella cagata di distinguo, bravo.
la stazione di monta
Il 19 aprile scorso, un po’ per tirare la volata al capo della Provincia milanese e un po’ perché è la sua vita, Nanni Svampa ha tenuto un concerto a Milano, in un circolo ARCI davvero sontuoso.
Inutile dire che Svampa, tra Gufi e Brassens, è uno che va sentito almeno una volta nella vita e altrettanto inutile dire che io, con un degnissimo compagno di merende, c’ero. Concerto notevolissimo, divertente e incantato, con certi concetti fondamentali che passano qua e là come piccole pietre molto preziose, tra donne di ringhiera e amanti avvinazzati. Oltre, naturalmente, alle selvagge storielle da osteria. Ed è una di queste che voglio raccontare, come l’ha raccontata lui:
In un paesello del varesotto, appena dopo la guerra, arriva alla stazione di monta il toro. Naturale che tutti i contadini portino le loro vacche a ingravidare. Un contadino incarica la figliola di portare la vacca alla stazione di monta. Lei, un po’ ruvida, prende la vacca e si incammina. Sulla porta della chiesa, il parroco la vede e le dice: “O dove vai, figliola, con la vacca?”. Lei (si immagini l’accento varesotto-belluino) risponde: “Eh, porto la vacca a far montare”. E il parroco: “Ma benedetta figliola, non può dunque attendere il tuo papà a questo mestiere?”. E lei, subito: “Eh no, ci vuole proprio il toro”.
(Stazione di monta batte Stazione centrale).