| Il 25 in corteo e sul palco di Milano c’era anche Roberto Formigoni, governatore della Regione. Il signor Formigoni, colpevole di innumerevoli illeciti amministrativi e giudiziari, opportunista senza vergogna sceso in corteo per ragioni di campagna elettorale, spudorato senza titolo per dire anche una sola parola sulla Resistenza, ha osato dal palco comparare le ragioni e i torti dei repubblichini e dei partigiani, dei fascisti e dei comunisti. Il corteo lo ha sommerso di fischi, come merita. | 
Il punto, però e ancora una volta, è la memoria. E io, qui, voglio mettere, ancora, qualche punto fermo: il signor Formigoni è figlio di Emilio Formigoni, segretario del Fascio e Commissario Prefettizio di Missaglia, nonché  comandante della Brigata Nera, sempre a Missaglia.
Qualche episodio per cui fu processato, contumace, nel 1947: rappresaglia a Valaperta, sevizie inferte a Nazzaro Vitale, rastrellamento di Barzanò (con incendio di un cascinale e di un fienile), rastrellamento di Monte San Genesio, razzia di tessuti con tentata estorsione messa a segno dalle sue Brigate «in danno di Gaverbi Giuseppe a Casatenovo», arresti e torture nonché fucilazione di diversi partigiani e di molti civili senza processo o motivazione. Sono solo alcune delle prodezze di Formigoni padre e dei suoi scherani.
Può dunque un individuo figlio di cotanto padre impartire lezioni da un palco, qualsiasi o – a maggior ragione – del 25 aprile? Io dico di no. E ci aggiungo pure un rabbioso vaffanculo. Ricadono le colpe dei padri sui figli? In questo caso, caro Formigoni, sì. Vergogna, schifoso.
Per un puntiglio di memoria, vorrei qui recuperare una cosa che scrissi un anno e mezzo fa a proposito della rappresaglia fascista a Valaperta, comandata da Emilio Formigoni nel 1944.
Il  tutto cominciò con la morte di un militare della GNR, così come raccontato dal  Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana di Como, il 17.11.1944: «Il  23 ottobre u.s. il milite scelto GAETANO CHIARELLI del distaccamento della GNR  di Missaglia, mentre si recava per assumere informazioni su un renitente veniva  ucciso da banditi a colpi di arma da fuoco». Scattò la rappresaglia da parte  delle Brigate Nere, che arrivarono a Valaperta. I fascisti chiedono notizie del milite scomparso, ma nessuno  risponde. Allora tirano fuori i lanciafiamme e le bombe a mano, e le lanciano  nei fienili. Le cascine bruciano. Bruciano gli animali: le mucche, un mulo, i  cavalli, i maiali. Sono legati nelle stalle, e agli abitanti non è stato  concesso di portarli via. La signora che allora era una bimba ricorda che le  donne furono obbligate ad allinearsi davanti all’incendio e a guardare e sentire  le bestie che si struggevano nel fuoco: «Brucerete come loro! Queste bombe  saranno per voi». La Gustìna si agita ancora adesso: «Io avevo quattro  figli, quattro bagaj… madonna, i fascisti! Hanno rovesciato le damigiane di  vino, hanno spaccato tutto. Volevo morire! Siamo scappati nel fango, a piedi  nudi, e loro ci mitragliavano dietro. Ches chi sono i fascisti! Mi hanno  bruciato anche la casa». Restano tutta la notte, le Brigate nere. Picchiano,  minacciano, portano via la gente. Vorrebbero ammazzare la padrona dell’osteria,  rea di aver ospitato i partigiani: la risparmiano solo perché è incinta. Al  mattino trovano il cadavere del milite, che era stato nascosto sotto un  gelso (…). Altre violenze seguono il ritrovamento, e non è certo finita. Quelli  di Valaperta diventano sorvegliati speciali, alle famiglie vengono tolte per tre  mesi le tessere alimentari (…). Gli uomini restano nascosti nelle campagne  circostanti, chi ha visto bruciare case e stalle – e sono molti – chiede asilo  ai parenti. Vengono catturati, tra gli altri, quattro partigiani, che vengono torturati e  condannati senza processo.
L’uccisione dei quattro partigiani viene fissata per il 2 gennaio, ma la devono  rimandare di un giorno perché la ditta Vismara con il pretesto di un guasto si è  rifiutata di fornire il camion che servirà al trasporto delle bare. Una  relazione ufficiale, datata 22.11.1945, è firmata dal medico condotto di  Valaperta, un omone grande e grosso che ebbe modo di  raccontare al figlio Luigi quella scena orribile, con un partigiano a terra che  gemeva e il fascista venuto a dargli il colpo di grazia: una scena tale da far  gridare ai preti e al medico «Basta, non è mica un cane!».
Il 26 aprile 1945, il signor Formigoni padre si era  già dato, non lo si trovava. Venne processato in contumacia ma, dati i tempi,  venne amnistiato e condannato solo come collaborazionista.  Osceno. Così come era scomparso, ricomparve. Abitò a Lecco, fece l’ingegnere all’Enel,  si fece vedere pochissimo in giro. Uno studioso di storia locale di Valaperta,  Angelo Galbusera, gli scrisse parecchie volte, senza mai avere risposta.
Emilio Formigoni è  morto il 6 febbraio 2000, a ben 98 anni. Senza vergogna, come il figlio.
(b.site of the moon 27 settembre 2007).
Una risposta su “milano, 25 aprile 2009: Formigoni schifoso”
Segnalo, sul Corriere di ieri, lettera al direttore dello “schifoso” che fa la morale.
http://archiviostorico.corriere.it/2009/aprile/28/Formigoni_contestazioni_sono_ancora_troppi_co_9_090428057.shtml
Per stomaci forti (e menti deboli).