là dove la filosofia spiega la musica per sempre

Aristotele, un signore che praticava l’esercizio del pensiero più in profondità di quasi chiunque altro prima e dopo, mica un debole Vattimo toccato in sorte a noi schiapponi, un giorno decise – tra i suoi innumerevoli interessi – di fare un’incursione nel mondo della musica.
La musica del suo tempo, diciamo, forniva non troppe variazioni sul tema, ossia poteva essere una melodia di canto e accompagnamento con il flauto (musica aulodica) o solamente con il flauto (auletica), il che non fa però alcuna differenza con il nostro contemporaneo: sempre musica è, ed è un po’ questo il bellissimo della cosa. Comunque, deciso a sviscerare alcuni aspetti relativi alla musica, più precisamente all’armonia e alla sua fruizione, scrisse i “Problemi musicali” (ΟΣΑ ΠEPI APMONIAN) e, come sempre, colpì nel segno. Perché la filosofia è pensiero e non sbrodolata (arivedi i nostri tempi tragicamente sbrodoloni).

Dalla prima frase, la prima soltanto, dell’ΟΣΑ ΠEPI APMONIAN si potrebbe trarre la migliore definizione mai sentita di musica e spiegare, così, tutto quanto era, è e sarà. Chi pensa di averne di migliori è un pazzo. Ecco la prima frase o primo problema:

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