il quarantatreesimo dodici dicembre
Stessa data, stessa foto, stesso post, stesso rammarico e stessa rabbia, niente spiaggia e niente mare.
Perché il 12 dicembre fa incazzare e basta.
Stessa data, stessa foto, stesso post, stesso rammarico e stessa rabbia, niente spiaggia e niente mare.
Perché il 12 dicembre fa incazzare e basta.
Un fine appassionato di libri antichi, dalle frequentazioni varie, il promotore della pubblicazione dei diari di Mussolini (chi ha detto falsi?), ispiratore della fondazione della più grande novità politica degli ultimi vent’anni, viene accusato di un reato molto grave, condannato in primo grado e si profila una condanna anche in appello. Che può fare una persona così, per difendersi?
Vendere casa al proprio migliore amico che, in virtù dell’amicizia appunto, ci aggiunge qualche soldino in sovrappiù, trasferire i propri risparmi di una vita su un conto sicuro intestato alla moglie, comprare una nuova casa in luogo sicuro, far richiesta di una nuova cittadinanza, riceverla, e tenere pronto un biglietto aereo aperto sul comodino, la valigia apprestata e un tassista sotto casa che aspetta.
Gli elementi della faccenda sono dunque: 10 milioni il costo reale della casa venduta e 23 milioni il prezzo pagato dall’amico; Miranda Ratti la moglie, indagata per riciclaggio aggravato; il luogo è la Repubblica Domenicana ed è sicuro perché non concede l’estradizione per nessuno nè rogatorie; la cittadinanza è un foglio che effettivamente alcuni giorni fa ha ricevuto; la condanna sono 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; la sentenza d’appello dovrebbe arrivare entro l’anno e ha sapore di condanna, ancora.
Cose che di sicuro lo faranno sentire a casa: il partito di governo è il PLD, e quasi ci siamo, e Santo Domingo è gemellata con Milano.
Il resto è futuro, a breve: il vigliacco, spudorato fino al punto di dire: «Da noi ormai non si può più vivere, meglio Santo Domingo», è pronto alla fuga, come tutti i vigliacchi. Il nome? Ovviamente Marcello Dell’Utri.
Spero incontri qualcuno armato di cric sulla strada per l’aeroporto.
A forza di ripeterle, chissà mai che le cose si facciano da sole.
Siamo il paese più ripetitivo del mondo, vien da farsi cadere (pardon) le balle.
A questo proposito: una crisi economica piuttosto dura, i conti pubblici in situazione disastrosa, un governo tecnico guidato da una personalità esterna in carica per un anno con l’incarico di tagliare e risanare, un fastidio largamente diffuso per la corruzione dilagante, la magistratura che procede ad arresti con scadenza quotidiana, episodi miserabili di ladreria e così via.
E sto parlando del 1993.
Mi piace ricordarla così, tutta presa dall’attività di governo e dedita alla nutrizione dei mentecatti.
Oh, salve, lei dunque è uno di quei signori delle pantere nere? Posso farle una foto con la pistola? Dio, che emozione… Bambini, salutate il signore nero.
Le diverse versioni narrano di un concerto organizzato da Leonard Bernstein nel 1970 per raccogliere fondi in favore dei Black Panthers, o di una cena ostricheggiante allo stesso scopo tra signorini del West End alla presenza di qualche nero marxista, come che sia – e forse fu entrambe e anche di più – data la distanza politica e sociale tra benefattori e beneficiari il giornalista Tom Wolfe, presente quella volta, coniò l’espressione “radical chic“, in sfavore dei primi.
Molto appropriata, tant’è che la locuzione ha avuto una fortuna costante, più per la presenza di snob farneticanti a sinistra che per la scelta lessicale felice.
E fin qui, tutto più o meno noto. Si tralasceranno qui i montanellismi locali, per i quali ho un certo fastidioso malessere.
La cosa interessante del racconto, fin qui brevino, è che se il mondo anglofilo, e noi con loro, si esprime utilizzando la formula regolare, “radical chic” appunto, in altri paesi più fantasiosi hanno coniato espressioni simili per significare la stessa cosa medesima, con meno fortuna ma con molto, molto più spasso.
Per esempio, il noto detto francese “bo-bo“, che poi sta per “Bourgeois-bohème“, si affianca al più bello “Gauche caviar“, molto simile al finlandese “Socialiste vin rouge“, alla variante svedese “Gauchiste vin rouge“, all’australiano “Chardonnay socialist” e all’inglese “Champagne socialist“.
Se gli americani, oltre alla coniazione wolfiana, usano “Limousine liberal” e “Liberal elite” – eccellente – gli olandesi parlano di “Socialiste de salon“, si noti il frequente francese, e i greci similmente parlano di salotti, “Aristerà tu saloniù“; in questa particolare classifica ben si piazzano i norvegesi, che utilizzano “Radikal eleganse“, notevole, e a salire i grandiosi irlandesi che li chiamano “Smoked salmon socialist“, impareggiabili.
Ma in testa, signori miei, un po’ perché espressione favolosa che ben rende tutto il non detto, e un po’ perché ci riguarda, i tedeschi, per una volta.
Ovvero, il più bellissimo e strepitoso modo di dire al riguardo: “Toskana-Fraktion“.
Eccoli (o eccoci) serviti.
I due signori qui rappresentati, ben noti di viso un po’ meno per lettura diretta, sebbene non si siano mai incontrati e abbiano frequentato ambienti e generi letterari limitrofi ma non contigui, condividono in sorte un giorno dell’anno e una buffa serie di conseguenze.
Il 23 aprile di ogni anno, vi sarà capitato, su un qualsiasi giornale dotato di paginette della cultura appare invariabilmente un trafiletto che segnala la festa dell'”International Day of the Book“, una festosa occasione promossa dall’Unesco per celebrare e promuovere la lettura nel mondo. Oddio, a dirla tutta l’Unesco promuove insieme anche l’istituto del copyright, ma lasciamo perdere.
Il giorno, ovvio, non è scelto a caso: il 23 aprile – come non mancherà di far notare l’articolista o il conduttore radiofonico in vena di amenità culturali – è il giorno della morte sia di Shakespeare che di Cervantes. Orpo, e non basta: non condividono solo il giorno ma anche l’anno, il 1616.
Il 23 aprile 1616, una bella coincidenza, parafrasando il detto di un altro giorno ecatombale si potrebbe dire “the day the literature died“, tradotto in ammazza-che-botta-p’-‘a-curtura, due giganti in un colpo solo. E l’Unesco ci fa festa, invitando tutti a pigliare in mano un libro qualsiasi (comprato, grazie).
Va bene.
Anzi no. Non va bene. Perché a voler essere pignoletti Cervantes morì il 22 e fu sepolto il 23, seppure sia quest’ultima la data che si usa per celebrarlo. Tutto qui? No, c’è più sostanza. Il 23 aprile 1616 a Madrid era un sabato, mentre a Londra, e anche a Stratford-upon-Avon, il 23 aprile 1616 era un martedì. Già.
Possibile? Sì, possibile. Il calendario gregoriano, utilizzato in Spagna, precedeva il calendario giuliano, adottato dagli inglesi, di dieci giorni: ovvero, per tradurre la questione, quando Cervantes morì Shakespeare era ancora vivo e aveva davanti ancora dieci giorni di vita. Se traducessimo il giorno della morte di Shakespeare nel calendario gregoriano, la data sarebbe il 3 maggio.
E l’Unesco scrive: “23 April is a symbolic date for world literature, since 23 April 1616 was the date of death of Cervantes, Shakespeare and Inca Garcilaso de la Vega“, una bella fresconeria, appunto. Ah, e inoltre El Inca, Garcilaso de la Vega, storico e letterato del Vicereame del Perù, probabilmente morì il 21 o il 22, chissà poi secondo quale calendario.
Il prossimo 23 aprile fateci caso, sicuro che qualcuno prima o poi lo dirà: “oggi morirono sia uno sia l’altro”, e noi abbiamo già pronta la precisazione da salottino dei puntigliosi. Il fatto è che, come genere umano, ci piacciono moltissimo le coincidenze, e ancor più raccontarle per gustarsi la sorpresa degli astanti. Anche se non hanno alcun senso.
Una festa è una festa.
E che festa, dentro una panda!
Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più benzedrinica del seminterrato, un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare.
Possibilmente con i mezzi più ridotti possibile.
Incrocio davanti a una forneria due vecchietti, intenti a fissarne la vetrina.
Uno indica all’altro un cartello scritto a mano, ‘pane nero’. Gli spiega che la sua nonna, nel febbraio del Quaranta, tornò a casa sconsolata e preoccupata, aveva visto anche lei un cartello simile sulla vetrina di una forneria.
Lei, racconta lui, ricordava che alla vigilia della prima guerra mondiale aveva visto lo stesso cartello sulle vetrine dei fornai, e poi era scoppiata la guerra.
Nel giugno del Quaranta, poi, entrammo in guerra.
Sono restato a guardarli, a me la cosa ricorda un racconto lungo e molto bello, e mi fa venire un po’ di magone.
Dopo un po’, con la doverosa contrizione del caso, il secondo vecchietto gli risponde: “stai su, dai, che di guerre ce ne sono già ventotto, nel mondo“, dandogli una pacca affettuosa sulle spalle. E poi aggiunge: “stai su, dai, testicoli“. Resto perplesso.
E l’altro, subito: “Festicoli, Festicoli, con la effe, effesticoli, maledetto, è dal Quarantuno che mi prendi in giro per il mio cognome, non ti sei ancora divertito abbastanza?“.
Non scoppierà la guerra.
Torna, dopo lungo tempo, la rubrica più canicola di tutta l’area attrezzata.
Altro giro di missile su: le migliori chiavi di ricerca che qualche incauto ha digitato nei motori di ricerca e per le quali è finito su trivigante.
Vorrei sapere:
E il vincitore assoluto di questa tornata:
Ancora una volta, grazie o cercatori: Gugol che corregge non vi potrà mai sconfiggere.
Lunga vita vobis.