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nemici

la devozione (prendi i soldi e scappa)

Non posso non rilanciare il post qui sotto, alla luce delle segnalazioni pervenute: come non mettere in evidenza, infatti, il glorioso (e allo stesso tempo agghiacciante) scambio di vedute tra s|a (splendido, come sempre, e ancora più rifulgente al confronto) e tale Emanuele Verghini, presidente del comitato per il Nobel per la pace a S.B.?
Il secondo, transfuga dal movimento dei Popolari Liberali di Giovanardi, oltre a scrivere tutto serio e compreso buffalmaccate come “A uomini come Angelino Alfano ed a Giuseppe Scopelliti noi guardiamo come sparanza per la creazione di una nuova classe dirigente” (laddove chi visse sparando morì desiderando di essere Angelino Alfano), sostiene la candidatura del suo idolo del cuore con le seguenti motivazioni (dallo statuto del comitato, grazie a Ser.Bi.):

Silvio Berlusconi merita il Premio Nobel per la Pace perchè ha contribuito in maniera determinante:
1) alla risoluzione del conflitto Russia-Georgia;
2) alla ripresa dei rapporti diplomatici tra la Libia e gli USA;
3) alla firma dello storico trattato di pace tra la Libia e l’Italia;
4) a riportare la Campania al suo antico splendore, dopo il dramma dei rifiuti;
5) a riparare al disastro umanitario causato dal terremoto in Abruzzo.

Ora: in tutta sincerità bisogna essere beoti per credere davvero ad argomenti del genere, a prescindere dal caso-Nobel, oppure – e questo credo sia il caso di Verghini – siamo di fronte a un luminoso caso di furbismo opportunista, perché dai e dai un monolocale dalle parti di Arcore prima o poi salta fuori per tutti; oppure in qualche modo (come scritto molto chiaro nello statuto) si insiste per un po’ con la pistolata devozionale, si raccattano i contributi che qualche sprovveduto darà in modo liberale e poi si chiude baracca, scappando col grano (“Il Comitato avrà durata fino al 1 febbraio 2010 e si intenderà automaticamente sciolto con l’approvazione del bilancio”). O tutt’e due insieme.

E ora, la sapida chiusa: Verghini, diciamocelo, avete veramente rotto i cabasisi con la vostra devozione incastonata tra la demenza non senile e il poggiapiedismo elementare, fatevi un regalo: per una volta esprimete un’opinione vostra, sono sicuro che se vi chiudete in casa a televisione spenta in qualche settimana dovreste riuscire a generarne una, bella originale, da poi proporre coram populo. Ecco, in quel caso, appoggiando lo sforzo immane, io sarò lì ad applaudire, perché sono un sincero ammiratore di coloro che, nonostante le difficoltà di partenza, provano a migliorarsi.
Dai, Verghini, scrivi anche a me. Non vedo l’ora.

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nemici

nettaculi umani

Una signora romana che pare uscita da uno scontro tra un chirurgo malese e un Ape carico di lavabos ha scritto e cantato l’inno ufficiale per la candidatura di S.B. al Nobel per la pace. La canzone, ricca di pathos quanto un sarcopedonte che ha appena ingoiato un flipper, si intitola “La pace può” e ha il suo apogeo nel finale, con uno strepitoso: “Silvio grande grande è”, con tanto di voce tenorile marchettara. Per sentire il culmine dovete resistere fino alla fine del pezzo, che metto qui in comodo formato emmepitre (salva oggetto/destinazione…).
La signora, parente nientedimeno che di Giggi Zanazzo e già rea di alcune collaborazioni musicali con il suo padreterno personale, non è la sola mente coinvolta nel progetto, essendovici anche dei correi che hanno realizzato un sito internet allo scopo medesimo, dimostrando uno zelo pari a quello di un orsetto lavatore affetto da sindrome ossessiva.
E’ evidente che S.B. non vincerà l’ambito premio, norvegesi chiaviconi, ma avviso fin da ora che si corre il rischio di beccarsi canzone e video in tutti i cinema il 29 settembre, prima del film, giorno del genetliaco del fulcro vivente delle loro vite miserande. Per non correre alcun rischio, il 29 si vada in camporella a fare le maialate, al sicuro dalle presenze infestanti, e inneggiando al silenzio e ai grugniti, in caso.
Se poi vi capitasse di ascoltare la canzone per intero, eroi!, non fatevi sfuggire i vibranti versi sull’Abruzzo, che invocano tremenda vendetta mediante pubblica impalazione degli autori, con palo gigante di lava ricoperta di zucchero frizzante.
E sarebbe pena ben generosa a fronte della colpa.

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trivigantismi

fine editions

gallimardL’anglicismo sta per “edizioni di libri belle belle”, più o meno, e intendesi con questo le idee grafiche che contraddistinguono una collana di testi o una casa editrice tutta in modo trasversale ai titoli, così che i singoli volumi appaiono identificabili a prima vista e l’identità è chiara a prescindere. E non parlo solo di copertine, ma anche di fonts, di proporzioni tra bianco e stampato nella pagina, di dimensioni eccetera.
Esempi lampanti sono (erano) Einaudi, con le strepitose edizioni bianche con riquadro in alto a seconda della collana, piuttosto che la Medusa Mondadori, verde, arancione o gialla a seconda, o i Feltrinelli di una volta a immagine intera con titolo sovrapposto. Certo, a cercar bene poi si scopre, per esempio, che Einaudi l’aveva disegnata Munari, tra gli altri, Feltrinelli l’aveva interpretata Mangiarotti e i nomi importanti applicati alle rese grafiche erano tanti.
Sempre per stare in ambito esempi, Munari per Einaudi curò le collane Piccola Biblioteca (con il quadrato colorato in alto), Nuova Universale (con le strisce orizzontali rosse), Collezione di poesia (con i versi su fondo bianco in copertina), Nuovo Politecnico (con il quadrato rosso centrale), Paperbacks (con il quadrato blu centrale), Letteratura, Centopagine, e le opere in più volumi (Storia d’Italia, Enciclopedia, Letteratura italiana, Storia dell’arte italiana). Niente male.
Oppure, per citarne due per fortuna immutabili nel tempo, Sellerio e Adelphi, che fan subito arredamento, in particolare le edizioni della seconda, con quella cornicetta liberty copiata da Aubrey Beardsley e piazzata in tutte le collane dalla copertina monocolore molto molto chic.
Il caso più strepitoso a parer mio, ma è davvero facile, è la Penguin, che a partire dal logo aveva dato un’impronta irresistibile a tutte le proprie collane. Non a caso, quando l’anno scorso David Pearson, ex designer della Penguin, ha fondato una propria casa editrice (White’s books) si è portato dietro l’idea e la bravura e infatti adesso disegna libri bellissimi come prima ma altrove.
Oppure, perché i franzosi non pensino giammai di essere secondi ad alcuno, il caso luminoso di Gallimard che, dai Cinquanta ai Settanta fece alcune tra le più belle edizioni in assoluto, copiatissime in Italia. E poi crollò negli Ottanta, come quasi tutti.
Una su tutti, per fortuna, resiste al tempo e allo sfacelo sostanzialmente identica: l’edizione italiana de Il Giovane Holden, completamente bianca e nulla più.
E l’ambiguità attuale, visto che i disegnatori editoriali sono attualmente anche comunicatori, sta qui: deve una copertina di un libro aggiungere contenuto e significato al testo contenuto o deve soltanto accompagnarlo secondo la regola aurea delle copertine (“autore, titolo, casa editrice”)? E se la risposta pare ovvia, perché allora fanno tutti il contrario? Ancora una volta, direi, less is more, peccato che di questi tempi non ci creda più nessuno.

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trivigantismi

intervallo: oriundi da carrozzeria

carrozzeria_italoargA Milano la carrozzeria italo-argentina è di gran moda, sudamerica sudamerica.
Decisamente una delle pubblicità migliori del periodo, chiaramente copiata dal Depero della Campari, ma che importa? Bellissima, vien voglia di comprare una macchina, viaggiare nel tempo e portarla a riparare dagli oriundi carrozzieri.

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il nulla

domanda oziosa

Ma questo ci piace?

fastflip

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trivigantismi

munuocchin’ uorldbag men: Basiglio

Undici, e la performans si complica sempre di più, a cavallo tra il simbolico e la denuncia della solitudine umana.
Il munuocchin’ uorldbag men, l’uomo che tenta di fare moonwalking nel mondo sempre con la stessa borsa colpisce di nuovo il sistema dritto al cuore, tra il problema dello smaltimento dei rifiuti e la solitudine estiva degli anziani, in un contraccolpo di significati che si annodano tra di loro. Grazie, m.u.m., lotta per noi, come sempre.

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memoria nemici politicona

esci dalle nostre vite, mostro

Mi ero ripromesso di non parlare mai più di S. B., nè di prostitute para-sarde o di papponi pugliesi, ma ciò che ho tentato di far uscire dalla porta rientra sempre dalla turca, mio malgrado.
In questo caso, a fronte della pagliacciata aquilana e onnese, non posso non citare il cassonetto bananarchico (che ripiglia a sua volta WOUQ) che mostra come sia fantastico farsi belli con le case costruite da altri.
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estasi trivigantismi

una terra promessa, un mondo diverso

federico II di sveviaDopo oltre dieci anni di tira e molla (e la prima scomunica), Federico II di Svevia acconsentì a quanto il papa, piuttosto insistentemente, gli chiedeva da parecchio: una crociata per liberare i luoghi santi.
Federico II, per formazione e per cultura propria, era piuttosto vicino al mondo arabo, molto più di quanto il papa non vedesse dalle ottuse finestrelle romane, e non aveva certo motivi di rivalsa nei confronti dei musulmani e degli ottomani, ad ogni modo – vista l’ingerenza costante del potere spirituale nei propri affari – come detto acconsentì.
Fu una crociata senza quasi combattimenti e l’imperatore riuscì addirittura, per vie diplomatiche, a farsi eleggere Re di Gerusalemme, mentre il pontefice ne approfittava per spargere la notizia che Federico fosse morto. Infatti, spesso le crociate servivano anche a tenere lontano qualche re o imperatore per un tempo abbastanza lungo.

Come che sia, Federico II, imperatore colto, aperto verso ogni tipo di popolazione straniera, raffinato e dedito alla conoscenza, partì dalla sua Palermo per raggiungere la Palestina. Una volta là, alla vista della terra promessa, fra’ Salimbene da Parma ci racconta cosa successe:

“Allorché vide la Terra promessa che Dio tante volte aveva esaltata chiamandola la terra dove scorrono latte e miele e terra di tutte la più pregevole, Federico affermò che Dio non doveva aver visto la terra del suo regno, ossia la Calabria, la Sicilia e la Puglia, perché altrimenti non avrebbe lodato in questo modo la terra che promise e diede ai Giudei”.

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nemici trivigantismi

83.900.000 pussies (o delle ricerche morali)

Fedele alla mia funzione di servizio, oggi ho testato per voi alcuni dei maggiori motori di ricerca della rete. O, meglio, ho testato alcuni tra i maggiori motori di ricerca delle tre maggiori religioni monoteiste. Tutto maggiore.
Ebbene sì, come per ogni cosa esistono i motori di ricerca dedicati agli ortodossi, siano essi cattolici, musulmani o ebrei, i quali ovviamente desiderano – ottusità più ottusità meno – avere risultati conformi al proprio animo.
Il che, concettualmente, è un bel problema: perché una ricerca non è una ricerca se i risultati sono filtrati a monte e selezionati rigidamente da un bot della morale cui nulla sfugge.

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memoria nemici

11 settembre

Alcuni anni prima di morire, Pinochet decise di rendere pubblica la sua biblioteca, accumulata negli anni grazie a ingenti fondi e non certo alla perizia del proprietario. Non era raro, infatti, che i suoi librai di fiducia gli rifilassero – tra testi di valore – fondi allegri di magazzino.
Venne incaricata una signora di fare l’inventario e catalogare il patrimonio librario del dittatore, prima che la fondazione Pinochet ne prendesse possesso e la rendesse pubblica.
La signora si recò nella villa di campagna di Pinochet e si mise all’opera. Dopo alcuni giorni, il dittatore si fece vedere, la avvicinò e le chiese:
“Dove abita, lei, signora?”
“In Messico”, rispose lei.
“Ma lei è messicana?” fece lui con un’espressione strana.
“No, cilena”.
Al che lui, sempre peggio, le chiese: “Aaah, ma da quanto sta in Messico, signora?”.
“Dal 1973”, fece lei.
Lui non capì e si offrì di farle vedere la propria collezione di lenti di ingrandimento.