25 aprile 2012: buona festa a chi ne è degno

Il 25 aprile è il mio natale, anzi meglio: è l’unica ricorrenza annuale in cui non mi tocca scendere in piazza per ricordare una strage o per protestare contro il pacchetto sicurezza (il 2 giugno è un po’ una sòla, una roba per sottosegretari), è una festa vera, che si è felici e si celebra una vittoria. Capito? Una VITTORIA!

l’integrazione tra i popoli, tra le patate e le carote

Siu, e la mia riconoscenza è imperitura, mi segnala il più grande genio del commercio mai vissuto:

Raccolgo ordini per la prossima volta che vado. Grazie a dio ci sono gli immigrati.

la liberazione non venne per tutti

Giovedì scorso mi sono unito a partigiani, parenti di combattenti, radical chic, democratici sinceri e di facciata, cinefili, innamorati di Gian Maria Volonté, chiacchieroni, comunisti, giovani presenzialisti e vecchi dediti alle lettere al direttore, appassionati vari, per vedere I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini (e non Giacomo Puccini, bestia d’un Mereghetti), film del 1968. Sommo Volonté nel ruolo di Aldo Cervi, oltre a un cast importante.
Il film, sembra una banalità dirlo ma non lo è, fu sottoposto a censura preventiva e tale rimase – ossia tagliato – fino a oggi, ristampato e restaurato grazie all’Istituto Alcide Cervi. Il film, per fortuna, è disponibile qui.
Gli è che i Cervi, in particolare Aldo, erano cattolici ma nei primi anni Quaranta, mentre maturavano l’idea della resistenza armata e aumentava la loro insofferenza verso le collusioni della Chiesa con il Fascismo, si avvicinarono a posizioni comuniste, pur restando autonomi dall’organizzazione politica. La cosa, ovviamente, non piacque ai censori che provvidero a tagliuzzare pesantemente la pellicola.
La stessa sorte la subì “I miei sette figli” di Alcide Cervi, resoconto pubblicato nel 1955 che raccoglie le memorie del vecchio padre dei sette fratelli. La seconda edizione, del 1971, fu barbaramente tranciata dai Catoncini dell’epoca, che non potevano sopportare le cose come stavano. Solo nel 2010, e di nuovo per fortuna, è uscita la versione integrale da Einaudi. Quarant’anni ci sono voluti e uno vorrebbe non crederci.

Come che sia, alla proiezione era presente il figlio di Aldo Cervi, Adelmo. Il 27 dicembre 1943 aveva quattro mesi, per cui non ricorda di certo il padre e gli zii, oltre che gli avvenimenti di quei mesi. Ricorda però benissimo cosa accadde dopo. I sette fratelli furono prontamente insigniti della medaglia d’argento al valor militare («La fede ardente che li ha uniti in vita ed in morte ed il sacrificio affrontato con eroica, suprema fierezza, fanno di essi il simbolo imperituro di quanto possano l’amore di Patria e lo spirito di sacrificio») e i simboli imperituri furono chiusi definitivamente negli armadi: una famiglia devastata nella quale erano sopravvissuti i vecchi genitori, quattro vedove e undici nipoti bambini venne lasciata a sé stessa. Un solo cugino, adulto, si trasferì da loro per lavorare i campi, unico sostentamento, nessuno dei ragazzini maschi potè frequentare la scuola perché necessari a casa, la loro abitazione nel 1944 fu bruciata dai fascisti, la Contessa Sailcavolo Viendalmare qualche anno dopo vendette la casa e i terreni che i Cervi avevano in affitto per non avere a che fare con loro. E fu la fame, perché le medaglie, come si sa, non fanno passare l’appetito, nemmeno se sono di cioccolata, e i simboli (o i loro figli) a volte hanno il vizio di mangiare.

La Liberazione, dunque, non venne per tutti. Tributare onori, creare ed esaltare i simboli, gloriarsene, dedicare le strade e poi girarsi dall’altra parte è senza dubbio comportamento degno dei fascisti. Delle cose e delle persone bisogna occuparsene.

59 secondi di… segnaletica stradale e umarèll

E’ notte a Roma, e gli instancabili ordinatori della segnaletica stradale agiscono indefessi, con attrezzatura e metodi all’avanguardia. Essi sono i garanti della nostra sopravvivenza stradale e vederli così all’opera dà una certa tranquillità.
Al trentesimo secondo, immancabile, sopraggiunge l’umarèll, l’anziano che sta di vedetta e non appena scorge un lavoro in corso accorre per osservare e commentare con sbuffi e schiarimenti di voce il fatto che eh-ma-non-si-fa-mica-così. L’umarèll è costante universale dal Manzanarre al Reno, ove c’è un lavoro in corso egli c’è.

Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più bituminosa del circondario, un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare.
Possibilmente con i mezzi più ridotti possibile.

dev’essere di certo un gran libro

Giudicando dalla copertina:

E’ un libro di interviste, il che spiega tutto, ed è dell’eccellente Juan Pablo Cambariere, cui va tutta la mia admiraciòn.

A margine, parlando di ottimi libri, se desiderate avere una buona oretta di spasso supremo, mi permetto di consigliare un libriccino: Alan Bennett, La sovrana lettrice, Adelphi (qui), allo scandaloso prezzo di un Camogli all’autogrillo.
Non racconto la storia, sarebbe una cattiveria, basti dire che leggere rammollisce. Questo è un fatto. Ma se si rammollisce una regina prima legnosa, non è detto che sia un bene. Poi se qualcuno vuole ne parliamo.

povero salapuzio

Oltre a godermi tutta questa bella storia di minchionaggine e ladreria impunita, e oltre a notare con stupefazione la bruttezza intrinseca di tutti i personaggi coinvolti nella vicenda Lega (per carità, niente Lombroso, solo una mera valutazione estetica) da Rosy Mauro in giù fino ai faccendieri coinvolti, vorrei salutare Renzo Bossi celebrandolo con i bei risultati che Google suggerisce su di lui, cercando ‘Renzo Bossi f‘:

Tanti auguri per la sua nuova attività, tutto da solo. Adios, masticabrodo.

senza fare di necessità virtù

Il comandante Paolo se n’è andato.
Novant’anni vissuti dal primo all’ultimo, ne ho parlato tante volte, ora non c’è più per davvero. E con lui non solo se ne va un altro partigiano, uno dei pochi rimasti in grado di raccontare in prima persona, la cosa peggiore è che restano i Belpietro e i Feltri, mistificatori senza coraggio e senza dignità. Io ho ricevuto molto da Rosario Bentivegna, leggendolo e incontrandolo una volta, ho appreso il concetto di ‘integrità’ nella sua pienezza, ho sempre considerato una fortuna ascoltarlo e vederlo ergersi a baluardo della verità dei fatti con la semplicità delle persone corrette.
In un altro paese, quasi uno qualsiasi, sarebbe stato considerato un eroe e celebrato fino alla fine. Qui no, perché siamo sempre speciali, noi. E la prossima volta che qualcuno parlerà a vanvera di bambini morti, di manifesti dei nazisti prima dell’eccidio delle Fosse, di inopportunità delle azioni partigiane, noi saremo sempre qui, tutti, a rispondere. Ma ci mancherà, Rosario.

Quasi due anni fa ebbi la fortuna di ascoltarlo raccontare la nostra storia, lucido e coerente, oggi mi sembra doveroso riproporre il video di quell’incontro. E’ quello che ci resta: i racconti di come siamo arrivati, oggi, a essere liberi. Pare poco?

pleiliste: cinque canzoni che è fottutamente primavera!

Mi scrive Mr. J. cinque minuti fa: “Benzina nel serbatoio ce n’è (ce n’è sempre stata), quindi spolverate le selle, accendete i motori, che è fottutamente primavera! Arriva la pleilista Spring12” e mi cadauna un cinque-pezzi-cinque per celebrare questa primavera estiva.
E infatti, è tempo di pleiliste di primavera, non siate timidi, uscite dalla grotta che qui fuori c’è caldo!

Avanti allora, e questo giro – per soddisfare tutti – si parla di canzoni e non di dischi:

gnappolo
Wilco – Black Moon
Cake – Opera Singer
Offlaga Disco Pax – Tulipani
Frank Black & The Catholics – Changing of the Guards (The Peel Sessions)
Dave Matthews Band – Exodus (The Complete Weekend on the Rocks Vol.8)

trivigante
Kaiser Chiefs – Little Shocks
Billy Cobham – Stratus
Hoodoo Gurus – Out That Door
Franco Micalizzi & The Big Bubbling Band – Hot Spots
Talking Heads – And She Was

Non siate timidi, ce l’abbiamo fatta anche quest’anno.

23 marzo 1944

Ancora una volta è l’anniversario dell’attacco di via Rasella. E domani lo sarà dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
E ancora una volta è il caso di ricordare.  Che poi, tocca ogni anno ricordare le stesse cose, ripetere le stesse cose a chi non ha nessuna voglia di saperlo o di essere giusto, tocca ripetersi ancora e ancora, senza capire bene perché sia il caso di ripetersi. O meglio: tocca fare i conti con l’insistenza “che è tipica di chi sa che mente e che la menzogna a furia di battere può passare per verità“, per citare Carla Capponi.

E allora, se bisogna ripetersi, tanto vale farlo davvero: ripropongo anche quest’anno una bellissima intervista del 1994 a una delle protagoniste dell’attacco, Carla Capponi appunto, per rifare il punto, sempre quello, sulla questione di via Rasella e sulla rappresaglia nazista. Vale la pena rileggersela, a parer mio. Almeno una volta l’anno. Eccola qui.

Resto basito, come ogni anno, dalla sfrontatezza di alcuni e dalla assoluta mancanza di senso in chi, e non sono pochi, punta il dito contro l’attacco partigiano e non si accorge della mostruosità dell’idea stessa di rappresaglia, per non parlare della rappresaglia in concreto. Ma tant’è. Tocca farci i conti quasi tutti i giorni.


Aggiuntina delle 18.55
Domanda: ma perché Napolitano e tutti gli amici belli commemorano l’eccidio delle Fosse oggi? E’ perché domani è sabato e hanno da fare? E’ perché le scuole il sabato non ci vengono? O forse ha a che vedere con shabbat? Come che sia, non afferro.

roma non perdona