Un centro melmoso, non c’è che dire… ma ai pesci piace così?
Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più dirupata del Canton Ticino, un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare. Possibilmente con i mezzi più ridotti possibile.
Categoria: trivigantismi
In previsione millenaria, Hitler (Führer und Reichskanzler) cominciò a vagheggiare un completo rifacimento di Berlino in chiave di capitale del mondo (Welthauptstadt), così fu che chiamò il suo architetto di fiducia, Speer, e gli disse: “mi raccomando, grande” (große).
Non c’era bisogno, Speer era il teorizzatore delle rovine titaniche visibili per millenni e millenni, le cose le costruiva grandi anche da solo senza spinta. Si mise al tecnigrafo e progettò, come è noto, lo stadione (Olympiastadion), poi costruito, l’allargamento della Charlottenburger Chaussee (Charlottenburger Chaussee) con la colonna della Vittoria (Siegessäule), fatto, una nuova immensa cancelleria (große, große) e, non pago, un’altra nuova cancelleria ancor più grande (große, große, große); progettò poi il salone del popolo (Volkshalle), uno smambrone che avrebbe dovuto avere una cupola große sei volte quella di San Pietro, e un arco di trionfo che avrebbe dovuto avere un arco talmente alto da contenere comodamente l’arco di trionfo parigino (große triumphbogen). Il tutto per adeguare il tono al tono, la capitale all’impero.
Non andò così, è noto, perché i materiali e la manodopera servirono per la guerra (weltkrieg) e poi le cose andarono in vacca (huregehen) come si sa.
C’erano, in realtà, anche alcuni motivi di non secondaria importanza che ostacolavano i millenari piani del duo: il terreno paludoso di Berlino, infatti, cospirava contro la grandeur nazista (Erhabenheit) e aveva deciso di non reggere grandi pesi (schwergewicht). Hitler voleva mandare l’esercito (wehrmacht) contro il terreno paludoso, per fargli capire chi comandasse, ma Speer lo riportò a più miti consigli (gutenargumentierend).
Fu così che furono adottate le seguenti soluzioni: il terreno ribelle fu fecondato con vigoroso seme maschile ariano per conferirgli durezza e resistenza (samenzellendauerfestigkeit o spermendauerfestigkeit); Speer fu fatto sdraiare nel fango per alcuni mesi (Speerabgestellt) per convincere il particolato a non rompere le palle (ballbrechen); fu promulgata una legge che costringeva i terreni paludosi a espatriare (rausaktstronkzt); si pensò di spostare Berlino a Monaco (BerlinoobenMunchenkonstruiren); e, infine, si propose di costruire una Germania di cemento su cui far poggiare la Nuova Germania (NeueDeutschlandobenDeutschlandzement). Niente di tutto ciò ebbe successo.
Fu così che i due brillanti cervelli (brillantgehirn) decisero di fare una prova, per vedere quanto fosse bastardo il terreno: fecero costruire un cilindrone di cemento davvero pesante (großegroßegroßezylinderzement) e lo piazzarono in luogo adatto, per capire effettivamente come stessero le cose. Il cilindrone, realmente il Schwerbelastungskörper, ossia il corpo che porta pesante carico (mai un articolo i tedescoidi), nei tre anni di test avrebbe dovuto sprofondare al massimo 6,35 centimetri (6,35 zentimetern). Invece, il vigliacco sprofondò di più di 17 (17,78 zentimetern) dimostrando che era praticamente impossibile costruire su quel terreno non ariano. Hitler fu molto dispiaciuto (kazzfankulen), Speer per poco non fu mandato a far compagnia al terreno per sempre (forevatot) e tutta la faccenda fu lasciata lì, niente Welthauptstadt.
La cosa rimase lì a tal punto che il cilindrone grosso grosso è ancora lì che fa bella mostra di sé in General-Pape-Straße/Loewenhardtdamm, come da dimostrazione:
Un altro contributo importante contro la dittatura nazista. Grazie, terreno berlinese, grazie cilindrone, anche a voi dobbiamo una parte di libertà.
59 secondi di… banda dei vigili
Per la festa della parrocchia di Santamarialibberatrice, la banda dei vigili intona un grande classico, la “Colonel Bogey March”.
Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più relativa del boschetto, un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare.
Possibilmente con i mezzi più ridotti possibile.
“Colonel Bogey March”, pezzo del 1914 scritto dal maggiore Fredrick Joseph Ricketts, è nota più che altro per il film “Il ponte sul fiume Kwai”. Data la facilità della melodia, ne sono state fatte numerosissime versioni, più che altro parodistiche, tra cui vorrei segnalare questa:
Hitler has only got one ball,
Göring has two but very small,
Himmler is somewhat sim’lar,
But poor Goebbels has no balls at all.
Da provare.
(maggio 2010, campo Verano).
Scrivere sui muri è arte sopraffina e dovrebbero farlo solamente coloro che sanno ciò che scrivono. Ma se lo scopo è il benessere singolo e collettivo, allora ben venga.
Suggerimenti dalle scritte sui muri ne vengon parecchi: in questo caso, non avendo alcun ritorno per l’autore, trattasi di suggerimento sincero e in buona fede. Chi vuol accogliere, accolga.
(grazie a Mr. J., in quel di Forlì).
Scrivere sui muri è arte sopraffina e dovrebbero farlo solamente coloro che sanno ciò che scrivono. Anche attaccare adesivi.
Se la dichiarazione è idiota, la replica è sufficiente per smontare qualsiasi assunto.
Il sommo e mai troppo ricordato J. Rodolfo Wilcock, presenza imperitura nell’olimpo dei maestri venerati da trivigante, in un libretto-raccolta pubblicato l’anno scorso, “Il reato di scrivere”, spiega che senza dubbio i vertici della poesia – ossia di un prodotto che non si produce più – furono certo con Dante. E lui fu il punto più alto “di qualcosa che si chiamò poesia, in un ciclo ormai chiuso”. E non si illudano i poeti posteri di avere anche solo vagamente sfiorato i confini di un ciclo esaurito già nel Settecento: ora è impossibile, per qualsiasi uomo che si nomini poeta, aggiungere qualcosa.
Ecco cosa dice Wilcock:
“Non perché non lo sappiano fare, bensì per la mancanza sia di movente che di scopo nel farlo; è ovvio che un fabbricante di sedie, consapevole che il mondo è pieno di sedie eterne, e che altre sedie non servono, comincerebbe a fabbricarle, per risparmiare, dapprima senza zampe, poi senza schienale, poi prenderebbe un sasso e lo dichiarerebbe sedia, poi un ramo secco, o una bottiglia, e infine lascerebbe perdere il problema sedie, non ci penserebbe più. E’ anche possibile che finisca col sentire un certo fastidio di fronte a una sedia vera”.
Ma, prosegue, “il resto della gente seguiterebbe a servirsi delle sedie pre-esistenti”. Meglio di così, non saprei come.
(Wilcock si trasferì in Italia dall’Argentina nel 1957 e scrisse in italiano tutti i suoi libri successivi. Scrisse su molti giornali e celebri sono le sue recensioni di spettacoli che non aveva visto e di libri che non aveva letto. Chiese la cittadinanza nel 1975 e gli fu concessa nel 1979, un anno dopo la morte. Nemmeno quando vengono da noi li sappiamo riconoscere).
Approccio rivelatosi fallace, come spesso succede di primavera. Ma ora dell’estate capitolerà, è un fatto. Insisti.
Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più bismuta della casa circondariale, Siu manda un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare. Possibilmente con i mezzi più ridotti possibile.
salve, sono stupido
Esiste un’organizzazione potentissima, più forte della mafia e più efficace del complesso industriale, che è sempre all’opera e, nonostante sia priva di organizzazione, di comandanti, di statuti, di leggi, riesce a operare con straordinaria coordinazione ed efficienza: il gruppo umano degli stupidi.
Ora: il fatto interessante è che il sopradetto gruppo è a composizione variabile, ossia possiede un nucleo solido di iscritti da lunga pezza e un possente quantitativo di membri occasionali che vi partecipano a seconda dell’occasione, in maniera consapevole o meno. A questa seconda categoria, banalizzando, è probabile che chiunque di noi in potenza vi partecipi, prima o poi.
Le persone oneste e dotate di coscienza di sé sono in grado di riconoscere (e ammettere) gli episodi occasionali di stupidità endogena, caratteristica non condivisa con gli stupidi tout court, i quali difficilmente sono in grado di scoprirsi nell’atto di. Non a caso, la stupidità (da stupeo, essere storditi, restare attoniti) è concetto dinamico e a misura variabile che si tende sempre ad attribuire ad altrui ovvero – come fa notare Livraghi – si tende “ad etichettare come stupidi tutti i comportamenti che non rientrano nei nostri schemi mentali ordinari”. Nessuno – anche se parecchi dovrebbero – si presenta come stupido.
Chiariamo: è stupido chi commette azioni stupide, non chi commette errori. Di conseguenza, il concetto di stupidità può essere valutato sulla base degli effetti delle azioni e le ripercussioni che esse hanno sul contesto, tenendo conto di una serie di variabili. Ed ecco così formulata la terza legge della stupidità (Carlo Maria Cipolla, Allegro ma non troppo, 1988): “Una persona è stupida se causa un danno a un’altra persona o ad un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno”. Si noti, fatto importante, che Cipolla – giustamente – non implica alcuna idea di consapevolezza dell’atto, cosa che in effetti non fa alcuna differenza.
E se esiste una terza legge, ce ne devono essere per forza altre; eccole (sempre C.M. Cipolla):
1. Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.
2. La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.
3. Una persona è stupida se causa un danno a un’altra persona o ad un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno.
4. Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide; dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, e in qualunque circostanza, trattare o associarsi con individui stupidi costituisce infallibilmente un costoso errore.
5. La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.
Ragionando dunque sulla terza legge, è possibile sintetizzare due fattori determinanti per valutare un atto stupido: il danno o vantaggio che l’individuo procura a sé stesso e il danno o vantaggio che l’individuo procura agli altri.
Trasformando il tutto in un grafico, il risultato è questo:
Ed ecco quattro belle categorie umane, definite in modo abbastanza preciso e più o meno inconfutabile. Osservando che l’articolo 61 del Codice Penale prevede l’aumento della pena fino a un terzo se esiste l’aggravante “per futili motivi”, è altrettanto opportuno considerare il seguente corollario: il potere politico o economico o burocratico accresce il potenziale nocivo di una persona stupida.
Potrei citare alcune frasi a effetto al riguardo della stupidità (“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana. Della prima non sono sicuro”, attribuita a Einstein, per dirne una) ma la più bella, che rende perfettamente il concetto dinamico di stupidità, è questa (attribuita a Billie Holiday): “Abitavo in un paese così piccolo che non avevamo neanche lo scemo del villaggio. Dovevamo fare a turno”.
A ben guardare, in effetti il mondo è un piccolo, piccolo villaggio.
Una domenica mattina a Ferrara, dal castello estense, cinquantanove secondi di placidezza alla Bassani, mentre Tasso – è noto – impazziva. Come se ci fosse la nebbia.
Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più vegeta del circondario, un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare.
Possibilmente con i mezzi più ridotti possibile.