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la spesa pubblica italiana

Ecco un grafico che spiega la ripartizione per capitoli di spesa dello Stato italiano (i dati per ora sono del 2008):

In dettaglio, per meglio capire, le voci (attenzione: sono in migliaia di euro):

Rispetto al 2007, per dirne una, la Difesa guadagna il 30% in più e la cifra è esattamente il triplo di quanto destinato alla Giustizia e uno sfottilione in più di quanto versato per l’Energia o il Lavoro (le maiuscole sono per attenermi alla grafia del Governo). E che dire dei 285 miliardi (miliardi!) di euro in previdenza? I dati parlano da sé e non sono certo io il migliore spingitore di spiegazioni economiche sulla piazza. Però ne trapela qualche significato, per esempio che siamo un paese che spende in pensioni, cure e amministrazione di sé stesso. Il resto mancia.

Siccome, poi, qui ci piace essere onesti è necessario dire da dove vengono i dati: dal Ministero. E sto dicendo una cosa bella, elogio, nel senso che sebbene siano solo del 2008 il Governo italiano è l’unico europeo che ha messo online i dati della propria spesa, distribuiti anche su base regionale, compiendo uno sforzo per il quale a nord sono rimasti piuttosto basiti. Detto questo, viva, nel 2008 governava qualcun altro e buonanotte: sono i numeri che contano.

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quella strana sensazione di già letto

A parte il virgolettato, che è d’obbligo resti identico, mi pareva in effetti di avere una strana sensazione di dejà lu:

Il che poi finisce paro paro sul Sole 24 Ore, sulla Gazzetta del Sud, sull’Unione Sarda e così via. Niente di nuovo sotto il sole dell’informazione, basta che poi la smettano di guardare con spocchia chi tiene un blog e, talvolta, copia e incolla. Piuttosto, speriamo che le ragazzuole avide non si fermino, ché a qualcuno ieri sera gli saranno andate di traverso le pennette tricolore.

A margine della giornata politica di ieri, memorabile il momento in cui Bondi, nel dibattito sulla sfiducia, ha ripetuto due volte: “Ma voi vi rendete conto” – rivolto all’aula e a tutti noi – “di quali cose meravigliose si potrebbero fare con il nostro patrimonio culturale?”. Noi no, ma tu, Bondi, dovresti.

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se vuoi capire l’Italia, guarda a sud

Di certe somiglianze tra il governo del mostro Zuma, il finto zulu con scarpe da ginnastica qui a destra, e quello del nostrano S. B. avevo già avuto modo di soffermarmi qui, parlando in realtà d’altro. Che si guardino con interesse e, apparentemente, si copino le buone idee comincia a diventare un fatto acclarato: dopo la proposta sudafricana di una legge che garantisca l’immunità al capo del governo dai procedimenti giudiziari, in questi giorni è d’attualità un pacchetto legislativo che dà la possibilità al governo sudafricano di classificare come ‘segreto’ qualsiasi argomento o documento, impedendone così la pubblicazione.
La pena prevista per chi pubblichi tali documenti o estratti o stralci è, come minimo, la prigione. Va da sé che l’intero pacchetto ha preso il nome di ‘media laws’ e che i gruppi editoriali stanno lottando contro l’approvazione di tali leggi, inserendo – tra l’altro – in testa a ogni articolo la scritta “you would not be reading this story”, se la legge fosse approvata. Troppo facile individuare la somiglianza.
Ovviamente le similitudini non si fermano qui e sono numerose; osservando il Sudafrica in questi giorni, però, è possibile individuare anche qualche idea per gli sviluppi futuri: è notizia di ieri, infatti, che i partiti di opposizione a Zuma, ossia tutti a eccezione dell’ANC al governo, hanno deciso di fondersi in un unico partito, allo scopo – ovvio – di contrastare al massimo l’ingombrante presenza del buffone. Il loro, non il nostro. Il che richiama qualche proposta estiva e un po’ peregrina vista qui nelle ultime settimane.
Vediamo cosa fanno loro e poi copiamo, nel bene e nel male.

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il 96 per cento sparso per l’Iraq

Secondo l’Office of the special inspector general for Iraq reconstruction degli Stati Uniti il dipartimento della Difesa americano non è in grado di rendicontare (ossia spiegare dove siano finiti) 8,7 miliardi di dollari dei totali 9,1 stanziati e spesi finora per la ricostruzione in Iraq (documento).
Con involontaria ironia, lo studio non può fare altro che suggerire alla Difesa una maggiore efficienza nei processi di rendicontazione del denaro che gestisce: in effetti, farsi scappare il 96% dei fondi è un record persino superiore a una qualunque rendicontazione di finanziamenti europei in terra calabrese, dove sono bravetti in questo.
Delle due l’una, chiaro: o come amministratori non sono particolarmente abili (eufemismo e nessuno sano di mente può crederlo) oppure in termini di rendicontazione hanno fatto l’equivalente di andare in Iraq con le borsine di plastica piene di soldi e regalarle a quelli con le facce simpatiche. Il che è tutto fuor che improbabile: qualcuno ancora pensa che viviamo in un mondo di deficienti?
Obama su Iraq e Afghanistan ha, come dire?, qualche incertezza perché il sistema è molto più grande di lui e ha le proprie regole, e contemporaneamente qualcuno in Iraq grida: “ammerigani non andate via!”. Ettecredo.
(il grafico è di good).

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traiettorie/2: democristiani

“La corruzione è sempre stata compagna di strada dell’uomo. D’altronde, la stessa cultura cattolica ci insegna: senza soldi non si cantano messe. Pensiamo all’obolo di San Pietro. Il problema per noi politici, ma in generale per tutti coloro che amministrano la cosa pubblica, è gestire il proprio percorso verso Dio cercando una mediazione” (Paolo Cirino Pomicino, dal Corriere, 2007)
“Siamo diventati un Paese che non pensa, non cresce, non ha più speranza e affoga nella amoralità, che è peggio dell’immoralità” (Ciriaco De Mita, dal Corriere, 2010).

Partiamo in medias res: stronzoli.
Dopo il primo post, proseguo con la rappresentazione delle traiettorie politiche di certi fiorellini rari della politica italiana degli ultimi quarant’anni, cinquanta dai, allo scopo di preservarne memoria e di, chissà, riportare alla mente passaggi che si erano perduti. La teoria della faccenda l’ho fatta di là, nel primo post, non vorrei tediare.
Veniamo al dunque, quindi, Paolo Cirino Pomicino e Ciriaco de Mita:

E ora, i fatti notevoli: rimasti entrambi orfani in età matura della Grande Mamma che li aveva pinguamente allattati per vari decenni, consentendo loro di centrare numerose vittorie alla lotteria di Ministro e Presidente del Consiglio, si trovarono dopo il 1992 nella difficile situazione di dover mantenere il proprio ruolo di Ras a Napoli e ad Avellino. Perché, purtroppo, di terremoti in Irpinia ce ne sono sempre troppo pochi, e la vita – politica e non – costa. Il primo, Pomicino, dopo essersi accoccolato al caminetto di Mastella fu espulso dal partito con ignominia e, memore delle origini, decise di aderire a qualsiasi movimento politico o partito che avesse nel nome la parola “Democrazia Cristiana” (se questa non è dedizione…), riuscendo nelle mirabolanti imprese di tornare al Parlamento Europeo lui, emblema della corruzione e del facciadimerdismo, e di essere tuttora – attenzione! – membro del Controllo strategico della pubblica amministrazione del ministro Rotondi. Parrebbe una stronzata se non fosse vero. L’altro, quello che quando governava l’Avellino squadra di calcio stazionava perennemente in serie A e poi non la si vide mai più, perse la trebisonda, porello, e pensò addirittura di accasarsi nel centrosinistra. E la cosa gli riuscì per ben tre volte, senza che nessuno dicesse alcunché. Poi, storia recente, siccome qualcuno gli disse che non sarebbe stato ricandidato si offese molto e cambiò di nuovo partito, riuscendo – ma guarda! – ad andare anche lui al Parlamento Europeo. Dove, ovviamente, non ne mantengono memoria.
Poverelli, anche loro: entrambi più ambiziosi di ciò che raggiunsero ma destinatari di privilegi a dir poco immeritati, causa statura politica, umana e fisica piccoletta, da quando persero la mamma politica furono costretti a vagare di casa in casa per rimediare un pasto caldo e un giaciglio non troppo scomodo, loro che erano abituati alle riverenze e alle grandi torte in regalo. E così dovettero vendere fiammiferi agli angoli delle strade per sbarcare il lunario, prostituendosi – politicamente parlando, sia chiaro – occasionalmente per una fettina di torta piccolina. E’ giustizia questa? E’ riconoscenza?

No, non lo è. Ma la vita è dura per tutti, si sa. Triste destino dover fare i salti mortali per un tozzo di torta pastiera con i canditi.
Ma non siamo tristi noi, che proseguiamo verso altri sapidi racconti di traiettorie politiche, speranzosi in ben altro spasso.

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traiettorie/1: giovani del PCI

“Non si può cambiare idea ogni due secondi. Si può cambiare idea a fasi storiche. E in ogni caso bisogna rifletterci sopra, spiegare” (F. Adornato, da Sette, 2001).
“Penso che pubblicherò anche la fotografia dei miei testicoli” (G. Ferrara, da il Giornale, 2008).

Tempo fa avevo cominciato a disegnare le traiettorie politiche di alcuni figuri, pensando invero che sarebbe stato interessante cogliere a colpo d’occhio gli spostamenti nel tempo. Certo, il mio scopo fin dall’inizio era rappresentare linee a zig-zag impazzite tra simboli e tempo per dimostrare l’omnivaghismo di alcune figure losche degli ultimi trent’anni e, in sostanza, sbeffeggiarli, oltre che conservarne memoria.
Figure, queste, che sbandierando a piè sospinto il dogma “solo gli stupidi non cambiano idea”, assumendo quindi implicitamente l’inverso “solo gli intelligenti cambiano idea”, hanno attraversato – per così dire – fasi differenti nella propria vita politica.
I malevoli, tra cui io, possono certo storcere il naso a fronte di cotanto mobilismo; non in sé, ma in relazione alle fasi storiche: socialisti con Craxi, forzitalioti con S.B., democristiani quando conveniva, comunisti nei Settanta, fondamentalisti adesso. E’ questo discutibile, non il movimento in sé: ripararsi dove la banderuola tira, all’occasione.
Rappresentare le traiettorie con un disegno, pensavo, sarebbe stato interessante: e lo penso tuttora, infatti, ed è la ragione di questo post, il colpo d’occhio. E la memoria, sempre alla base di ogni mio ragionamento. C’è un grande gradino, però, di cui tenere conto: il biennio 1991/1992, che costrinse pressoché tutta la geografia politica a ricollocarsi (ed è lo sfumino grigio a segnalarlo), volente o nolente, nessuno escluso. Una ragione oggettiva, ed esogena, per spiegare che, negli ultimi trent’anni in Italia, nessuno avrebbe potuto permanere nello stesso partito. A questo, ovvio, va aggiunta la volontà personale, ossia la ragione soggettiva ed endogena che porta alla traiettoria, più o meno complicata.

Andiamo a iniziare, l’onore dell’inizio va a Giuliano Ferrara e Ferdinando Adornato, uniti dalla provenienza e da almeno un altro passaggio in comune:

Fatti notevoli: tra i giovani ragazzotti del PCI considerati degni di avvenire, i due hanno subito la gravità destrorsa in modo irresistibile nel tempo, mai invertendo la rotta. Passaggio socialista per Ferrara, salto in AD per Adornato: il primo fortunato, il secondo cascò in un bidone senza scopo. Al che, superato lo scalino di cui sopra, il grosso colse subito l’opportunità, l’altro ci mise di più. Ma ci arrivò. Poi, come sempre accade con i meteoriti, se ne andarono: uno a fondare un marchio proprio titolare di uno zerovirgolazero elettorale, l’altro si accasò a fianco, abbracciando le posizioni della CEI. Mai rimpianti da alcuno, bisogna dire. Entrambi comprimari, a modo loro (sebbene il grosso sia decisamente più intelligente e preparato dell’altro), ebbero qualche sprazzo di notorietà ma mai un primo piano duraturo, il che è anche un po’ la ragione del loro vagolare senza requie: troppo pieni di sé per stare all’ombra di un capo, troppo deboli per fare pianeta da sé. Triste destino, mai lasciare un segno, mai trovare una casa abbastanza ampia in cui comandare.

Ma non siamo tristi, noi: altri tristi destini al prossimo appuntamento con le traiettorie dei corpi. Spasso e commiserazione.

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la leggendaria figura di “Nutro fiducia”

Tra le luminose figure dell’Italia unita, un posto d’onore spetta di diritto a Luigi Facta, ultimo presidente del consiglio prima di Mussolini.
Facta, piemontese di Pinerolo nonché avvocato, fu un giolittiano fedele al punto che tanta fedeltà fu scambiata per assenza di idee proprie, maligni!, e ciò gli valse una carriera politica di un certo rispetto: deputato, sottosegretario, ministro più volte e infine presidente del consiglio.
Neutralista di natura, ossia incapace di prendere una posizione qualsiasi nello spazio e nel tempo, non trovò di meglio che dichiararsi fiero di aver offerto la vita di un figlio alla Patria durante la prima guerra mondiale – e chissà cosa ne avrebbe pensato il figlio – il che, va detto, gli giovò non poco nella sua traiettoria politica: fu ministro delle Finanze nel biennio 1920/21 e presidente del consiglio dal febbraio 1922.
La natura immobile del corpo Facta era tale che, sollecitato a proposito di una qualsiasi questione, egli soleva rispondere iniziando la frase in questo modo: “Nutro fiducia che” cui seguivano congiuntivi vari, il che era l’inevitabile prologo all’assenza più totale di una decisione o mossa di alcun genere. Va da sé che fu soprannominato “Nutro fiducia in nome dell’attendismo che lo contraddistingueva. Il giornalista Giovanni Ansaldi, fascista, a proposito della scelta ripetuta che Giolitti fece in favore di Facta quale ministro spiegò così: «Spesso la mediocrità è una voragine per la quale anche gli spiriti eletti provano una cupa attrazione». Chiari i riferimenti.

Come spesso succede, la storia gode nell’essere sarcastica, a spiriti immobili spettano compiti sommi: nel fatidico ottobre 1922 Nutro fiducia, in qualità di presidente del consiglio e, va ricordato, di ministro dell’Interno ad interim, fu soggetto a pressioni per lui insostenibili. Infatti, circolavano voci sempre più urgenti che Mussolini stesse organizzando una marcia su Roma.
Nessuno, Mussolini compreso, sapeva esattamente di che si trattasse (tant’è che l’incerto capo la seguì da Milano, pronto alla fuga), ma una certa agitazione era di certo giustificata. Ai colleghi onorevoli che spingevano per una decisione, Nutro fiducia oppose una certezza incrollabile: “marciare su Roma” era di certo un’espressione metaforica.
Memorabile e agli archivi lo scambio di battute tra l’onorevole Petrillo, in seguito fascista, e Nutro fiducia: al primo che sollecitava vivacemente l’arresto di Mussolini, il secondo sbigottito rispose testuale: “Arrestare Mussolini? E come si fa?”. Ancora, messo alle strette dagli eventi e dai colleghi, nel bel mezzo di Montecitorio e al momento della decisione finale, pronunciò le seguenti parole, tra i singhiozzi: “Volete un gesto di forza? Lo volete proprio? Ebbene, mi farò saltare le cervella”. Si noti che, oltre al pathos, a questa frase non seguì alcunché, né in direzione autoritaria né in direzione autolesionista.

La marcia su Roma fu più di un’espressione metaforica e Facta, materialmente, fu riposto nella cassetta degli arnesi della politica dall’ondata fascista: infatti nel momento del sommo pericolo Nutro fiducia era sì andato al cospetto del Re a chiedere timidamente lo stato d’assedio ma, è noto, incontrò una figura che in quanto a immobilismo gli era pari se non superiore, per maggiori poteri e responsabilità. Non se ne fece nulla, i due non rivelarono mai cosa si dissero in quella notte fatidica e Mussolini, fosse stato più gentile, avrebbe potuto ringraziare la bella coppia. Nutro fiducia tracheggiò in Senato per qualche anno, ignorato per lo più ma ricordato per il brillante supporto alla rivoluzione fascista (supporto che i malevoli ritengono tuttora inconsapevole) per morire nel 1930 nella sua Pinerolo. Leo Longanesi, parlando di Facta e Mussolini, disse: “Il primo spera, il secondo vuole, e tutti gli italiani vogliono. Nutro fiducia, appunto.

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elezioni regionali 2010: la guida poco appassionata

All’ultimo giorno utile, la guida alle elezioni regionali 2010.
Con poca passione, devo dire, vista la sequela interminabile di fesserie delle ultime settimane, tra decreti interpretativi utili come il casco per san Giovanni Battista, sospensioni e riammissioni di liste, occupazioni televisive, manifestazioni in produzione seriale, proclami balenghi, casi conclamati di corruzione, puttanone e cappotti regalati, arresti fatti e arresti da fare, tentati suicidi, coristi del vaticano in cerca di carne fresca, fratelli papali dediti alla pedagogia maiala, conduttori televisivi che alle soglie dei sessanta scoprono la libertà della rete e via così. Poi, tutti a guardare il nuovo video di Lady Gaga, a compiacersi dell’ironia che non c’è. E tutto va bene, la vita bisogna godersela, magari aspettando il prossimo terremoto. Sono proprio curioso di vedere i dati dell’affluenza, stavolta. Scommettiamo?

Comunque, la guida elettorale è una consuetudine che non posso disonorare, nonostante il disgusto diffuso, e quindi ottempero a ciò che devo. Se il filo conduttore della campagna elettorale è stata la meschineria, ossia la piccolezza, l’adeguata espressione di ciò è la ridicola scheda informativa del Ministero dell’Interno, guidato – mi piace ricordarlo – da uno che se non avesse vinto la superlotteria della vita starebbe vendendo profumi porta a porta. Giustamente.
E ora, il momento tanto atteso, la rassegna delle liste elettorali. Piccolezza anche qui, devo dirlo, di conseguenza sono poche le escursioni nel surreale che tanto mi piacciono, ma tant’è. Questo è quello che abbiamo. Dunque, via.

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stronzi all’opposizione

Tutti noi dotati di cervice evitiamo, chi più chi meno, di devastarci leggendo il giornale in modo troppo approfondito, di questi tempi. Questione di sopravvivenza, perché non è che si può versare carogna a secchi ogni giorno.
Però ogni tanto c’è un limite: per esempio, ieri. Premessa necessaria: a ogni manifestazione di piazza, più che sporadica devo dire, dell’opposizione Casini dice testuale: “l’opposizione si fa in parlamento”. D’accordo. Cioè no, ma vabbuò, posizione sua.
Ed ecco il fatto: ieri alla Camera erano al voto le pregiudizialità di incostituzionalità (ma che schifo di nome) al decreto demente per salvare le liste elettorali del centro-destra. Promotori? Vari, tra cui Michele Vietti, UDC. Buona cosa, una ghiotta occasione per segare finalmente l’ennesimo pasticcio di un pasticcio ancor più colossale, nel quale tutti hanno fatto la propria parte.
E invece no: le pregiudiziali non passano, e per pochissimi voti. Quindi, il decreto resta. Assenti? Casini, Cesa, tutto l’UDC e guarda un po’, pure Vietti. Quindici voti, decisivi in questo caso.
Ed ecco la domanda, mia: dove cazzo eravate, stronzi UDC, a fare opposizione, ieri? In piazza, stavolta? No, erano a fare campagna elettorale, come spiegano qui. Ma vaffanculo.

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partiti in vendita

Un interessante articolo di Loretta Napoleoni sul finanziamento ai partiti (da Internazionale).

In passato la politica era finanziata dai tesseramenti. Oggi dipende da sponsor a cui è difficile dire di no.

Ormai in occidente la politica è un prodotto come tanti altri: viene venduto attraverso gli spot pubblicitari, con l’aiuto di uomini e donne (poche) che recitano un copione scritto da una raffinata macchina della propaganda. Gli acquirenti naturalmente siamo noi, i cittadini consumatori. Lo scopo? I soldi più che il potere.
Sembrano frasi rubate alla versione moderna del capolavoro di George Orwell, 1984, dove il Grande Fratello (non quello televisivo) condiziona i cittadini attraverso il marketing. Invece sono le tristi constatazioni che fanno ogni giorno moltissimi occidentali.
Come siamo arrivati a questo punto? La risposta va cercata nei meccanismi di finanziamento dei partiti. Trent’anni fa si basavano quasi esclusivamente sul contributo degli iscritti. Alla fine degli anni ottanta il peso del tesseramento è sceso al 50 per cento e oggi è meno del 10 per cento. Nel 2004 più di un quarto delle entrate dei laburisti britannici – all’epoca il più grande partito della sinistra europea – proveniva dalle donazioni di 37 grandi sponsor, tra cui il magnate dell’acciaio Lakshimi Mittal. Solo l’8 per cento dei finanziamenti era garantito dal contributo degli iscritti.
I partiti somigliano sempre più a un’azienda e sempre meno a un’organizzazione che ha un programma politico. Questo spiega perché nel 1999 la Enron ha finanziato metà della campagna elettorale di George W. Bush. In cambio, una volta eletto, Bush ha concesso al gruppo energetico la tanto desiderata deregulation del settore. Il principio della democrazia mercato è quindi il classico do ut des, anche quando il baratto costringe il partito a contraddire il suo programma.
Naturalmente chi decide sono i leader. Nel 1997 Bernie Ecclestone, il capo della Formula 1, donò a Tony Blair un milione di sterline. In cambio il leader laburista gli permise di pubblicizzare le sigarette durante le gare automobilistiche in Gran Bretagna, anche se era vietato dalla legge e il New Labour era sempre stato contrario.