In America, mi dicevo, le Frattocchie non le hanno mai avute. E quindi, mi chiedevo, come si formano alla politica? Cioè, ce le hanno le scuole per prepararsi al congresso, al senato, al governo degli Stati? Secondo me no, non hanno niente di simile.
Poi ho considerato il caso di Arnold Schwarzenegger (attuale governatore della California), di Jesse Ventura (governatore del Minnesota dal 1999 al 2003) e di Sonny Landham (sconfitto di poco alle elezioni per il governatorato del Kentucky) e mi sono dovuto ricredere. Eccoli:
Tutti e tre si sono formati qui. Per cui, se Frattocchie i suoi bei disastri li ha fatti e i tizi di – scusate la parola – Forza Italia non sanno nulla di nulla e a nulla servono, comunque mai lamentarsi. Mai. C’è sempre chi sta peggio.
Presi il tascapane, il moschetto, il fez e lo stivalone, tutti in gita:
– ritrovo in piazza Oberdan al canto del gallo e al grido di “menefrego” cacciare la quota di sessanta euri per mascella;
– partenza fassistissima in corriera e allegri canti patriottici dell’Impero, niente sosta all’autogrill perché luogo demo-pluto-benza-molle, e poi le cassettine con la musica già le abbiamo;
– arrivo in mattinata al sacrario della RSI a Ponti sul Mincio, la Piccola Caprera, per onorare i caduti della Repubblica sociale con i labari e tutti sull’erta, con allegria sì cameratesca ma con un bel po’ di rispetto;
– momento de curtura, con l’impalata visita al Museo Reggimentale del Battaglione di Bir el Gobi, comandato dal fascione Fulvio Balisti (il battaglione, non li museo), in cui condividere momenti di fragoroso rispetto;
– visita al vialetto “l’erta del ricordo” e, tra le siepi e il ciottolato imperiale, i nostri cuori in alto per i caduti della X MAS (Decima MAS, non il Natale);
– condivisione del rancio subito dopo l’alzabandiera che si sta tutti belli ritti come sempre;
– visita al cimitero germanico di Costermano, dove riposano ventiduemila caduti germanici della seconda guerra mondiale (perché Predappio ci tocca stare via la notte);
– ritorno nel pomeriggio sera sempre via corriera fino a piazza Oberdan; chi non sa tornare a casa da solo, si faccia venire a prendere.
Per partecipare alla festosa iniziativa, contattare il sindacato di destra UGL, sezione Vigili del Fuoco, sede di Trieste, nella persona del camerata Franco Paoli, che vi consegnerà di persona la coccardina per poter salire sull’autobus e un foglio con le belle istruzioni. Istruzioni anche disegnate. Aderite numerosi e convinti. (Tutto questo per dire che la prossima volta che vi prende fuoco la casa pensateci bene prima di chiamare il 115).
La Repubblica, edizione di Palermo, dà conto di uno studio effettuato dall’Ente Parco della Valle dei Templi di Agrigento sui resti dei templi, appunto, il quale studio stabilisce un fatto archeologico, non nuovo peraltro: i templi erano dipinti anche all’esterno e presentavano numerose varianti cromatiche a seconda della funzione. Il fatto ha una sua qualche rilevanza e merita considerazione.
Ma ancor il fatto è ancor più rilevante e straordinario se a raccontarlo è un redattore glam-superfescion invasato di parole allo sbraco e figlio di un dizionario copiato. Ecco il risultato: “Ritorna il colore nella valle dei Templi”. Dio, per fortuna è tornato (e questa è la classica apertura di un qualsiasi servizio di moda). “Glorificati dalla storia col loro tono ocra molto nature, in realtà i templi (…) non furono innalzati e lasciati così come appaiono, in pietra nuda”. E qui, al tono ocra molto nature, io già comincio ad armare il cane e ad accusare vertigini. Non dorico, non corinzio ma “Erano a modo loro templi già moderni, più fashion, ammantati di una patina colorata” e io, pur non facendomi sfuggire il paternalista “a modo loro”, mi immagino un leggendario architetto greco tipo Gattinoni o Cavalli sovrintendere ai lavori vestito di lima da unghie. Perché questi non sono templi, sono meravigliosi sfondi per la cultura della moda e del fascino, e gli dei altro non sono che feticci dell’eleganza.
Il fecondo redattore prosegue con un piccolo svarione (“condotto dall’ente del Parco archeologici di Agrigento”) e conclude magistralmente le sei righe sei con la frase: “c’è anche un pannello a colori in scala 1 a 1 appoggiato al tempio in pietra calcarea che colpisce come un flash lo sguardo stranito di chi ammira”. Flash, a-aah! E il pezzo è già finito. Peccato. Vado a farmi il casco, ciao.
Il segretario alla Difesa americana, Gates, dichiara che la soluzione della vicenda Afghanistan è molto di là da venire, ben oltre il 2011 previsto per il ritiro dall’Iraq: “impossibile fissare una data per il rientro delle truppe USA e NATO”. Anzi, la presenza contingenti occidentali nel paese è in continua crescita, come dimostra il fatto, per esempio, che il numero dei soldati italiani passerà a breve da 2.350 a 2.800, alla faccia di chi si ricorda dell’Unione Sovietica e di chi non crede alle pedine del Risiko. Ora, la mia domanda più che sincera è: perché le forze NATO e americana occupano l’Afghanistan? Io, a ben guardare, proprio non lo so. Stiamo ancora cercando Bin Laden e le centrali del terrorismo dopo otto anni? Stiamo cercando l’oppio cattivo e il fumo droghino? Abbiamo scoperto che ci piacciono moltissimo i levrieri? Quelle cazzo di grotte ci impediscono di vedere cosa fanno i terroristoni nel buio? Abbiamo fatto amicizia e ci è passata la nostalgia di casa? Oppure, oppure, chi lo sa. L’unica è provare a leggere tra le righe.
Claudio Abbado ha detto che per tornare a dirigere l’orchestra della Scala vuole novantamila alberi. Cioè, vuole che il Comune di Milano pianti novantamila alberi qua e là e lui torna, un letterale pagamento in natura. E’ chiaro che sta provocando, nel senso che sta mettendo il dito in una delle tante piaghe milanesi. Però.
Un assessore furbo potrebbe cogliere due frutti con una pianta sola: lanciare l’iniziativa congiunta “Profuma Milano” (da leggersi ad alta voce veloce, provate), nella quale il Comune – con il supporto del sommo maestro Abbado – sostiene l’arte (la musica) e il benessere collettivo (le piante). Sai che colpo? Sono serio, una botta di immagine e di sostanza pazzesca, come non se ne vedono da anni. A basso costo, peraltro: quanto verrà? Centomila euro? Duecentomila? Cazzate. E le altre amministrazioni a sudare invidia…
Invece no, ovvio: il signor Maurizio Cadeo, assessore preposto del Comune di Milano (il pistola che imbecilleggia nell’ironica immagine qui destra), ha testé risposto ad Abbado: “Pensi a suonare”. Facciadicazzismo, del più puro, oltre che cafone. Sfiorisci bel fiore.
Dunque, direi che mi vien da ridere.
Pare che S. B. abbia accennato in conferenza stampa all’orecchio di N. S. la frase “Moi je t’ai donné la tua donna“, perché “femme” non gli veniva. E fin qui, inelegante e pistolone, come sempre, così N. S. impara che se vuole vendere la tennologia nucleare gli toccano poi ‘ste robe, è il prezzo per inchiapparci.
La parte migliore vien dopo; replica ufficiale della presidenza del consiglio poche ore fa, testuale: “La frase che il presidente Berlusconi ha detto sottovoce (…) era semplicemente: ‘Tu sais que j’ai ètudiè à la Sorbonne’“. Cazzo, fantastico. Ovviamente la faccenda della Sorbona non è mai stata vera ma non importa, strepitoso. Uno sta parlando e un altro, lui, lo ferma per sussurrargli: “Ehi, lo sai che io ho fatto i primi tre anni delle elementari alla Tito Speri e gli altri due alla Saleri?“. Figatona, quasi surreale. Putroppo non è andata così.
Il dipartimento scientifico di trivigante.it ha esaminato i filmati e ha posto la parola definitiva alla questione: S. B. ha detto “Moi je t’ai bombé la tua nonna“. Ecco perché N. S. non l’ha presa mica bene: non è perché è stato interrotto che si è risentito ma perché, cacchio, la nonna è la nonna.
Esce Religiolus nei cinema e accade qualcosa. Dall’inizio: Religiolus è un buffo documentario di Bill Maher, comico piuttosto scettico verso i dogmi religiosi, nel quale l’autore incontra ferventi cristiani, musulmani esaltati, ebrei iperortodossi e li intervista, li fa parlare liberamente, portando a casa il risultato: gli esponenti più radicali delle tre maggiori religioni monoteiste appaiono come dei pazzi forsennati, seguaci di dogmi assurdi e rinchiusi nel proprio letteralismo. Il che è piuttosto ovvio, sia perché lo sono per davvero, ebbri della propria verità rivelata, sia perché Maher richiede una spiegazione razionale e consequenziale di ciò che razionale non è. Perché dio, che tutto può, non fa fuori Satana? Naturale che i protagonisti del film diano fuori di matto e che i fondamentalisti sparsi nel mondo si inalberino. Il che fa ovviamente il gioco del documentario ma i poveretti non se ne rendono conto, tutti presi a difendere la propria quota di Gerusalemme dall’assalto degli infedeli. Anche da noi, qualche cattolico iperdogmatico poco spiritoso si è preso la briga di censurare i manifesti del film, come dalle foto qui sotto, scattate a Roma:
Il che, oltre che piuttosto comico, è sostanzialmente stupido, visto che da un lato conferma quanto sostenuto nel film e dall’altro eccita a dismisura gli scettici come me, spingendomi ad andare al cinema tutto tronfio nelle mie posizioni. E non solo: mi incita alla reazione.
E, oplà, l’integralista dogmatico responsabile dell’azione ha pure un nome, visto che è giunta l’orgogliosa rivendicazione della censurina: l’associazione cattolica Vera Libertà, il cui scopo è “far luce e guidare, affinchè la libertà d’espressione non si trasformi in libertinaggio”, nella persona di tal Mario Arsi. Il cognome, da solo, sarebbe sufficiente a garantirgli un posto da usciere all’Inquisizione. Siccome, però, trivigante punta più alto e non ha l’abitudine di prendersela con uno solo, per di più buffone, ha elaborato un piano di reazione a largo spettro. Ed ecco il piano di oggi: – ore 8.30: incursione, banana alla mano, nell’ufficio del curato della chiesa dei SS. Faustino e Giovita e applicazione di pecette nere (“annullato”) su tutti i certificati di battesimo; – ore 11.00: versamento di un chilo di gelato al pan di spagna nella cassetta della posta dell’Opus Dei; – ore 11.40: sostituzione di tutte le copie de “I libri dello spirito cristiano” nelle librerie Paoline con copie di “Perché non sono cristiano” di Bertrand Russell, il tutto molto segretamente; – ore 14.20: telefonata in diretta a Radio Maria durante la recita del rosario, chiedendo una speciale prece per la buona salute dei Khmer rossi; – ore 15.00: accaparramento della copia di “Avvenire” nel bar “Il Corso” e cancellazione, con pennarellone nero, di tutte le parole che cominciano con “emme”; – ore 17.45: collocazione nel Duomo durante la messa delle ceneri e, al momento del “Padre nostro che se nei…”, urlo a svocianza: “aaaaaaaiuei tu ell tanananana”; due volte; – ore 20.00: poiché è il primo giorno di quaresima, pasteggiamento con maiale cotto nel vino rosso e caramellato, ripieno di canditi frizzanti, cui segue formulazione di fioretti senza speranza; – ore 23.40: missione nel cimitero di Sant’Ignazio, asportazione dei fiori da tutti i sepolcri che hanno l’angelo che spezza le catene e riposizionamento degli stessi sulle tombe che di fiori non ne hanno. Chi fosse interessato, ci vediamo alle otto al posto segreto.
Venticinque anni, diciotto governi, otto dischi dei Duran Duran, l’invenzione di internet e lui, Franco Pecorini, è ancora lì. “Lì” è sullo scranno destinato all’amministratore delegato di Tirrenia, la compagnia di navigazione dello Stato: potrebbe trattarsi di record mondiale di permanenza al timone di un’azienda statale, sono quasi sicuro che lo sia. Compito di qualunque amministratore delegato è, banalmente, amministrare una società e fornire dividendi, o servizi, agli azionisti. In questo caso, l’azionista unico di Tirrenia è Fintecna, società finanziaria del Ministero delle Finanze. Se un amministratore resta avvitato sulla propria cadreghina per venticinque anni, evidentemente l’azionista deve essere molto molto soddisfatto: infatti, un ministro all’anno, di media, non ha voluto o non è riuscito a scardinare Pecorini dalla sua posizione. Nello stesso periodo, in Alitalia ne sono saltati otto di ad, in Ferrovie sei. E son persino pochi.
Eppure la gestione assomiglia a un colabrodo: duecento milioni di perdite all’anno, più di un miliardo e mezzo di euri di aiuti di stato bruciati negli ultimi nove anni, indebitamento netto di ottocento milioni, una flotta di novanta navi quasi tutte decrepite, tremila dipendenti per far girare (malissimo) la baracca, collegamenti ridotti al minimo (si veda il caso recente delle Eolie) e, quindi, servizio praticamente nullo. Fosse una nave, bella metafora, sarebbe colata a picco da mo’. Eppure, eppure, lui resta lì.
Assisto stupefatto non solo alle celebrazioni più sbilenche del centenario del futurismo italiano (pubblicazione del primo manifesto) ma anche all’utilizzo attuale, libero e forsennato, dell’aggettivo derivato: cene futuriste, gesti futuristi, incontri futuristi, artistismo futurista e così via. Non futuristico, futurista. Ossia, assumere del blu di metilene e pisciare blu in una pubblica fontana pare proprio sia considerato un gesto futurista. Mah, sfugge la relazione e il significato.
Che, poi, a rileggere oggi gli afflati di Marinetti per la radio senza fili, per il dinamismo dell’auto o della catena di montaggio, pare di guardare una comica di Stanlio e Ollio alle prese con la Ford T e la sua manovella. Per non parlare delle effusioni di Marinetti al partito fascista, abbracciato-lasciato-ripreso, e dell’estetica fatta di ciangolare di rottami sull’asfalto. Oh, sia chiaro, all’est fecero grandi cose nell’ambito, e qualcosina pure in Italia, ma poco avevano a che fare con Marinetti. Che morì tutto abbarbicato alla X MAS, ebbro del rumor di caricatori e dell’acciaio che sconfigge il marmo. Cosa ne venga da tutto questo alle performances attuali, per me resta un mistero.
Oltre a tutto, diciamocelo, fare i futuristi oggi, oltre che demodé (ah, il dinamismo di un processore Intel, l’audacia di una Fiat Punto, la velocità di un’adsl Infostrada…), non è sostenibile, per sovraproduzione, diminuzione delle risorse, contenimento dell’impatto e dell’impronta ecologica, buon senso e gusto minimo. Forse avrebbe apprezzato i SUV. Non serve essere dada per farsi beffe della “caffeina d’Europa“, basta far finta di essere sani. In tema, segnalo il post di gian marco che sfancula Marinetti rispondendogli come meglio non si potrebbe, ovvero facendo parlare Boris Vian. Lui sì, un gigante davanti a un nanetto da scappamento.
La UE vuole che io vi dica che questo sito utilizza dei cookies, anche di terze parti. Continuando la navigazione accettate la policy sui cookies. In caso contrario, ci vediamo al bar nel mondo reale.OccheiQualche info
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.