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Onorina Brambilla Pesce

Nori, come la chiamano tutti, o “Sandra”, il suo nome da staffetta partigiana, racconta un pezzetto della sua storia il 25 aprile 2009 a “Partigiani in ogni quartiere”, al quartiere Gallaratese di Milano:

Arrestata e torturata, internata nel campo di concentramento di Bolzano, non parlò: “Sia chiaro che io non ho taciuto per amore. Non avrei tradito nessun compagno, mai”. E a me tremavano un poco la mano e il cuore. Qualche anno fa, rivolta a coloro che adesso parlano di “regime”, rispose secca: “Non sanno di cosa parlano”.

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milano, 25 aprile 2009

Non credete a chi dice che eravamo venticinquemila, eravamo molti ma molti di più, tutti insieme a celebrare la Resistenza. Alla faccia di Formigoni e delle vecchiarde assenti.

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il mio 25 aprile e quello di Dolfino Ortolan

Io il 25 aprile mi sveglio presto, eccitato come i bambini a Santa Lucia in odor di regali, perché è la mia giornata di festa. Io il 25 aprile mi sveglio felice. E’ un giorno che attendo per settimane, chiedendomi se ci sarà il sole o la pioggia, se io abbia scassato a sufficienza i miei congiunti con la bellezza primaverile del 25 aprile e chiedendomi ancora se c’è qualcosa che avrei dovuto fare e che non ho fatto. Ma non mi chiedo mai se sarà una bella giornata, perché il 25 aprile è sempre una bella giornata: in manifestazione a Milano. Perché il 25 si può essere solo a Milano, magari a Torino, ma non altrove: a Bologna bisognerebbe essere il 21, a Roma quasi un anno prima, il 25 si va a Milano. E poi c’è gente meravigliosa, sorridente e insieme incazzata, mi sorprende ogni anno vedere quanto sono, complessivamente, belli i manifestanti di Milano, dico anche fisicamente. Belli. Come quando si camminava per strada e si urlava ai missilini in culo a Spadolini, belli anche allora. E poi non c’è bisogno di accordarsi e di organizzarsi, si è là e basta, e non esiste impegno in grado di battere la manifestazione a Milano, mai! E la mattina si passa nei prati a porta Venezia, poi in corteo. E ci possono essere la pioggia, le moltitudini, i sindaci e la ressa, eppure si incontrano sempre tutte le persone che ci si aspetta di vedere, non so come accada ma accade: ci si incontra comunque. E poi si arriva in piazza Duomo quando già tutto è finito, e nemmeno si intuisce chi abbia parlato dal palco, tanto non importa, il bello viene prima.
Il 25 aprile è il mio natale, anzi meglio: è l’unica ricorrenza annuale in cui non mi tocca scendere in piazza per ricordare una strage o per protestare contro il pacchetto sicurezza (eddai, il 2 giugno è un po’ una sòla, una roba per sottosegretari), è una festa vera, che si è felici e si celebra una vittoria. Capito? Una VITTORIA!

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recenti esportazioni di civiltà

caramelle_tripolitaniaNel 1907 fu inaugurata a Tripoli la prima scuola per portatori di handicap e per l’insegnamento ai sordomuti e ai disabili in generale.
Nel 1908 nella sola Tripoli si pubblicavano otto tra quotidiani e settimanali nelle varie lingue: arabo, turco, italiano ed ebraico.
Nel 1909 a Tripoli si potevano contare venti scuole ebraiche, cinque scuole elementari italiane, una scuola inglese e una francese, per citare solo le scuole straniere.

Nel 1911 il governo Giolitti decise di esportare la civiltà in Libia.

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la lettera aperta di Marco Formigoni

Alcuni giorni fa se ne è andato Marco Formigoni, per molti di noi una voce costante negli anni e, in ogni caso, uno di noi, cui voler bene sempre.
Marco aveva adottato un bambino, poi ragazzo, brasiliano, qualche anno fa. Per lui, suo figlio, quando a Milano per una scatola di biscotti uccisero Abdul William Guibre, Abba, giovane italiano di colore, Marco scrisse una lettera aperta al sindaco di Milano.
Ecco la lettera, cui nessuno mai rispose:

Gentile signor Sindaco,

sono un papà preoccupato. Mio figlio ha 10 anni da pochi giorni. Sono preoccupato come tanti padri per quello che potrebbe succedergli quando tra qualche anno uscirà la sera; l’alcool, la droga, l’auto. Quando torni? Stai attento, non fare stupidaggini. Ti fidi, è tuo figlio…Non puoi mica rinchiuderlo perché hai paura. Ma se diventare grandi non è facile, vederli crescere fa anche un po’ paura.
Ma oggi sono preoccupato perché il mio ragazzo ha la pelle scura.

Guardo le foto di Abdul Guiebre sui giornali e gli occhi si spostano su quelle di mio figlio, qui sulla mia scrivania. Come sarà tra 5 o 6 anni? Ma soprattutto cosa avranno già sentito le sue orecchie? Comincia a succedere già oggi. Quest’estate in spiaggia, mentre lui giocava con altri bambini, un signore scocciato gli ha detto negro di merda. Ha fatto finta di non sentirlo; ma solo finta, perché poi me ne ha parlato e mi ha detto che ha pensato che quel signore fosse uno stupido ignorante. La cosa che mi ha fatto più male è che ho capito che si sta abituando alla stupidità, all’ignoranza. La prima volta che era successo che qualcuno lo apostrofasse con riferimenti al suo colore era stato un bambino: “Sei marrone come la cacca”. Erano stati pianti e lacrime. Qualche anno prima un tale l’aveva chiamato Bin Laden, ma per lui appena arrivato dal Brasile era una delle tante cose nuove e incomprensibili che gli stavano capitando per la prima volta, come la neve, gli spaghetti e o mia bela madunina.

Stasera tornerò a casa e gli racconterò di Abdul, leggeremo insieme il giornale e cercherò di spiegargli che cosa è successo. Ma non sono tanto sicuro di riuscirci. Perché dovrei dirgli che oggi ci sono persone che hanno paura di quelli con la pelle scura come la sua. Ma la colpa, amore mio, non è del colore della pelle, piuttosto di quello che quelle persone hanno nella testa e nel cuore. E a quelle persone bisogna spiegare che il colore della pelle non c’entra. Ma non basta che glielo spieghiamo noi, il compito è soprattutto di chi ci governa. E a quel punto mi chiederà perché non lo hanno ancora fatto. Se lo avessero fatto, forse quel ragazzo sarebbe ancora vivo.

Sindaco Moratti, le giro questa domanda di mio figlio. Perché non lo avete fatto?
Marco Formigoni

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L’Aquila 6 aprile ore 3.32

foto_pastiglione17

A ora, la Protezione civile dichiara che la rete di soccorso sta funzionando e invita a non muoversi autonomamente. Piuttosto, per chi volesse mettersi a disposizione o – abitando in prossimità delle zone terremotate – può ospitare qualcuno, si metta in contatto con la sede della Protezione Civile della propria città.
Chi desiderasse, invece, contribuire al sostegno materiale, può utilizzare uno dei conti correnti aperti per questo scopo, a seconda:
Croce Rossa Italiana: Iban: IT66  C010 0503 3820 0000 0218020.
Causale “pro terremoto Abruzzo”;
Rifondazione Comunista di Pescara: Iban: IT32 J031 2703 201C C034 0001497. Qui.
Causale: “Rifondazione per l’Abruzzo”;
Legambiente: Iban: IT79 IO50 1803 2000 0000 0511440.
Causale “Emergenza terremoto Abruzzo”.

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61.003

antigoneErano 60.710 nel 2006, prima che un indulto rendesse evidente che le carceri stavano scoppiando e che non fosse disponibile alcun tipo di idea su come arginare la faccenda, e ora – a indulto avvenuto – i carcerati sono 61.003 (27 marzo, ultimo rilevamento). Ed è record: nella storia repubblicana mai così tanti ospiti nelle nostre carceri, accoglienti come certi sottopassi abbandonati. Quindi, indulto compreso, 25.000 nuovi detenuti negli ultimi trenta mesi: a Genova la densità è di sette persone in dodici metri quadri, a Bolzano dieci persone nella stessa metratura (e senza riscaldamento), a Bari cinque in nove metri quadrati, in Campania i carcerati in sovrannumero sono duemila, di cui 1.200 soltanto a Poggioreale (ovvero il cento per cento in più della capienza), in Basilicata hanno chiesto alla direzione penitenziaria di non inviare più nessuno. In sintesi, 17.826 persone sono recluse in carceri che, al massimo, ne conterrebbero 17.826 in meno. Il che significa che, al ritmo attuale, ai primi di giugno il sistema carcerario collasserà, perché i numeri faranno scoppiare i muri. E, stranamente, l’Emilia Romagna capeggia la speciale classifica dei sovrannumeri, con il 187% di detenuti in più rispetto alla capienza.
61.003 su sessanta milioni, è proprio il caso di dire che uno su mille ce la fa (e senza nulla dire sulla composizione della popolazione carceraria, perché qualche sospetto viene).

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Carla Capponi

Questa è una storia di coraggio, desiderio di libertà, eroismo. E, come capita, anche di miserabili.

Carla Capponi si unì alle formazioni partigiane di Roma subito dopo l’otto settembre e, poiché non intendeva limitarsi a fare la staffetta, nell’ottobre 1943 rubò la pistola a un milite fascista, mentre entrambi erano sull’autobus. Da allora compì più di quaranta azioni con i GAP romani contro le truppe tedesche di occupazione, senza lasciare tregua al nemico. Azioni in bicicletta, a piedi, di notte e di giorno, a Roma e in provincia, da sola e in gruppo, senza mai conoscere riposo e senza mai concedersi il gusto del compiacimento. Furono moltissime, attaccò con tre compagni il comando tedesco a piazza Barberini, assalì un corteo della GNR in via Tomacelli, partecipò all’attentato di via Rasella, attaccò un camion tedesco che stava per caricare alcuni condannati a morte a Regina Coeli. Nessuna resa mai.
Ma non solo con le bombe si fa la resistenza: in una incredibile notte dipinse un’enorme falce e martello sull’altare della patria e scritte di libertà in piazza di Spagna; poi salì sul colle e si gustò lo spettacolo della gente che al mattino si dava di gomito. gap_romaDiventò vicecomandante di una formazione GAP romana e salutò la liberazione come cosa anche sua, nel giugno del ’44. Sposò il comandante Paolo, ovvero Rosario Bentivegna, anche lui gappista a Roma e suo compagno di lotta prima che di vita. Diventò consigliere comunale e poi parlamentare del PCI per alcune legislature, non fermando mai la propria attività sul territorio per l’emancipazione delle donne e della popolazione delle borgate.
Fu insignita dal presidente della Repubblica della medaglia d’oro al valore militare, per “le più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo d’avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia dell’abitato della città di Roma” (dalla motivazione ufficiale), il che avrebbe dovuto chiudere per sempre le polemiche sull’attentato di via Rasella e sulla rappresaglia delle fosse Ardeatine. Non è stato così.
Carla Capponi è mancata nove anni fa, dopo aver scritto un libro di memorie bellissimo e onesto, ricco di vera umanità e di insopprimibile desiderio di libertà (“Con cuore di donna“), che consiglio davvero. Il comandante Paolo, invece, è ancora vivo e difende coraggiosamente, ancora, i diritti e la memoria dei giusti. Ed ecco la parte schifosa della storia.