A Bucine (Arezzo) i tedeschi accerchiano il castello di San Leonino, radunano la popolazione in piazza e poi fucilano nove civili.
Categoria: memoria
A San Pietro Bussolino (Vicenza) dieci civili vengono uccisi a seguito di diversi rastrellamenti.
A San Rocco, un isolato di Reggio Emilia, verrà trovato il corpo di Afro Tondelli (1924), operaio di 35 anni. Si trova isolato al centro di piazza della Libertà. L’agente di PS Orlando Celani estrae la pistola, s’inginocchia, prende la mira in accurata posizione di tiro e spara a colpo sicuro su un bersaglio fermo. Prima di spirare Tondelli dice: “Mi hanno voluto ammazzare, mi sparavano addosso come alla caccia”. Partigiano della 76a Sap (nome di battaglia “Bobi”), è il quinto di otto fratelli, in una famiglia contadina di Gavasseto. Sposato, è segretario locale dell’Anpi.
Davanti alla chiesa di San Francesco è Lauro Farioli, 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bimbo. Lo chiamavano “Modugno” grazie alla vaga somiglianza con il cantante. Era uscito di casa con pantaloni corti, una camicetta rossa, le ciabatte ai piedi: ai primi spari si muove incredulo verso i poliziotti come per fermarli. Gli agenti sono a cento metri da lui: lo fucilano in pieno petto. Dirà un ragazzo testimone dell’eccidio: “Ha fatto un passo o due, non di più, e subito è partita la raffica di mitra, io mi trovavo proprio alle sue spalle e l’ho visto voltarsi, girarsi su se stesso con tutto il sangue che gli usciva dalla bocca. Mi è caduto addosso con tutto il sangue”.
Intanto l’operaio Marino Serri, 41 anni, partigiano della 76a brigata si è affacciato piangendo di rabbia oltre l’angolo della strada gridando “Assassini!”: cade immediatamente, colpito da una raffica di mitra. Nato in una famiglia contadina e montanara poverissima di Casina, con sei fratelli, non aveva frequentato nemmeno le elementari: lavorava sin da bambino pascolando le pecore nelle campagne. Militare a 20 anni, era stato in Jugoslavia. Abitava a Rondinara di Scandiano, con la moglie Clotilde e i figli.
In piazza Cavour c’è Ovidio Franchi, un ragazzo operaio di 19 anni. Viene colpito da un proiettile all’addome. Cerca di tenersi su, aggrappandosi a una serranda: “Un altro, racconta un testimone, ferito lievemente, lo voleva aiutare, poi è arrivato uno in divisa e ha sparato a tutti e due”. Franchi è la vittima più giovane (classe 1941, nativo della frazione di Gavassa): figlio di un operaio delle Officine Meccaniche Reggiane, dopo la scuola di avviamento industriale era entrato come apprendista in una piccola officina della zona. Nel frattempo frequentava il biennio serale per conseguire l’attestato di disegnatore meccanico, che gli era stato appena recapitato. Morirà poco dopo a causa delle ferite riportate.
Emilio Reverberi, 39 anni, operaio, era stato licenziato perché comunista nel 1951 dalle Officine Meccaniche Reggiane, dove era entrato all’età di 14 anni. Era stato garibaldino nella 144a Brigata dislocata nella zona della Val d’Enza (commissario politico nel distaccamento Amendola). Nativo di Cavriago, abitava a Reggio nelle case operaie oltre Crostolo con la moglie e i due figli. Viene brutalmente freddato a 39 anni, sotto i portici dell’Isolato San Rocco, in piazza Cavour. In realtà non è ancora morto: falciato da una raffica di mitra, spirerà in sala operatoria.
(riferimento).
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[audio:http://www.trivigante.it/public/tregenda/wp-content/uploads/2010/07/Fausto-Amodei-Per-i-morti-di-Reggio-Emilia.mp3|titles=Fausto Amodei – Per i morti di Reggio Emilia]Il 30 giugno 1960 la Camera del Lavoro di Genova convocò una manifestazione in risposta alla decisione dell’MSI di organizzare il proprio congresso nella città ligure, città decorata con medaglia d’oro della Resistenza. Non era certo la prima manifestazione di protesta contro il congresso fascista, e non sarebbe stata l’ultima. Già nei giorni precedenti a Genova si registrarono scontri tra forze antifasciste e polizia, il 25 e il 28, e la polizia caricò duramente su indicazione precisa del Presidente del Consiglio. Il Governo, infatti, era un monocolore democristiano che aveva ottenuto la fiducia grazie ai voti determinanti dei missini. Va da sé che intendesse stroncare ogni forma di opposizione agli alleati.
Lo stesso Pertini, presente a Genova il 28, disse a proposito delle manifestazioni di protesta: «La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente».
A Castelnuovo dei Sabbioni e Meleto (Arezzo) reparti della divisione Göring in ritirata sterminano duecento civili, per bonificare il territorio: i cadaveri vengono ricoperti di mobili e materiale infiammabile e bruciati.
A Crespadoro (Vicenza) venti civili, tra cui sette donne, vengono fucilati dai tedeschi.
A Castellarano (Reggio Emilia) per vendicare la morte di due camerati, vengono bruciate cinque case e uccisi tre civili.
A Monte San Savino (Arezzo) un civile viene torturato e ucciso perché accusato di aver portato aiuto a prigionieri di guerra.
A Civitella della Chiana (Arezzo) reparti della divisione Göring in ritirata uccidono duecentotre civili, tra cui anziani, donne e bambini, accusandoli di aver aiutato le formazioni partigiane.
A Montemignano (Arezzo) i tedeschi catturano cinque civili e li uccidono dopo averli seviziati.
A Castel San Pancrazio (Arezzo) quindici civili vengono fucilati dai tedeschi.
A Piandaro (Lucca) i tedeschi, in rappresaglia alla morte di due portaordini, uccidono dodici civili.
A Guardistallo (Pisa) reparti tedeschi in ritirata si scontrano con i partigiani: i soldati tedeschi irrompono in alcune case coloniche rastrellando numerose persone, in uno spiazzo vengono fucilati undici partigiani e quarantasei civili.
A Bucine (Arezzo) i tedeschi accerchiano il castello di San Pancrazio, uccidono dodici civili che si erano nascosti e rinchiudono sessantacinque donne e bambini in una cantina; poi li fanno uscire uno alla volta, li freddano con un colpo di pistola e ne bruciano i cadaveri.
Ciro Principessa
Il 19 aprile 1979 Claudio Minetti, figlioccio di Stefano delle Chiaie, frequentatore assiduo dell’MSI di Acca Larentia, proprietario di una bella storia intrisa di canzoni del fascio e di fede cieca nel Duce, entrò nella biblioteca della sede del PCI di via di Torpignattara con un coltello nei pantaloni.
Ciro Principessa, compagno militante, era tra coloro che credevano nel riscatto culturale delle periferie borgatare e per questo si dedicava anima e corpo alle attività in sezione: quel giorno era al banco della biblioteca circolante. Chiese un documento di identità a Minetti, procedura normale per il prestito, e al rifiuto di questi cercò di farlo allontanare: il neofascista arraffò il primo libro a tiro e scappò in strada. Principessa, perché è anche alle piccole ingiustizie che bisogna ribellarsi, lo inseguì e lo raggiunse: nella colluttazione fu accoltellato, in mezzo alla strada.
Sebbene a prima vista non sembrasse grave, Ciro Principessa morì il giorno dopo, in ospedale, a ventitre anni. Minetti, preso in un bar, fu dichiarato incapace e condannato a dieci anni di manicomio giudiziario. Lo stesso giorno, esplosero quattro chili e mezzo di tritolo davanti al Palazzo Senatorio in Campidoglio, davastandone il portale, l’arcata e le colonne di sinistra, danneggiando il basamento del monumento a Marco Aurelio: per caso, la piazza era vuota a causa di un violento temporale. Tra le rivendicazioni, il “Movimento rivoluzionario popolare” (Mrp) che fece riferimento esplicito all’arresto di Minetti.
Principessa morì per riprendersi un libro e per difendere un principio. Progetto memoria e antifascismo di Roma propone un concorso per ricordare Ciro Principessa: un racconto di non oltre trentamila battute da inviare entro il 20 marzo 2011 a premioc.principessa@tiscali.it.
Per chi fosse interessato, i dettagli nella locandina.