Graziesignore, grazie. Let der bi laaait!
Autore: trivigante
Il SISDE, il servizio segreto civile italiano, entrò in servizio nel 1977, figlio del servizio segreto precedente, ed è rimasto in funzione fino al 2007, rinominato in altro (AISI) con la legge di due anni fa. Diciamo che si è fatto quasi tutti gli anni belli, in compagnia dell’omologo SISMI, del CESIS e dei servizi segreti dei corpi dello stato. Ma non è questa la prima suggestione.
La prima riguarda il nome: l’acronimo SISDE sta per “Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica”, laddove con evidenza l’aggettivo penso sia da intendersi come “affabile, alla mano” piuttosto che “della democrazia”, come la storia pare dimostrare. Secondariamente, il motto del servizio è “Per aspera ad veritatem”, variazione del più celebre “Per aspera ad astra” ideato da Seneca e oggi motto della Flotta stellare di Star Trek, nel quale motto l’obbiettivo, la “veritatem”, non pare essere stata in cima alle priorità del servizio. Ma si sa, i motti si posson scegliere con libertà, non è che poi si debbano seguire pedissequamente. Alla Valfrutta, per esempio, la frutta sarà davvero sempre sempre di prima mano? Non credo.
Tsutomu Yamaguchi, progettista di petroliere dei cantieri navali Mitsubishi di Nagasaki, fu mandato il 5 agosto 1945 a Hiroshima per lavorare qualche giorno in trasferta. Il 6 agosto alle 8.15, mentre si recava alla stazione dei treni di Hiroshima, fu investito dall’esplosione di Little Boy. Ustionato e ferito ma non gravemente, fu ricoverato per ventiquattro ore in ospedale, curato, e dimesso. Il 7 agosto 1945 tornò a casa, a Nagasaki: si prese un giorno di convalescenza e il 9 agosto tornò al lavoro in ufficio. Mentre raccontava ai suoi colleghi la distruzione di Hiroshima, cui non credette quasi nessuno, alle 11.02 scoppiò Fat Man, ancora a meno di tre chilometri dal tecnico giapponese. Oggi ha 93 anni e pare sia un po’ sordo da un orecchio. (Rif.)
(E’ che non ha mai viaggiato molto, altrimenti avrebbe potuto visitare Dresda, Hanoi, Pearl Harbor, Mururoa, Ground Zero, Piazza Fontana, la Stazione di Bologna, il deserto del Nevada, la Moneda, l’Afghanistan, l’Iraq, Beirut, l’Iran, Gerusalemme, Londra, Madrid e così via. A dire il vero, però, Tokyo l’ha mancata per poco).
un momento difficile per tutti
(Budapest) Le forze democratiche europee, specie se aggregate in forma di “Unione”, conoscono un momento poco brillante anche a est. Di certo, invece che asinelli e progressismi, l’insegna acciaiosa di design moderno aiuta a immaginare un futuro migliore e un sol dell’avvenire poco amichevole ma molto molto cool.
La porta, legnosa e doppia, invece, è il legame con la tradizione.

Un’apposita commissione, quadriformata da specialisti nel settore, si è recata nel centro di Budapest per verificare l’attendibilità di alcune informazioni pervenute in centrale: fonti bene informate riferivano che Gerbeaud, la più nota pasticceria del centro di Budapest centrale, avesse in menu almeno quaranta tipi di torte diverse a disposizione del cliente ipoglicemico. Non è mia abitudine lasciare che voci di questo genere circolino incontrollate, ragion per cui si è imposta una verifica sul campo (di cui documentazione scientifico-fotografica alla fine).
Io, uno scienziato chimico, un poeta stonato e uno “zombie” (così in gergo della scienza si chiamano le persone dipendenti da glucosio cui sottoporre l’assaggio di una torta per determinarne il grado di alterazione con dolcificanti estranei) ci siamo dunque travestiti da vagabondi, per non suscitare sospetti, e ci siamo recati nel sancta sanctorum del vizio gustoso: superato il primo ostacolo costituito da cameriere bionde e belle e sorridenti e alte e più furbe delle guardie addestrate, in una saletta dorata di stucchi e rossa di velluti abbiamo ordinato le prime quattro fette di torta, tutte ovviamente diverse, e un tè per non dare nell’occhio.
Al mio comando (“camm-bioh”), ognuno di noi, dopo aver degustato un quarto di fetta, faceva ruotare il piatto verso il vicino di destra, fino al compimento del giro in quattro quarti. Dopo una Dobos, una Gerbeaud, una Esterházy e una Mogyorós sacher, secondo giro: una Borkrémtekercs, un Budapest szelet, una torta alle mele dal nome ignoto, un Gyumolcsos, sotto gli occhi divertiti della cameriera che ci credeva ancora dei turisti. Non lo abbiamo fatto per il nostro piacere ma per la scienza e in nome della verità.
Al terzo giro l’inganno è venuto alla luce: le torte disponibili non sono nemmeno dodici, bensì di meno, molto lontane dal numero che sussurrava la leggenda e dal numero che eravamo disposti a testare. Certo, esistono tante paste e pasterelle che, però, altro non sono che variazioni più piccole di torte complesse. Ma quaranta, via… Forse nemmeno quelle avrebbero sedato il famelico “zombie”, deluso come una casalinga di Forza Italia che non è riuscita a scorgere nemmeno la pelata del capo.
E un altro caso è risolto. Resta il rammarico che, una volta ancora, certi sogni vengono svelati e si rivelano illusioni, e la realtà risulta essere dura, davvero dura. A margine della ricerca scientifica, segnalo che la torta vincitrice tra tutte, la torta Esterházy, è stata eletta all’unanimità dal consesso, seppur dopo una dura lotta, e soltanto dopo numerose votazioni. Fatto che ci ha costretto a tornare alla pasticceria sabato 21 (due volte), domenica 22 (una volta) e lunedì 23 (tre volte). Per essere sicuri.






Finalmente tra un’ora sarà il momento, dopo otto anni di attesa e quattro mesi di spasmo con biglietto in mano. Fatto il pieno di gulash del demonio, ora è tempo di rock a orrovolume:
Se avete più di quindici anni e non capite davvero cosa possa animare il cuoricino di un satanista rock, abbiate pazienza, fate la faccia condiscendente, evitate di manifestare la vostra incomprensione qui e, soprattutto, evitate di ripassare da queste parti per un po’, visto che al mio ritorno sarò tutto imbestemmiato dall’estasi concertuale e parlerò a lungo con tono rapito.
le mille vie alla politica
In America, mi dicevo, le Frattocchie non le hanno mai avute. E quindi, mi chiedevo, come si formano alla politica? Cioè, ce le hanno le scuole per prepararsi al congresso, al senato, al governo degli Stati? Secondo me no, non hanno niente di simile.
Poi ho considerato il caso di Arnold Schwarzenegger (attuale governatore della California), di Jesse Ventura (governatore del Minnesota dal 1999 al 2003) e di Sonny Landham (sconfitto di poco alle elezioni per il governatorato del Kentucky) e mi sono dovuto ricredere. Eccoli:
Tutti e tre si sono formati qui. Per cui, se Frattocchie i suoi bei disastri li ha fatti e i tizi di – scusate la parola – Forza Italia non sanno nulla di nulla e a nulla servono, comunque mai lamentarsi. Mai. C’è sempre chi sta peggio.
In assoluto, il primo film proiettato alla prima edizione della mostra del cinema di Venezia (allora: 1ª Esposizione internazionale d’arte cinematografica della Biennale d’Arte) fu Il dottor Jekyll, film del 1931 del regista armeno naturalizzato americano Mamoulian. Il suo film è il quindicesimo ispirato al romanzo di Stevenson ma il primo film del genere con il sonoro e fu proiettato il 6 agosto 1932 al Lido; poi seguì un gran ballo, di quelli veri, all’Excelsior. La locandina del film, qui a destra, è strepitosa: illustra la trasformazione, trasmette lo stupore, esprime lo sconcerto (“Dio onnipotente!”) con tanto di translazione scritta, la luna piena regna in ciel e, allusione a Stevenson?, un faro compie il suo lavoro su un muro.
Il paròn della mostra fu il Conte Volpi di Misurata, dal cui nome due informazioni: Misurata è una città sul golfo della Sirte e il fatto che il signore qui sopra ne fosse conte illumina sulla sua fede fascistissima (nobiltà burocratica e criminale, di bassa tacca, come se fosse il duca di Belo Horizonte); secondo, dal nome si trae spiegazione della Coppa ancora oggi tributata al miglior attore (e attrice), Volpi appunto.
fasci littorini (stronzi in gita)
Presi il tascapane, il moschetto, il fez e lo stivalone, tutti in gita:
– ritrovo in piazza Oberdan al canto del gallo e al grido di “menefrego” cacciare la quota di sessanta euri per mascella;
– partenza fassistissima in corriera e allegri canti patriottici dell’Impero, niente sosta all’autogrill perché luogo demo-pluto-benza-molle, e poi le cassettine con la musica già le abbiamo;
– arrivo in mattinata al sacrario della RSI a Ponti sul Mincio, la Piccola Caprera, per onorare i caduti della Repubblica sociale con i labari e tutti sull’erta, con allegria sì cameratesca ma con un bel po’ di rispetto;
– momento de curtura, con l’impalata visita al Museo Reggimentale del Battaglione di Bir el Gobi, comandato dal fascione Fulvio Balisti (il battaglione, non li museo), in cui condividere momenti di fragoroso rispetto;
– visita al vialetto “l’erta del ricordo” e, tra le siepi e il ciottolato imperiale, i nostri cuori in alto per i caduti della X MAS (Decima MAS, non il Natale);
– condivisione del rancio subito dopo l’alzabandiera che si sta tutti belli ritti come sempre;
– visita al cimitero germanico di Costermano, dove riposano ventiduemila caduti germanici della seconda guerra mondiale (perché Predappio ci tocca stare via la notte);
– ritorno nel pomeriggio sera sempre via corriera fino a piazza Oberdan; chi non sa tornare a casa da solo, si faccia venire a prendere.
Per partecipare alla festosa iniziativa, contattare il sindacato di destra UGL, sezione Vigili del Fuoco, sede di Trieste, nella persona del camerata Franco Paoli, che vi consegnerà di persona la coccardina per poter salire sull’autobus e un foglio con le belle istruzioni. Istruzioni anche disegnate. Aderite numerosi e convinti.
(Tutto questo per dire che la prossima volta che vi prende fuoco la casa pensateci bene prima di chiamare il 115).
i suggerimenti senza amore
A me le robe su base statistica mi vanno un po’ traverse. Perché non c’è amore, non c’è cura.
Mi spiego: il fatto che io abbia una età X e che corrisponda, ipoteticamente, a un certo profilo di consumo, non implica che io sia felice quando ricevo in posta grumi di depliants di carte di credito gold e superplatinum; allo stesso modo, se un commesso non viaggiatore (ma in odore di morte) mi vede e mi propone l’acquisto di una tuta da ginnastica da antenato di un para-rapper, un filo mi irrito. E odio tutti i tipi di tessere che puntano a fare di me un amico fedele in cambio di sconti micragnosi (e poi si vendono le mie preferenze in fatto di latticini), non clicco mai sulle inserzioni in rete, evito i questionari, disprezzo chi pubblica sondaggi sui giornali e prima o poi passerò a fil di lama chi pubblica dati statistici in campo sanitario sui quotidiani, vigliacchi senza coscienza.
Comunque, ‘sta sbrodolatina per venire al fulcro dell’esperimento di oggi: messi gli occhiali vedo-rosa, che ogni esperimento fan ben venire, e chiuse le tende del laboratorio-soggiorno ho testato con la bellezza di sei prove i suggerimenti di ricerca di Gugol. Quelli che se digiti l’inizio della parola/e che stai cercando, appaiono tutti in fretta sotto la casella di ricerca, secondo un percorso illogico riconducibile solamente alla statistica casuale della cippa: ho un’idea vaga di quale dovrebbe essere la loro utilità ma non ne conosco utilizzo pratico sensato.
Ecco le parole-test con cui ho titillato il motore di ricerca: quando, perch (c’è una ragione), chi sono, fare, how (vorrei essere pubblicato su riviste scientifiche internazionali), uccidere.
I risultati offrono elementi interessanti: il 60% delle ricerche sono iperfutili e il resto fondamentali (“quando“), nessuna via di mezzo; se la parola è “perch“, la poesia dei risultati sulla rositudine dei fenicotteri è insuperabile, alla faccia di emule rotto; saluto felicemente il pareggio sostanziale tra palestinesi ed ebrei al test “chi sono“, con buona pace di chi cerca sé stesso; il fatto che la tecnica per fare il pane superi le ricerche su come fare l’amore (voce “fare“) è un sintomo preoccupante? Meglio il pane o l’amore? La versione internazionale (“how“) mi aveva mandato in visibilio con la prima voce, evidenziata, finché non ci ho cliccato sopra e ho scoperto che si tratta di un telefilm: sono molto deluso; infine, “uccidere“, oltre alla doppia variante dello stesso concetto (maiale e Berlusconi) mi rapisce al pensiero di “uccidere virgola”.
E ora, cari scienziati colleghi, i risultati in dettaglio:






Una bella chiusa informativa, oltre a tutto: cari cercatori di Gugol e caro Gugol stesso, vi informo ufficialmente che “perché”, sia come congiunzione che come sostantivo che come avverbio, si scrive con l’accento acuto e non con quello grave, perché perché perché. Cazzo, l’accento, maledizione, fanculo, ora vi cercherò e poi, sapetevelo, morirete.