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il nulla nemici

filosofi rinciuliti e i colori immaginari dei managers

Nel 1995 la Fiat, casa automobilistica celebre per i rottami che ha messo in circolazione e per gli aiuti di Stato incamerati senza batter ciglio, mise sul mercato una doppietta di bidoni: la Bravo e la Brava. In pratica, la Tipo limata qua e là, anche se, a ben guardare, sotto ogni Fiat giace nascosta l’indistruttibile 128. A dirla meglio, “una coppia bisessuata di automobili nata da un unico ceppo ermafrodito, attraverso un processo che, se fosse stato scoperto precedentemente, avrebbe permesso alla casa-madre che l’ha concepita una ben maggiore proliferazione di modelli: per esempio, Punto e Punta, Uno e Una, Topolino e Minnie” (Guido Viale, Tutti in taxi, 1996).
Presentate in un tripudio di lambertodini e pippibaudi festanti, le due auto furono il parto di menti manageriali debilitate dalle ricerche di mercato e da un certo qual giovanilismo che così stride nei sessantenni a cavallo delle tendenze: ossia, i padri morali e forse biologici del mostriciattolo Lapo. Quelle menti manageriali concepirono per la Bravo “fianchi muscolosi e aggressività nelle forme” e per la Brava “linee morbide e ampiezza degli spazi”: parole a caso, come la realtà insiste a dimostrare (bella foto a destra). Chiaro, poi, il parallelo sotteso con le caratteristiche del genere maschile e femminile della razza umana o, almeno, con l’idea sessista che brancola al di qua dei finestroni del Lingotto.

Ma il meglio viene ora. Gli stessi managers progettarono la gamma dei colori, “tutti esclusivi, di forte e piacevole impatto, in linea con la personalità di ciascuna” (ricordo che si parla di auto, parallelepipedi di latta con dentro della plastica senza personalità, allacciate le cinture e tenetevi forte): per la Bravo il rosso smalto, il bianco, il rosso Antonelli, il blu forest, il black ink metallizzato, il grigio graphite, il rosso fiamma metallizzato, il verde Susa metallizzato, il blu veneziano metallizzato, il blu Regent metallizzato, l’avorio Juvarra metallizzato, il grigio promis metallizzato, l’erica metallizzato; per la Brava, oltre al nero, il bianco e il rosso smalto, il grigio Sassi metallizzato, il rosso boreale metallizzato, il verde reflex metallizzato, l’azzurro zenith metallizzato, il blu heraldic metallizzato, il giallo Superga metallizzato, il grigio Degas metallizzato.
Menti allo sbando per colori immaginari: non dico Goethe o Newton, ma sfido chiunque a identificare uno qualsiasi dei colori qui sopra, Pantone alla mano. Chi scopre cosa sia il rosso boreale metallizzato o il giallo Superga metallizzato vince un cappello con dentro i corvi.

In quel tripudio di neuroni gongolanti, Gianni Vattimo, torinese e dunque persona qualificata, non perse l’occasione di dire la sua (marchettona o rinciulimento? Resta sempre il dubbio) e proferì le seguenti parole su La Stampa (sempre lì si sta): “Siamo troppo ottimisti se pensiamo che ritrovando l’importanza della superficie, dei colori (…) il mondo della produzione faccia un piccolo passo verso la riscoperta dell’anima?”.
Nonostante Vattimo non perda mai occasione di dimostrarsi l’alfiere del pensiero debole, qui non è questione di ottimismo – e già ce ne vorrebbe molto – né, tantomeno, di anima, bensì di dismissione e rottamazione dei cervelli senza nemmeno gli incentivi, di scatole craniche stagnanti arruolate alla causa del boh. Che dire? Niente, resto annichilito di fronte a tanto nulla color maròn Manzoni opaco smetallizzato.

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memoria

balle al fronte

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l’esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera!

Peccato che fummo noi ad attaccare.
(Giovanni Martinelli canta La Canzone del Piave nel 1918)
[audio:http://www.trivigante.it/public/tregenda/wp-content/uploads/2010/05/Giovanni_Martinelli_-_La_Leggenda_del_Piave.mp3|titles=Giovanni_Martinelli_-_La_Leggenda_del_Piave]

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estasi trivigantismi

la poesia e la sedia (J. Rodolfo Wilcock)

Il sommo e mai troppo ricordato J. Rodolfo Wilcock, presenza imperitura nell’olimpo dei maestri venerati da trivigante, in un libretto-raccolta pubblicato l’anno scorso, “Il reato di scrivere”, spiega che senza dubbio i vertici della poesia – ossia di un prodotto che non si produce più – furono certo con Dante. E lui fu il punto più alto “di qualcosa che si chiamò poesia, in un ciclo ormai chiuso”. E non si illudano i poeti posteri di avere anche solo vagamente sfiorato i confini di un ciclo esaurito già nel Settecento: ora è impossibile, per qualsiasi uomo che si nomini poeta, aggiungere qualcosa.
Ecco cosa dice Wilcock:

“Non perché non lo sappiano fare, bensì per la mancanza sia di movente che di scopo nel farlo; è ovvio che un fabbricante di sedie, consapevole che il mondo è pieno di sedie eterne, e che altre sedie non servono, comincerebbe a fabbricarle, per risparmiare, dapprima senza zampe, poi senza schienale, poi prenderebbe un sasso e lo dichiarerebbe sedia, poi un ramo secco, o una bottiglia, e infine lascerebbe perdere il problema sedie, non ci penserebbe più. E’ anche possibile che finisca col sentire un certo fastidio di fronte a una sedia vera”.

Ma, prosegue, “il resto della gente seguiterebbe a servirsi delle sedie pre-esistenti”. Meglio di così, non saprei come.
(Wilcock si trasferì in Italia dall’Argentina nel 1957 e scrisse in italiano tutti i suoi libri successivi. Scrisse su molti giornali e celebri sono le sue recensioni di spettacoli che non aveva visto e di libri che non aveva letto. Chiese la cittadinanza nel 1975 e gli fu concessa nel 1979, un anno dopo la morte. Nemmeno quando vengono da noi li sappiamo riconoscere).

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estasi

oh no, un’altra volta

Il 19 maggio è successo ancora. L’adolescente che c’è in me va nutrito, è un fatto.
Per non tediare gli agnostici, i videi li ho messi qui. Basti raccontare che prima, a supporto, dopo due onesti gruppi di hard rock, hanno suonato degli impresentabili tizi chiamati “Le vibrazioni” e il pubblico, tutto, in risposta gridava: “morte”. Uno spasso.

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memoria

18 maggio 1944: il calendario della memoria civile

Al Passo del Turchino (Genova e Alessandria) cinquantanove civili fucilati dai nazisti, tra cui alcuni renitenti alla leva che si erano nascosti nel convento della Benedicta.

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estasi

toh, guarda chi c’è

Paolo Villaggio, da sempre, ha una prerogativa irresistibile ai miei occhi: non è un ipocrita e, anzi, è perfido e cattivissimo a seconda dell’uzzo.
Il che, nel suo ambiente di lavoro, lo ha reso piuttosto impopolare, almeno agli occhi di coloro che, miserabili, venivano poi sonoramente presi per il culo dallo stesso Villaggio nei suoi film: attorucoli, puttanieri, signorine idiote, leccaculo, arrivisti dell’ultima ora. Per non dire dei miti santificati della sinistra, vedasi la corazzata. Inutile dire che ne vado pazzo.
Un aneddoto significativo raccontato da lui medesimo, che ha per protagonista suo fratello Piero.

Negli anni della scuola, Villaggio e suo fratello tornavano da scuola all’una e regolarmente incontravano un inquilino che prendeva l’ascensore con loro. Per anni i due ragazzetti non gli rivolsero mai la parola, mai un saluto, mai uno sguardo. Il vicino, una volta, fermò Piero e gli domandò come mai non l’avessero mai salutato nell’ascensore, mai preso in considerazione, quali fossero le ragioni.
Piero, puro genio pure lui, rispose: “Mi scusi, non l’avevamo visto”.

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memoria

Lena e Medgar

Mi permetto di segnalare due persone: Lena Horne e Medgar Evers.
Horne è stata cantante, attrice, attivista per l’affermazione dei diritti civili dei neri, militante, bellissima e discriminata per il colore della pelle, non si tirò mai indietro quando c’era da metterci la faccia. Evers è stato anche lui un militante, un leader nella lotta contro i razzisti americani, fu ucciso in quell’anno tragico che fu il 1963 (anno di cui bisognerà riparlare, perché Kennedy fu un solo momento), vittima di un paese retrivo e agghiacciante. Due storie simili per molti versi, ho pensato valesse la pena raccontarle, in qualche modo (e andranno ampiamente revisionate), forse anche in omaggio a Lena Horne, morta domenica scorsa. Se vi va, non stanno qui ma stanno là, dove sono più utili.

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trivigantismi

59 secondi di… approccio primaverile

Approccio rivelatosi fallace, come spesso succede di primavera. Ma ora dell’estate capitolerà, è un fatto. Insisti.
Per l’ennesima puntata di “59 secondi di…”, la rubrica più bismuta della casa circondariale, Siu manda un altro episodio fatto di soli cinquantanove secondi di qualsiasi cosa venga in mente a me o a voi, che abbia o meno un qualche significato intrinseco e che abbiate voglia di immortalare. Possibilmente con i mezzi più ridotti possibile.

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nemici

suggerimenti per la deepwater horizon

Prosegue il disastro della Deepwater Horizon nel golfo del Messico (a proposito, nome molto azzeccato per una piattaforma petrolifera affondata) e la sensazione diffusa è che né la BP né il governo americano sappiano che pesci pigliare. Che poi di pesci non se ne vedono più molti, da quelle parti. Eppure, mi dice una fonte informata, la soluzione a portata di mano ci sarebbe: la Fluidotecnica di Sanseverino. Per dirne una, immagino.
Come che sia, la BP supera sé stessa e si lancia in iniziative estemporanee: da un lato, come racconta il Daily Beast, pare stia cercando di comprare i pescatori della zona affinché non avanzino una class action, dall’altro sta escludendo dalle operazioni tutti i volontari delle associazioni ambientaliste, e non ancora paga ha pure aperto un sito internet per raccogliere idee riguardo la soluzione del disastro, con tanto di numero verde 24/7. “Perché là fuori ci sono un sacco di buone idee”, dicono alla BP. E’ vero, peccato siano là fuori e non qui dentro.
Comunque, non ho dubbi che il suggerimento più gettonato sia (e mi si perdoni il francesismo): “posate la campanona sul fondo, collegate il tubo per pompare il petrolio e ficcatevelo su per il culo”.

(promemoria) lavori da non fare: il telefonista al centralino di BP.

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nemici

il signor Ademi e la Pubblica Amministrazione italiana

Con decreto del 6 maggio 2009, la presidenza del consiglio dei ministri istituisce Postacertificat@, ossia il servizio di posta elettronica certificata per le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione. Chi ne ha diritto? Dice il governo: “Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 maggio 2009 stabilisce che, a ciascun cittadino che ne faccia richiesta, il “Dipartimento per la digitalizzazione della PA e per l’innovazione tecnologica” assegni a titolo non oneroso un indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC)”.
Naturalmente tra il decreto e la realizzazione ci vuole almeno un anno, comunque il 26 aprile scorso il servizio entra in funzione. Il giorno stesso il signor Ismail Ademi, nato in Albania ma residente ad Arezzo da tredici anni e decisamente integrato (visto che lui, almeno, le tasse le paga), decide di richiedere una casella di posta. Ecco cosa è successo:

“La procedura mi impediva la registrazione, facendomi notare un errore di tipo generico, dal quale non evincevo il motivo. Allora ho chiamato il numero verde e subito non ho potuto comunicare, in quanto diceva : “digitare 1 se è cittadino, digitare 2 se è una pubblica amministrazione”. Dichiarando virtualmente il falso, ho digitato 1 e la voce del telefono mi ha spiegato che il servizio è riservato solamente ai cittadini italiani maggiorenni”.

Ovvero: il signor Ademi in qualità di residente è tenuto a pagare le tasse, ad aprire una posizione lavorativa all’INPS, a registrare il proprio contratto d’affitto o di compravendita, a rinnovare il permesso di soggiorno, a regolarizzare i propri contratti di utenza eccetera eccetera, e quando richiede uno strumento, banalissimo, per farlo gli viene risposto di no.
Perché non è un cittadino.
Il signor Ademi, giustamente, si è incazzato e ha scritto a Brunetta, il quale ha risposto: “Oggi l’estensione del servizio Postacertificat@ a chi, straniero, risiede in Italia è impedita dalle previsioni di legge. E’ tuttavia mia intenzione modificare quanto prima questa situazione. Fin dai prossimi giorni presenterò al Parlamento una modifica normativa che dia la possibilità di usufruire del servizio a tutti coloro che, lavorando onestamente, contribuiscono alla crescita del nostro Paese”. Aspettiamo.
La domanda, però, è: non ci avevate pensato? Siete così impreparati, ministro, da non aver preso in considerazione la posizione di cinque milioni di stranieri che vivono in Italia? Siete distratti? Ancora: è sempre necessario che qualcuno si alzi in piedi e si incazzi per ristabilire norme corrette e paritarie? E infine, visto che cita il lavoro onesto: Cuffaro può richiedere la casella di Postacertificat@? A lui la date?