Per la rassegna dei patrii monumenti cui arrise la mano felice dello scultore, oggi è il turno di Gussago.
Consacrato agli alpini, che dalla veglia in armi passano alle opere di pace, il monumento, caratterizzato per armonia ed eleganza, mi consta di: padellone parabolico per la ricezione della televisione svizzera, cavettone arcuato di connessione con l’antennone analogico per la ricezione dei canali locali di televendita di tappeti, pennone monco con bandiera invisibile e miniatura dell’empire state building liquefatto alquanto, in primo piano. Secondo quanto mi hanno detto in Comune, è prevista l’aggiunta del decoder entro la primavera duemilaundici.
Tecnologia acciaieristica applicata alla tradizione delle forze armate, nel corso dell’annuale festa degli alpini il padellone viene utilizzato per la preparazione del vin brulé in quantità spasmodica, necessaria allo svolgimento soddisfacente della festa. Utile e dilettevole.
Nel 1961 De Laurentiis spedì il giovane Goffredo Parise negli Stati Uniti, con l’incarico di procurargli un soggetto cinematografico. Parise non tornò con un’idea per un film ma fece quello che sapeva fare meglio: il reportage di viaggio.
Era l’inizio degli anni Sessanta e degli Stati Uniti circolava un’immagine piuttosto oleografica e poco distinta, Kennedy era appena stato eletto, la baia dei Porci era dietro l’angolo e da noi si vedeva “La battaglia di Alamo” di John Wayne. Un po’ poco per capire davvero.
Parise rimase molto colpito da quel viaggio, parlò di uno “choc conoscitivo”, e scrisse alcuni articoli al riguardo, rivolti ai lettori italiani che così poco conoscevano del paese che – Parise già lo intuiva chiaramente – avrebbe radicalmente condizionato la vita culturale e politica di tutti noi. Non era così evidente, allora. Parise, che era capace del miracolo dell’analisi e della sintesi, scrisse un breve prologo nel quale anticipava i temi che avrebbe poi trattato negli articoli: l’horror vacui, la pornografia, la selezione naturale, il consumo, quel che resta dell’arte figurativa, la nuova cultura popolare americana. Gli elementi, cioè, più interessanti per un europeo in trasferta.
Come promesso nel titolo del post, Parise fece nel prologo sei considerazioni sintetiche sugli aspetti degli americani che colpiscono di più un europeo per differenza. Considerazioni che valgono, da sole, molto più di qualsiasi summa di Furio Colombo. Le riporto, perché rivelatorie ancora oggi, oltre che illuminanti allora.
1) La totale assenza di radici. E’ strano, dopo duecento anni di vita nazionale: eppure il vacuum perseguita quel paese come una maledizione e l’uomo prova l’horror di stare poggiato sull’etere, sul nulla, dentro il territorio della solitudine più tragica e alle frontiere della disperazione.
2) L’american way of life è, e sarà sempre di più negli anni futuri, il modello di vita per una sempre maggior parte della popolazione occidentale, specialmente italiana.
3) Là il cittadino medio americano non ha alcuna coscienza di classe; non perché le classi, come vedremo, non esistano. L’uomo medio americano ha subito come una sorta di lobotomizzazione storica e politica e non si rende conto della propria identità politica, delle differenziazioni e discriminazioni sociali e razziali, enormi, che esistono nel proprio paese. E’, al tempo stesso, mansueto collettivamente, violento individualmente.
4) Il popolo americano, dall’uomo più ricco al più povero, manca completamente del senso di proprietà nei confronti del proprio corpo e della propria persona, mentre ha un fortissimo senso, supersviluppato, della proprietà delle cose. E’ assetato e talvolta ricco di prestigio sociale ma è poverissimo e molte volte nullatenente, di dignità.
5) L’America di oggi, dopo la guerra in Vietnam e con l’immenso sviluppo della pornografia e della pornografia criminale è, dopo secoli, la prova della sconfitta di Calvino e di Lutero e della vittoria, dopo secoli, della Controriforma.
6) La nascita di una nuova, misteriosissima e simbolica scrittura, tra grafica e figurativa, che non comunica nulla. Sui vagoni del subway, sui muri, sui box della posta, su furgoni e camion appaiono segni tracciati con bombole spray o con pennarelli giapponesi: sono belli, non hanno alcun connotato stilistico individuale, non significano nulla. E’ la scrittura anticomunicativa per eccellenza: è bella e muta.
Quasi premonitorio, se il dirlo non togliesse qualche cosa alla capacità di Parise di comprendere la realtà non ancora evidente, in Cina come in Laos come a New York. Il libro è: Goffredo Parise, New York, Milano, Rizzoli, 2001.
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