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estasi

gnacche alla formica ammucchiarona

Già si disse del lonfo, di Fosco Maraini e del suo genio eclettico, che tanto sollucchero barigatta a tutti noi qui, intraccati a ludiare.
E’ la poesia metasemantica, ossia la capacità fonetica delle parole di evocare immagini e concetti: per questo, consiglio di leggere ad alta voce, con calma, trovando il giusto ritmo cucumbeo. Dopo il lonfo, dunque, oggi tocca alla formica ammucchiarona, quella che “mette via, che ammucchia e che, diciamolo francamente, rimane anche un goccino sui coglioni”.

E gnacche alla formica…, di Fosco Maraini

Io t’amo o pia cicala e un trillargento
ci spàffera nel cuor la tua canzona.

Canta cicala frìnfera nel vento:
E gnacche alla formica ammucchiarona!

Che vuole la formica con quell’umbe
da mòghera burbiosa? E’ vero, arzìa
per tutto il giorno, e tràmiga e cucumbe
col capo chino in mogna micrargìa.

Verrà l’inverno sì, verrà il mordese
verranno tante gosce aggramerine,
ma intanto il sole schìcchera giglese
e sgnèllida tra cròndale velvine.

Canta cicala, càntera in manfrore,
il mezzogiorno zàmpiga e leona.
Canta cicala in zìlleri d’amore:
E gnacche alla formica ammucchiarona!

(da “Gnosi delle Fànfole”, 1978; ne esiste una versione cantata da Bollani e Altomare qui. Di Maraini si possono leggere tante cose interessanti, tra cui “Case, amori, universi” a poco più di un centesimo a pagina, quasi un insulto).

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