Bertelli, Bertelli, l’Ambergris che profuma la tua giornata, la Venus che ti colora la passiòn, insomma Bertelli invece delle marche straniere maledette.
Mese: Agosto 2009
Di via Rasella ho già parlato altre volte (qui e qui, per esempio) e la vicenda è ormai acclarata. O dovrebbe esserlo, in un paese decente.
Così non è (perché non viviamo in un paese decente con gente decente), come accadde per l’apertura del processo a Priebke, ancora oggi – di nuovo – qualche miserabile indegno schifoso opportunista coglie l’occasione per confondere le acque e annebbiare la verità dei fatti.
Ecco cosa è successo: nel 2004 il quotidiano “Il Tempo” definì i partigiani dell’attacco di via Rasella dei “massacratori di civili”; la cosa non è nuova, anche “Il Giornale” nella persona di Vittorio Feltri (fanculo) lo fece nel 1996, raccontando inoltre un sacco di balle, e per questo fu condannato. Elena Bentivegna, figlia di Carla Capponi e Rosario Bentivegna, due dei gappisti autori dell’attacco, denunciò il quotidiano e, visti i tempi biblici della giustizia italiana, ha solo ora vinto la causa in Cassazione, il 22 luglio scorso. Si tratta per l’ennesima volta della stessa storia: qualche furbo senza scrupoli rimesta nel torbido, per qualche motivo bastardo, e tocca ai giusti ristabilire, ancora, la verità.
Ma non basta, la vicenda non si chiude nemmeno ora: il giorno dopo la sentenza, appare una scritta sul muro di via Tasso, a Roma (oggi museo della Resistenza, sede dell’ANPI nazionale, un tempo carcere nazista in cui furono torturati e uccisi numerosissimi sospettati di appartenere ai GAP, oltre a innocenti ed ebrei) che riporta la questione al punto-zero.
Ecco la scritta vergognosa:

Bastardi fascisti. Il 30 giugno, Rosario Bentivegna, il comandante Paolo dell’azione, che meriterebbe onori e riposo invece di queste stronzate, è costretto a scrivere una lettera a “Repubblica”, alla rubrica di Augias, nella quale ribadisce, ancora una volta, la verità: i soldati tedeschi erano SS, Kesselring non affisse alcun manifesto prima dell’eccedio delle Fosse Ardeatine, l’attacco era un atto di guerra eccetera eccetera, ovvero le cose che chiunque in buona fede sa.
Domanda: per quale motivo un signore di ottantasette anni, e sua figlia, come tanti altri, devono di continuo spendere energie, tempo, soldi, fatica, sofferenza per contraddire una nutrita masnada di stronzi ignoranti che qua e là razzolano confondendo i piani tra via Rasella e la rappresaglia nazista alle Ardeatine, mescolando occupanti con occupati, diffamando l’azione di eroi? Perché devono loro, in prima persona, difendere la verità storica a suon di lettere, cause, discussioni e interventi dalla propaganda filo-fascista? Possibile che in questo cazzo di paese non ci sia mai una verità – storica e giudiziaria – stabilita una volta per tutte?
Per quanto posso, cerco di ristabilirne un pezzettino anche io, di verità, prima che scompaia: subito dopo lo scoppio della bomba, in via Rasella, posta in un carretto dell’immondizia davanti a palazzo Tittoni, i soldati tedeschi cominciarono – pensando che lo scoppio fosse dovuto a bombe a mano lanciate dalle finestre – a sparare all’impazzata alle facciate dei palazzi della via, su comando dei gerarchi. Non importava dove o contro chi sparassero, furono momenti terrificanti per gli abitanti del quartiere. Subito dopo, iniziò la rappresaglia: furono fermate centinaia di persone davanti a palazzo Barberini e molte di esse furono arrestate, senza alcun tipo di responsabilità. Entro 24 ore dall’attacco, 335 civili e militari italiani furono ammazzati alle Fosse Ardeatine, nella più barbara rappresaglia della storia romana.
Ancora oggi, tra via Rasella e via Boccaccio, è possibile vedere i segni delle raffiche dei mitra sulle case: sebbene ormai quasi tutte le facciate della via siano state ristrutturate, queste case rimangono a testimonianza della furia nazista contro gli inermi e coloro che avevano la colpa di abitare nella via. E fu quasi per un caso che i nazisti desistettero dall’idea di far saltare l’intero quartiere con la dinamite.
Prima che scompaiano, ho fotografato le case colpite, così che l’idea della furia cieca sia molto chiara. Eccole:





Girondolone come i passi della sua danza, il munuocchin’ uorldbag men, l’uomo che tenta di fare moonwalking nel mondo sempre con la stessa borsa stavolta è al nord. E la danza diventa una vera performans che inneggia al belvedere, alla nascita e alla vita, alla riproduzione nell’età della riproducibilità tecnica sconfitta dal gesto (danzerino e riproduttivo). E come non notare la splendida maglietta del m.u.m.? Nulla accade per caso.
Balla, nostro eroe, balla:
undici interessanti note sullo IOR
Dello IOR, Istituto per le Opere di Religione, si è detto molto, soprattutto in relazione agli scandali finanziari e politici che l’hanno visto coinvolto in tempi recenti (Banco Ambrosiano, Enimont, P2, Calciopoli, Mafia, caso Fiorani eccetera); sebbene gli aspetti oscuri siano più di quelli alla luce del sole, ho notato alcune informazioni interessanti, non organizzate e non sistematiche, che vorrei condividere qui.
Ma prima una precisazione: lo IOR non è la banca centrale della Santa Sede (che, invece, è l’APSA, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), è bensì una banca privata a scopo di lucro con un presidente che risponde a un consiglio di amministrazione di cinque cardinali e al papa stesso. E basta. Il che già non è male.
Ma c’è dell’altro. Ecco undici informazioni, sconclusionate, che ho raccolto al riguardo:
- nel 2008, lo IOR aveva un patrimonio stimato in cinque miliardi di euro e 44.000 conti correnti (pare);
- il bilancio dello IOR è noto solo al Papa, al collegio dei cinque cardinali, al Prelato dell’istituto, al Consiglio di sovrintendenza, alla Direzione generale, ai revisori dei conti;
- gli interessi medi oscillano tra il 4% e il 12% ed essendo il Vaticano privo di tasse si intendono netti (quanto pigliate dalla vostra banca?);
- il Vaticano NON aderisce ai patti internazionali antiriciclaggio;
- i clienti della banca sono identificati solamente con un codice numerico, non esistono nomi;
- a seguito di qualsiasi operazione NON vengono mai rilasciate ricevute;
- non esistono libretti di assegni intestati allo IOR;
- le transizioni di denaro avvengono solamente tramite bonifico;
- poiché la banca risiede nello stato del Vaticano, è necessario richiedere una rogatoria internazionale per fare accertamenti sui conti e sugli spostamenti di denaro;
- il Vaticano non ha mai concesso alcuna rogatoria;
- tra gli incredibili investimenti dell’istituto, giova ricordare che nel 1935 lo IOR investì nelle Officine Meccaniche Reggiane, nella Breda e nella Compagnia Nazionale Aeronautica, ovvero le fabbriche che fornirono armamenti e munizioni per l’offensiva italiana in Libia.
Si potrebbe andare avanti parecchio ma già così, direi, non è niente male. Date queste poche premesse, quali possono essere gli scopi di una tale banca (e la domanda è retoricona)? Se avete pecunie olentes, sapete a chi rivolgervi.
un tavolo luminoso e della sabbia
Kseniya Simonova è ucraina e ha vinto non so quale programma televisivo ucraino per segnalare nuovi talenti.
Ma non è questo è il fatto: il fatto è che basta l’intelligenza per fare cose egregie. Esempio:
la cagna di Berlino
La storia della radiofonia in tempo di guerra è costellata di conduttori la cui funzione, con musica, tono e parole appropriate, era di sollevare l’umore delle truppe. Meno frequente ma altrettanto interessante, invece, è la storia dei conduttori radiofonici incaricati di deprimere il morale delle truppe avverse, con notizie false, sberleffi, insulti e quanto suggeriva la perfidia, il tutto ovviamente in lingua nemica.
Tra i conduttori di questo secondo tipo, ebbero un ruolo determinante le donne, per motivi che possono risultare comprensibili: tra le più note, vi furono Hanoi Hannah, in Vietnam ovviamente, e Tokyo Rose, in Giappone. Essendo le truppe sostanzialmente maschili, pare chiaro che una voce femminile poteva sortire effetti maggiori rispetto a una voce mascolina.
La più famosa in assoluto fu però Mildred Gillars, americana dell’Ohio, esule in Germania, che condusse un programma su Radio Berlino dal 1940 fino alla caduta. Trasmettendo in inglese sulle onde lunghe, ben sapeva di essere ascoltata in Inghilterra, in tutta Europa e talvolta anche negli Stati Uniti. Quando, poi, gli alleati sbarcarono in Sicilia, il suo programma di propaganda nazista divenne esplicitamente un programma anti-americano, allo scopo di compromettere il morale delle truppe nemiche in trincea.
la letteratura nascosta
Prima di tutto, è bene sapere che i diritti d’autore, in Italia, sono considerati validi fino a settant’anni dalla morte dell’autore.
Fatta la premessa, è piuttosto scontato affermare che numerosissimi sono i casi, in letteratura, di opere strepitose rimaste nei cassetti per vicende varie, vuoi perché rifiutate, vuoi perché bruciate alla morte dell’autore, vuoi perché non considerate all’altezza, e così via. Prima o poi saltano fuori e, per la gioia del pubblico, diventano libri, oppure si perdono per sempre e buonanotte.
E’ valido anche il principio inverso, chiaramente: ossia, opere giustamente rimaste in un cassetto poi pubblicate con risultati pessimi, ma non è questo il caso di cui voglio parlare oggi.
Questa è una storia d’amore, prima di tutto, e di rispetto: per questo secondo motivo, non possiamo – oggi – leggere ciò che rimane nascosto.
Il 22 marzo 1944, su Il Messaggero, allora gestito dai fascisti, uscì una strana nota, sensazionale, nella quale si preannunciava il prossimo ritiro dei tedeschi da Roma: l’articolo era basato, pare, su un’indiscrezione dell’addetto stampa tedesco, che aveva evidentemente parlato troppo.
La notizia fece rapidamente il giro della città e iniziarono le trattative, in realtà in atto da tempo, tra la Santa Sede e i comandi nazisti e tra la Santa Sede e i contatti diplomatici alleati, da un lato per garantire l’incolumità del Vaticano e della città stessa, dall’altro per assicurare che il vuoto di potere prima dell’arrivo degli alleati non fornisse “ai comunisti” l’occasione per impadronirsi di Roma. Che era una tra le preoccupazioni principali del papa.
Lo stesso giorno, Pio XII si raccomandò ai comandi alleati affinché la transizione fosse il più veloce possibile e affinché le truppe di stanza a Roma fossero molto esigue. Ma non solo, il Papa espresse anche un altro desiderio, premente. Ecco le parole dell’ambasciatore inglese Osborne, che raccolse le richieste papali:
“Oggi il cardinale segretario di stato mi ha fatto chiamare per dirmi che il papa sperava che, tra le esigue truppe alleate di stanza a Roma dopo l’occupazione, non ci fossero soldati di colore. Si è affrettato ad aggiungere che la Santa Sede non ne faceva una questione dirimente, ma che auspicava fosse possibile soddisfare la sua richiesta”.
Un’altra meraviglia da Pio XII. Ma esiste una spiegazione razionale alla richiesta papalina, eccola: secondo padre Peter Gumpel, gesuita incaricato delle indagini per la santificazione di Pio XII, il papa espresse questa richiesta perché riteneva che le truppe di colore, sempre di bene in meglio, fossero più suscettibili, rispetto a quelle composte da soli bianchi, di commettere stupri.