Per le estremità umane e motoristiche, nel 1920 la risposta è una e piena. E il tocco franscioso garantisce raffinatezza e qualità. Accorrete.
Mese: Luglio 2009
“Forse s’avess’io l’ale / Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una, / O come il tuono errar di giogo in giogo, / Più felice sarei, dolce mia greggia, / Più felice sarei, candida luna”, citazione necessaria e appropriata nel quarantesimo.
La luna, e qui si fa ora di scienze, si formò un gazilione di anni fa, ma neppure troppi, dall’impatto di un asteroide delle dimensioni di Marte sulla terra e poi, dai dai di forza centrifuga, centripeta e di venti cuochi, si è raggrumata nel bel tondo che conosciamo. Perché come diceva qualcuno, forse Leonardo a memoria, la natura tende al tondo, e il bisticcio è mio. Da allora, la luna si allontana in misura di qualche centimetro l’anno, finché tra qualche sfottilione di anni uscirà dall’orbita terrestre, principiando a vagolare per il cosmo, “solinga, eterna peregrina”. Ma non ci sarà bisogno di una missione lunare per legarla al nostro pianeta e riportarla all’ordine, perché prima che ciò avvenga il sole, agonizzante, si sarà inghiottito tutto quanto ci circonda e anche di più. Ingordo.
di gnappolo.
In questa puntata conosceremo software tra loro molto diversi, accomunati dall’uso per le “normali” attività d’ufficio (scrivere, far di conto, project management ecc). A differenza dei compressori, qua la comunità FOSS si è ritrovata a spendere tanto tempo per produrre un tipo di software (penso ad esempio al miracolo OpenOffice) molto complesso e vasto, eppure eccezionale e oggettivamente competitivo. Anzi, nelle cose “tipo office” scopri come il software commerciale (penso all’Office di Microsoft) si sia imposto solo spacciandosi per “standard” ma facendo di fatto come uno spacciatore di eroina, che ti pompa sempre più (quanto ci mettevate ad aprire un documento word nel 1999 con Office 97? 55 secondi? Nel 2007 con Office XP e un PC 10 volte più potente ci mettevate lo stesso tempo. Dice niente?). Gli “standard” sono un’altra cosa: se aprite e salvate un file completo in formato “DOC Microsoft Word 97/2003/XP” con Word XP il risultato è uno. Fatelo con Word 2003, e il risultato è un altro (non sto scherzando). Questo NON è uno standard, è una porcata. Microsoft lo sa, ma non vi impedisce di credere che i suoi formati siano “standard” in virtù del fatto che sono i più diffusi. E non lavora per rendere migliore il formato (leggi: compatibile con le versioni precedenti dei programmi), piuttosto lavora per costringervi a passare alla versione di Office nuova fiammante (e pesante).
Per i curiosoni, un formato “standard” è quello che non cambia in funzione dell’applicativo che lo salva, e che funziona in modo identico con qualunque versione dello stesso software. “Cioe? Vuoi dire che posso addirittura aprire con la versione 3 un file salvato con la 5? Naaaa…” Provate, curiosoni!
E ancora e ancora e ancora. Dippiù, munuocchin’ uorldbag men, l’uomo che tenta di fare moonwalking nel mondo sempre con la stessa borsa.
Il gesto è il messaggio, questo munuocchin’ non è un munuocchin’, gli autogrill sono con evidenza dei non luoghi, e qualcuno prima o poi farà, finalmente, della teoria sul nostro.
Per ora, in attesa, il gesto parla da sè.
figli di cotanto padre
Per l’ora dell’aneddoto, oggi: i figli d’arte.
Non tutti, anzi, è bene restringere la categoria: musicisti figli di musicisti. La legge del buon senso vorrebbe che un figlio di musicista si cimentasse in altro, magari in una delle sei arti restanti, poiché non essendo l’ispirazione musicale trasmissibile o contagiosa, è improbabile che si replichi la magica combinazione. A maggior ragione se le doti del padre sono eccelse, il consiglio sarebbe quello di darsi ad altro, evitando così anche le implicazioni psicologiche ed emotive della vicenda. Difficile, però, anche fare altro: un poverello che in casa ha respirato musica, insufflato musica, assaggiato musica se poi si dedica alla ragioneria non sempre riscuote l’ammirazione paterna, così importante in un corretto sviluppo.
Fare altro, consiglio diffuso e condiviso che non viene però molto ascoltato: Cristiano De Andrè resta schiacciato ancora oggi dalla lunga ombra paterna, Sean e Julian Lennon non hanno mai sfondato, Zack Starck suona onestamente la batteria (ma, in questo caso, non era difficile raggiungere il livello tecnico del padre), Jakob Dylan fa musica onestissima ma un po’ dimessa, Eagle-Eye Cherry ha già problemi con il nome e sua sorella fu una meteora, tanto per citarne alcuni. E fin qui la musica leggera, per usare una catalogazione vaga.
monumenti (ai) caduti: colonna
Colonna, paesello dei castelli romani che diede origine alla famiglia omonima, possiede pregiata manifattura retorico-patriottica in tema di caduti di tutte le guerre in nome della Patria: spicca un fante torsonudato dai muscoloni scolpiti, antesignano dei Centocelle Nightmare, che sorregge nel palmo una colombina nell’atto di spiccare il volo.
L’anello di totano fritto che ella reca nel becco è con certezza la cena dei suoi rondinini, poverini poverini poverini.
Ah no, avaria e contrordine, non si tratta di colombina, bensì di fatina alata con camicia da notte, portante una coroncina d’alloro allo scopo di trovare, domare, ghermire e incatenare il nemico. La fatina sembra buona.
Il milite, proteso sul ciglio del dirupo, nulla ha a che vedere con il funzionamento della parabola retrostante.
Questo perché non vi siano incomprensioni di tipo tecnico.
di gnappolo.
MDF2ISO ————————
Se vi ritrovate vostro malgrado per le mani un file immagine in formato .MDF (salvato da software proprietari, tipo Nero o Alcohol) non potere “usare la pecora” (Virtual Clone Drive) per montarlo come drive virtuale (legge solo i file ISO). Ma è sempre possibile convertirlo! Una volta convertito il file in .ISO testatelo con la pecora, poi eliminate il .MDF: non ha senso sprecare prezioso spazio disco con formati che è comunque opportuno spariscano dalla circolazione (se potete, evitate di scaricare e condividere roba in formato .MDF).
Per la conversione si usa MDF2ISO (“mdf to iso”), un programma microscopico che si usa via riga di comando. “Cosa? no no no, io il DOS non lo so e non lo uso… ma che, scherziamo?”
Calma. Non spaventatevi. Siete grandi abbastanza da capire istruzioni elementari. Respirate rilassati, fidatevi e andate avanti a leggere, con calma.
I comandi da riga di comando (quello che chiamiamo “DOS” o “Prompt”) sono elementari e banali, semplificabili per il 99% dei programmi a questo caso tipico:
“UsaQuestoProgramma SulFileTizio IlRIsultatoLoChiamiCaio (-EMagariAttiviQuesteOpzioni)”
Tradotto per chi dovrà convertire un file .MDF in .ISO con mdf2iso:
“mdf2iso nomefile.mdf nomefile.iso <INVIO>”
Non sarà banale come cliccare icone colorate, ma non è difficile, no? La parte più articolata viene adesso. Dovremo lanciare quanto sopra dal prompt del dos (per aprirlo premere tasto Win+R o Menu Start>Esegui, digitare “CMD” e dare invio) dalla stessa cartella in cui stanno entrambi i file (mdf2iso e il file mdf da convertire). Ripassino per chi vuol raggiungere la cartella dal dos:
“cd\” porta alla cartella root, ad es c:\;
“CD..” porta alla cartella superiore;
“CD Sempronio” porta dentro la cartella Sempronio;
“C:” o “D:” porta al disco C o D.
Per chi ama le cose semplici, invece, consiglio di installare il comodissimo “powertoy” per Windows (microsoft gratuito. Ce ne sono anche altri molto utili!) che si chiama “CmdPromptHere” (per XP, dal sito Microsoft). Una volta installato si clicca col destro su una qualsiasi cartella e si sceglie la voce “Command Prompt Here”: si aprirà una finestra DOS che sarà già “dentro” la tal cartella.
munuocchin’ uorldbag men: Lucca
Là dove il gesto tecnico diventa metafora dell’esistenza è il munuocchin’ uorldbag men, ossia l’uomo che tenta di fare moonwalking nel mondo sempre con la stessa borsa. La cornice storica ben si adatta alla filosofia dell’atto, il sesto.
Con un occhio all’attualità e il solito esito.
– Ghignagatto, – cominciò a parlargli con un poco di timidezza, perchè non sapeva se quel nome gli piacesse; comunque egli fece un ghigno più grande. «Ecco, ci ha piacere,» pensò Alice e continuò: – Vorresti dirmi per dove debbo andare?
– Dipende molto dal luogo dove vuoi andare, – rispose il Gatto.
– Poco m’importa dove… – disse Alice.
– Allora importa poco sapere per dove devi andare, – soggiunse il Gatto.
-… purché giunga in qualche parte, – riprese Alice come per spiegarsi meglio.
– Oh certo vi giungerai! – disse il Gatto, non hai che da camminare.
Alice sentì che quegli aveva ragione e tentò un’altra domanda. – Che razza di gente c’è in questi dintorni?
– Da questa parte, – rispose il Gatto, facendo un cenno con la zampa destra, – abita un Cappellaio; e da questa parte, – indicando con l’altra zampa, – abita una Lepre di Marzo. Visita l’uno o l’altra, sono tutt’e due matti.
– Ma io non voglio andare fra i matti, – osservò Alice.
– Oh non ne puoi fare a meno, – disse il Gatto, – qui siamo tutti matti. Io sono matto, tu sei matta.
– Come sai che io sia matta? – domandò Alice.
– Tu sei matta, – disse il Gatto, – altrimenti non saresti venuta qui.
Non parve una ragione sufficiente ad Alice, ma pure continuò: – E come sai che tu sei matto?
– Intanto, – disse il Gatto, – un cane non è matto. Lo ammetti?
– Ammettiamolo, – rispose Alice.
– Bene, – continuò il Gatto, – un cane brontola quando è in collera, e agita la coda quando è contento. Ora io brontolo quando sono contento ed agito la coda quando sono triste. Dunque sono matto.
– Io direi far le fusa e non già brontolare, – disse Alice.
– Di’ come ti pare, – rispose il Gatto. – Vai oggi dalla Regina a giocare a croquet?
– Sì, che ci andrei, – disse Alice, – ma non sono stata ancora invitata.
– Mi rivedrai da lei, – disse il Gatto, e scomparve.
Alice non se ne sorprese; si stava abituando a veder cose strane. Mentre guardava ancora il posto occupato dal Gatto, eccolo ricomparire di nuovo.
– A proposito, che n’è successo del bambino? – disse il Gatto. – Avevo dimenticato di domandartelo.
– S’è trasformato in porcellino, – rispose Alice tranquillamente, come se la ricomparsa del Gatto fosse più che naturale.
– Me l’ero figurato, – disse il Gatto, e svanì di nuovo.
Alice aspettò un poco con la speranza di rivederlo, ma non ricomparve più, ed ella pochi istanti dopo prese la via dell’abitazione della Lepre di Marzo. «Di cappellai ne ho veduti tanti, – disse fra sè: – sarà più interessante la Lepre di Marzo. Ma siccome siamo nel mese di maggio, non sarà poi tanto matta… almeno sarà meno matta che in marzo». Mentre diceva così guardò in su, e vide di nuovo il Gatto, seduto sul ramo d’un albero.
– Hai detto porcellino o porcellana? – domandò il Gatto.
– Ho detto porcellino, – rispose Alice; – ma ti prego di non apparire e scomparire con tanta rapidità: mi fai girare il capo!
– Hai ragione, – disse il Gatto; e questa volta svanì adagio adagio; cominciando con la fine della coda e finendo col ghigno, il quale rimase per qualche tempo sul ramo, dopo che tutto s’era dileguato.