Finalmente, la verità fino a oggi nascosta sulle istruzioni per i passeggeri degli aerei:
Qui l’originale. La mia prediletta a 2:58.
Finalmente, la verità fino a oggi nascosta sulle istruzioni per i passeggeri degli aerei:
Qui l’originale. La mia prediletta a 2:58.
In una molto modesta città del nord, l’amministrazione pubblica destrorsa – la cui idea di divertimento e di socialità corrisponde a noleggiare un dvd da Blockbuster – partorisce un’ordinanza sulla scorta dei superpoteri attribuiti ai sindaci di estrazione subumana: in nome dell’ordine pubblico, è vietato giocare a qualsivoglia gioco in quasivoglia parco, consumare cibi e bevande di provenienza esogena, occupare più spazio del necessario su prati e panchine (?), bivaccare qua o là, agglomerarsi in numero superiore a tre (adunata sediziosa), accattonaggiare e via ancora in un crescendo verso il divieto di bere alle fontanelle appoggiando le labbra alla cannella, lo stesso valga per i cani che le labbra nemmeno le hanno, divieto di distribuire volantini, utilizzare le altalene se si hanno più di quattordici anni, rovistare nei cassonetti, legare le biciclette ai pali e così via, in un mostruoso e imbarazzante decalogo dell’imbecillità fatta sindaco (e compagnucci raccolti alla medesima mensa).
Se il tutto, poi, si accompagna a un’altra ordinanza vergognosa che ha tentato di attribuire il “bonus bebé” (maccheschifodinome) ai soli figli di indigeni cittadini, ordinanza per fortuna cassata da altrui in nome dell’uguaglianza costituzionale, e a un tentativo di proibire la vendita di kebab in centro città in nome del localismo alimentare, il quadro complessivo supera il ridicolo, taglia la strada alla cretineria e approda felice al fascismo vigliacco degli ignoranti e presuntuosi che, in nome di quella minuscola fettina di mondo che hanno visto e che conoscono, si elevano ad arbitri di moralità e di costume, propugnando ad altri il paternalismo che vorrebbero per sé. Stronzi.
Se dopo i reportages della scorsa primavera sulle librerie franzose, germaniche e ceche alla ricerca degli autori italiani apprezzati all’estero, io non fossi entrato nella più importante libreria di Budapest per proseguire l’indagine, di certo non sarei un buon riportatore.
Sono entrato, che domande.
La libreria è Irók Boltja, che sta al quarantacinque di via Andrássy, ed è la più internazionale della città: infatti, alcuni scaffali sono dedicati (grande idea, sul serio) ai testi di autori magiari tradotti all’estero, ovvero si trova, per dirne uno, Sandor Marai in edizione Adelphi. Inoltre, con cortesia lontana anni luce da qualsiasi delle nostre librerie, alcuni tavoli tondi sono disposti verso la luce, a disposizione dei lettori (lettori, non clienti), e in un cantuccino, aggratis, un bel carrelletto con acqua calda, bustine del tè, tazze, latte, limone e zuccheri vari. Costo: zero. Progressione della civiltà: incommensurabile.
Graziesignore, grazie. Let der bi laaait!
Il SISDE, il servizio segreto civile italiano, entrò in servizio nel 1977, figlio del servizio segreto precedente, ed è rimasto in funzione fino al 2007, rinominato in altro (AISI) con la legge di due anni fa. Diciamo che si è fatto quasi tutti gli anni belli, in compagnia dell’omologo SISMI, del CESIS e dei servizi segreti dei corpi dello stato. Ma non è questa la prima suggestione.
La prima riguarda il nome: l’acronimo SISDE sta per “Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica”, laddove con evidenza l’aggettivo penso sia da intendersi come “affabile, alla mano” piuttosto che “della democrazia”, come la storia pare dimostrare. Secondariamente, il motto del servizio è “Per aspera ad veritatem”, variazione del più celebre “Per aspera ad astra” ideato da Seneca e oggi motto della Flotta stellare di Star Trek, nel quale motto l’obbiettivo, la “veritatem”, non pare essere stata in cima alle priorità del servizio. Ma si sa, i motti si posson scegliere con libertà, non è che poi si debbano seguire pedissequamente. Alla Valfrutta, per esempio, la frutta sarà davvero sempre sempre di prima mano? Non credo.
Tsutomu Yamaguchi, progettista di petroliere dei cantieri navali Mitsubishi di Nagasaki, fu mandato il 5 agosto 1945 a Hiroshima per lavorare qualche giorno in trasferta. Il 6 agosto alle 8.15, mentre si recava alla stazione dei treni di Hiroshima, fu investito dall’esplosione di Little Boy. Ustionato e ferito ma non gravemente, fu ricoverato per ventiquattro ore in ospedale, curato, e dimesso. Il 7 agosto 1945 tornò a casa, a Nagasaki: si prese un giorno di convalescenza e il 9 agosto tornò al lavoro in ufficio. Mentre raccontava ai suoi colleghi la distruzione di Hiroshima, cui non credette quasi nessuno, alle 11.02 scoppiò Fat Man, ancora a meno di tre chilometri dal tecnico giapponese. Oggi ha 93 anni e pare sia un po’ sordo da un orecchio. (Rif.)
(E’ che non ha mai viaggiato molto, altrimenti avrebbe potuto visitare Dresda, Hanoi, Pearl Harbor, Mururoa, Ground Zero, Piazza Fontana, la Stazione di Bologna, il deserto del Nevada, la Moneda, l’Afghanistan, l’Iraq, Beirut, l’Iran, Gerusalemme, Londra, Madrid e così via. A dire il vero, però, Tokyo l’ha mancata per poco).
(Budapest) Le forze democratiche europee, specie se aggregate in forma di “Unione”, conoscono un momento poco brillante anche a est. Di certo, invece che asinelli e progressismi, l’insegna acciaiosa di design moderno aiuta a immaginare un futuro migliore e un sol dell’avvenire poco amichevole ma molto molto cool.
La porta, legnosa e doppia, invece, è il legame con la tradizione.
Un’apposita commissione, quadriformata da specialisti nel settore, si è recata nel centro di Budapest per verificare l’attendibilità di alcune informazioni pervenute in centrale: fonti bene informate riferivano che Gerbeaud, la più nota pasticceria del centro di Budapest centrale, avesse in menu almeno quaranta tipi di torte diverse a disposizione del cliente ipoglicemico. Non è mia abitudine lasciare che voci di questo genere circolino incontrollate, ragion per cui si è imposta una verifica sul campo (di cui documentazione scientifico-fotografica alla fine).
Io, uno scienziato chimico, un poeta stonato e uno “zombie” (così in gergo della scienza si chiamano le persone dipendenti da glucosio cui sottoporre l’assaggio di una torta per determinarne il grado di alterazione con dolcificanti estranei) ci siamo dunque travestiti da vagabondi, per non suscitare sospetti, e ci siamo recati nel sancta sanctorum del vizio gustoso: superato il primo ostacolo costituito da cameriere bionde e belle e sorridenti e alte e più furbe delle guardie addestrate, in una saletta dorata di stucchi e rossa di velluti abbiamo ordinato le prime quattro fette di torta, tutte ovviamente diverse, e un tè per non dare nell’occhio.
Al mio comando (“camm-bioh”), ognuno di noi, dopo aver degustato un quarto di fetta, faceva ruotare il piatto verso il vicino di destra, fino al compimento del giro in quattro quarti. Dopo una Dobos, una Gerbeaud, una Esterházy e una Mogyorós sacher, secondo giro: una Borkrémtekercs, un Budapest szelet, una torta alle mele dal nome ignoto, un Gyumolcsos, sotto gli occhi divertiti della cameriera che ci credeva ancora dei turisti. Non lo abbiamo fatto per il nostro piacere ma per la scienza e in nome della verità.
Al terzo giro l’inganno è venuto alla luce: le torte disponibili non sono nemmeno dodici, bensì di meno, molto lontane dal numero che sussurrava la leggenda e dal numero che eravamo disposti a testare. Certo, esistono tante paste e pasterelle che, però, altro non sono che variazioni più piccole di torte complesse. Ma quaranta, via… Forse nemmeno quelle avrebbero sedato il famelico “zombie”, deluso come una casalinga di Forza Italia che non è riuscita a scorgere nemmeno la pelata del capo.
E un altro caso è risolto. Resta il rammarico che, una volta ancora, certi sogni vengono svelati e si rivelano illusioni, e la realtà risulta essere dura, davvero dura. A margine della ricerca scientifica, segnalo che la torta vincitrice tra tutte, la torta Esterházy, è stata eletta all’unanimità dal consesso, seppur dopo una dura lotta, e soltanto dopo numerose votazioni. Fatto che ci ha costretto a tornare alla pasticceria sabato 21 (due volte), domenica 22 (una volta) e lunedì 23 (tre volte). Per essere sicuri.
Finalmente tra un’ora sarà il momento, dopo otto anni di attesa e quattro mesi di spasmo con biglietto in mano. Fatto il pieno di gulash del demonio, ora è tempo di rock a orrovolume:
Se avete più di quindici anni e non capite davvero cosa possa animare il cuoricino di un satanista rock, abbiate pazienza, fate la faccia condiscendente, evitate di manifestare la vostra incomprensione qui e, soprattutto, evitate di ripassare da queste parti per un po’, visto che al mio ritorno sarò tutto imbestemmiato dall’estasi concertuale e parlerò a lungo con tono rapito.
In America, mi dicevo, le Frattocchie non le hanno mai avute. E quindi, mi chiedevo, come si formano alla politica? Cioè, ce le hanno le scuole per prepararsi al congresso, al senato, al governo degli Stati? Secondo me no, non hanno niente di simile.
Poi ho considerato il caso di Arnold Schwarzenegger (attuale governatore della California), di Jesse Ventura (governatore del Minnesota dal 1999 al 2003) e di Sonny Landham (sconfitto di poco alle elezioni per il governatorato del Kentucky) e mi sono dovuto ricredere. Eccoli:
Tutti e tre si sono formati qui. Per cui, se Frattocchie i suoi bei disastri li ha fatti e i tizi di – scusate la parola – Forza Italia non sanno nulla di nulla e a nulla servono, comunque mai lamentarsi. Mai. C’è sempre chi sta peggio.