poesia: ed è record

Il cardinale Mezzofanti, Giuseppe Gasparo per gli amici bolognesi, fu linguista d’eccezione nel secolo decimonono, al punto che si rammaricava di saper soltanto leggere il sanscrito, il malese, il tibetano, l’islandese, il lappone, il ruteno, il frisone, il lettone, il cornico, il quechua, il bambara (che, per i pochi che non lo sapessero, deriva dal mandingo orientale) e di non saperli parlare. Se lo avesse saputo fare, il suo bagaglio di lingue parlate correntemente sarebbe passato da trentotto a quarantanove. Senza contare i dialetti. Sciapò.
Ma non è questo che costituisce il record. Il Mezzofanti scrisse un sonetto poeticamente valido fino a un certo punto ma che, linguisticamente, costituisce un valico insormontabile per i posteri: il sonetto monosillabico. Eccolo, con le rime tutte a posto:

A
me
la
fe’
dà,
se
da
te
l’ho,
be’

i
mie’
dì!

Difficile fare meglio, resterebbero le singole lettere con risultato discutibile. Una traduzione approssimativa potrebbe essere: “Dammi la fede, se da te l’avrò, farò belli i miei giorni”. Teologicamente e stilisticamente ineccepibile.
Se la torre di Babele fosse stata costruita due secoli fa, noi avremmo potuto mandare il solo Mezzofanti, facendo pure bella figura.

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