la tafofobia e gli aneddoti da bar

La tafofobia, letteralmente la paura del sepolcro, fu definita come patologia alla fine dell’Ottocento, come risultato di una vasta aneddotica che descriveva casi accertati di sepoltura prematura dovuti a errata constatazione della morte.
Cagarella di essere sepolti vivi, detta aulicamente.
Naturalmente la letteratura medica sull’argomento si infiorava di racconti raccolti qua e là e di una casistica a dir poco striminzita, se non inesistente, ciò nonostante questo tipo di fobia, sostanzialmente sconosciuto prima, fece breccia nei cuori di fine Ottocento.
Gli inglesi, cui è sempre piaciuto fondare società all’uopo, costituirono la Royal Humane Society, ossia The Society for the Recovery of Persons Apparently Dead, l’anatomista danese Jacques-Bénigne Winslow prescriveva ai propri collaboratori di versare dell’urina calda nella bocca dei cadaveri per scongiurare fenomeni di morte apparente, e nel frattempo nei bar i racconti spuntavano a dozzine. Un successo intramontabile.
Edgar Allan Poe ne scrisse parecchio poiché – essendo soggetto a fenomeni di catalessia – temeva egli stesso di risvegliarsi a un certo punto all’interno di una bara: “La sepoltura apparente”, nei racconti dell’orrore, ma anche “La caduta della casa degli Usher” e “Il barile di Amontillado”, sempre suoi. E c’è chi fece fortuna producendo i cosiddetti “sarcofaghi di sicurezza”, variamente dotati di campanelli, corde o tubi per respirare, e ne vendette parecchi, senza dubbio. Oggi prescrivono i telefonini che, però, spesso non prendono.

Poiché c’è molto più Ottocento attorno a noi di quanto possiamo immaginare (e di questo bisognerebbe riparlare), i racconti di sepoltura prematura fioriscono a go-go anche oggi, ambientati in località amene sudamericane o dell’Europa dell’Est, non a caso. E’ di ieri la notizia di una signora che in Colombia si sarebbe risvegliata proprio all’ultimo, ovviamente in tre righe e senza un riferimento uno se non un ipotetico luogo. Ed è il Corriere.
Il Sundance Film Festival, acclamata fucina di novità cinematografiche, è da poco andato in visibilio per Buried, un film di novantuno minuti ambientato tutto tutto in una bara, in cui il protagonista si sveglia. Ci sarebbe anche chi ha provato quanto si riesce a respirare in una bara sigillata e ha stabilito con certezza che il massimo è un’ora d’aria. Quindi, ci sono trentuno minuti di troppo nel film, direi. Analogamente, Kill Bill volume 2 ripiglia la stessa dinamica. Naturalmente non basta, sempre di ieri è la notizia che il segretario della Fit-Cisl ligure ha richiesto – per alleviare le condizioni di lavoro degli addetti all’osservazione dei cadaveri nelle camere mortuarie dell’ospedale San Martino di Genova – che alle salme o presunte tali siano messi dei braccialetti elettronici o delle videocamere. Così non gli tocca andare a vedere ogni ora se c’è qualcuno di vivo. La morte apparente è tra noi, alla faccia della scienza scientificissima.
I racconti, poi, sono tanti. Ne basti uno per tutti: qualche anno fa in un obitorio sovietico (non russo, attenzione: sovietico) un guardiano notturno è stato condannato all’ergastolo per avere avuto atti di necrofilia su un cadavere di una giovane donna, la quale – a causa del rapporto – si è svegliata da uno stato di morte apparente e si è messa a urlare. Io dico che, però, ci vorrebbe un poco più di precisione: prima di tutto non si trattava di necrofilia, evidentemente, dato che la signora non era morta. Secondariamente, invece di ringraziare il guardiano che ha evitato fatti peggiori, lo si condanna per un reato che, di sicuro, nel codice penale non c’è. Stupro di apparente cadavere. Almeno si riconoscano gli effetti positivi dell’atto. Un anatomista danese del secolo scorso avrebbe potuto trovarla una buona pratica per individuare i vivi tra i morti, probabilmente.
Come che sia, l’Ottocento è tra di noi, ovunque. Pensateci.

  • siu
    Feb 18th, 2010 at 11:54 | #1

    Aaaahhh..!!! E’ un terrore di cui soffro e nei confronti del quale l’unica strategia è non pensarci… e tu Trivigante vai a risvegliarmelo così, come niente fosse: ma che ti ho fatto di male..?? Per ritorsione delibero che non ti rivolgerò la parola fino a data e ora da stabilirsi, nel mentre mi rintano dietro la mia veletta, sotto il mio ombrellino.

  • Mar 10th, 2010 at 14:54 | #2

    ciao,scusa la mia ignoranza (mi sto’ rodendo il cervello!!!)hai evidenziato:obitorio sovietico(non russo,attenzione:sovietico),perchè?

    Nel mio blog:http://esotericmania-merlin.blogspot.com,ho scritto un po’ di articoli sull’argomento,questo mi giunge nuovo,puoi erudirmi ?

    Grazie Merlin

  • trivigante
    Mar 10th, 2010 at 15:06 | #3

    @merlin
    Ciao a te, sottolineando che il fatto fosse avvenuto in URSS e non in Russia volevo rimarcare come, allora, l’Unione Sovietica fosse un perfetto ricettacolo in cui ambientare e localizzare storie improbabili e inverificabili, fatte di morti e turpitudini varie, esattamente come succede ora alla Cina (pensa alla storia dei bambini bolliti di uno o due anni fa): posti lontanissimi e sperduti, nomi impronunciabili, un governo socialista o simile dai tratti autoritari, usanze poco conosciute e popolazioni distanti. Cosa di meglio per piazzare una storia raccontata da un amico di mio cugino?

  • Mattia
    Nov 27th, 2010 at 20:37 | #4

    Molte persone al giorno d’oggi dicono di voler farsi cremare o chiedono di essere sepolte con un telefonino. Per la prima richiesta sono pienamente daccordo, ma sulla seconda no: la sepoltura avviene a tre metri sotto terra, e quando si vedono nei film le persone che telefonano al 113, 112 o 911 sono totalmente FALSI. Non bisogna farsi influenzare dai film, il telefono a tre o quattro metri sotto terra non prende.
    Sono invece d’accordo con chi dice di volersi far seppellire con una pistola, e in tal caso si riduce l’agonia, perchè credetemi essere sepolti in una cassa da quattro metri quadri è un vero e proprio inferno.
    Ciao,
    Mattia, 12 anni

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