storie al telefono
Teologica bislacca: “Un angelo annuncia a una giovane che concepirà il figlio di Dio; lei è perplessa ma accetta. La casa della giovane, poi, vola fino a Loreto” (140);
letteraria da bar: “Un vecchio cieco narra di quando i Greci s’incazzarono, attraversarono il mare e con un cavallo distrussero Troia per riprenderne un’altra” (138);
letteraria da italia unita: “Nell’Italia del Seicento due ragazzi s’amano, però la peste e i nemici spagnoli dicono no all’unione. Però, il bene e un prete fanno sì che” (136);
letteraria metafisica: “Un uomo di mezza età fa una visita guidata nell’aldilà, incontra un sacco di gente, sente la fanfara dei cieli, e alla fine esce che è buio” (139);
politica verosimile: “Un fascista materassaio fonda un circolo segreto con gli amici, nerovestiti con i compassi. Parrebbero pirla, invece governarono il paese” (137);
para-infantile: “In case di funghi, un popolo di omini blu vive in una società rigidamente maoista, condivide una sola donna e lotta contro un mago fascista” (139).
Sono le storie al telefono ma le favole valgono ancora: può qualunque storia essere narrata in 140 caratteri, ovvero la misura standard di un sms? Può una storia complessa aderire alla misura aurea della comunicazione odierna? Può. E senza bisogno di ricorrere alle “kappa” e alle abbreviazioni imbarazzanti, ché qui si comincia ad avere un’età.
Le regole del gioco sono dunque semplici: massimo 140 caratteri, vale qualsiasi tipo di storia, più è intricata e maggiore è l’onore del sintetizzatore estroso. Per semplificare la creazione, suggerisco un comodo strumento di conteggio istantaneo: questo.
Di malavoglia.
Con un infinito accanirsi di sfighe su di una sfigata famiglia la scuola su di noi si accanì; e mai nessun ci spiegò ‘sti lupini che so’… (139)
soappistica: “Un’arrampicatrice si fa una famiglia di stilisti: prima sposa il padre, poi sposa i due figli e, finiti quelli, ha un figlio da suo genero” (138).