al mercato nel 1943

Tempo fa, leggendo i “Diari di guerra” di George Orwell, mi sono molto stupito, poiché era la prima volta che mi capitava di leggere ciò che normalmente non si racconta di una guerra: il tempo quotidiano sotto i bombardamenti. Orwell tenne un diario dal 1940 nel quale racconta la sua vita sotto i bombardamenti e la vita a Londra, raccogliendo articoli di giornale, estratti di discorsi, voci da strada, e cerca di dare una panoramica generale degli avvenimenti e dei piccoli fatti quotidiani giorno per giorno.
Solitamente, le cronache o i romanzi di guerra raccontano episodi più o meno eclatanti, fatti evidenti, ma raramente hanno – per propria natura – la continuità che, invece, possiede un diario personale, il quale riesce a differenza a portare l’attenzione sulla successione continua dei fatti e sui dettagli di vita materiale. Infatti, se mi era in qualche modo chiaro (incomprensibile e inimmaginabile ma chiaro) cosa sia in teoria subire un bombardamento, nessuno prima di Orwell mi aveva spiegato in particolare se durante la guerra si stampino libri, si ascoltino radio che non siano Radio Londra, cosa si legga sui giornali, che cosa si mangi, se le persone continuino a lavorare, se dopo mesi di bombardamento ci si abitui alla cosa, se c’è elettricità e come ci si regola, come vengano realmente condizionati i rapporti affettivi e d’amicizia, le difficoltà di reperire nastri per la macchina da scrivere e così via. Lettura molto interessante, davvero, sebbene davvero faticosa perché risente delle difficoltà caratteriali e umorali dell’autore. Comprensibile. Non a caso, i casi di racconti diaristici di vita comune in tempo di guerra sono estremamente rari: chi scampa, prova a dimenticare e a ritornare alla normalità o, comunque, ne parla con difficoltà. Oppure ha altro da fare che scrivere.
Per fare un esempio, e qui Orwell non è più protagonista, da sempre ho letto del mercato nero, e la spiegazione generale è che al mercato nero si poteva trovare di tutto a prezzi esorbitanti e non regolati. Come oggi, per generi diversi. D’accordo, chiaro, ma nessuno mai che si prenda la briga di fare comparazioni e entrare nel dettaglio, per chiarire a chi non c’era, io, le proporzioni della cosa. Lo stesso vale per i generi alimentari o meno reperibili alla luce del sole: quanto costavano? quanto costavano in rapporto a un salario? cosa si vendeva?
Sembra paradossale, almeno a me, ma le informazioni in questo senso sono pochissime. Eppure, a parer mio, rilevanti. Ecco perché riporto qui alcune informazioni preziose che ho trovato in “Hotel Meina” di Marco Nozza.
1943-razionamento consumiNell’ottobre 1943, mentre la RSI – senza alcun successo – all’art.17 del manifesto di Verona decretava la pena di morte per gli speculatori, nel novarese un chilo di pane, ovviamente nero, duro e gommoso, costava 2 lire e 25 centesimi; il pane di segale, più pregiato, 3 lire e 25 centesimi. A trovarlo. Il riso, al confronto ed essendo in zona di risaie, era a buon mercato (2,20), come la pasta (3,10). Al contrario, fagioli e lenticchie costavano molto, più di sei lire al chilo.
Poiché mangiare si deve mangiare, le alternative erano poche: chi poteva si coltivava frutta e verdura, in generale abbastanza reperibili ma nutrienti solo nel breve periodo, e allevava qualche pollo o animale da cortile, poi toccava comprare il resto. Un operaio, mediamente, nello stesso periodo percepiva un salario di 1.200 lire al mese: il che, fatti i conti con i costi del cibo, era davvero poco e di sicuro chiudeva qualsiasi accesso al mercato nero. Per fare un raffronto, 1.200 lire circa era anche il prezzo di un paio di scarpe di cuoio con la suola buona, con il carro armato Vibram, che duravano di più ma si portavano via lo stipendio di un mese intero. Impossibile. Come impossibile era comprare della pancetta, 22 lire, del lardo, 20 lire, o dello strutto, 19 lire. Vinceva il burro nell’assurda guerra dei prezzi: 27 lire al chilo. Oh, beh, trascurando l’olio, ovvio, che di lire al litro ne costava cinquecento…
Volete burro o cannoni? Burro, ovvio. Va a finire che i cannoni forse costavano meno, al chilo…

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