milano, 25 aprile 2009: Formigoni schifoso

Il 25 in corteo e sul palco di Milano c’era anche Roberto Formigoni, governatore della Regione. Il signor Formigoni, colpevole di innumerevoli illeciti amministrativi e giudiziari, opportunista senza vergogna sceso in corteo per ragioni di campagna elettorale, spudorato senza titolo per dire anche una sola parola sulla Resistenza, ha osato dal palco comparare le ragioni e i torti dei repubblichini e dei partigiani, dei fascisti e dei comunisti. Il corteo lo ha sommerso di fischi, come merita.

Il punto, però e ancora una volta, è la memoria. E io, qui, voglio mettere, ancora, qualche punto fermo: il signor Formigoni è figlio di Emilio Formigoni, segretario del Fascio e Commissario Prefettizio di Missaglia, nonché comandante della Brigata Nera, sempre a Missaglia.
Qualche episodio per cui fu processato, contumace, nel 1947: rappresaglia a Valaperta, sevizie inferte a Nazzaro Vitale, rastrellamento di Barzanò (con incendio di un cascinale e di un fienile), rastrellamento di Monte San Genesio, razzia di tessuti con tentata estorsione messa a segno dalle sue Brigate «in danno di Gaverbi Giuseppe a Casatenovo», arresti e torture nonché fucilazione di diversi partigiani e di molti civili senza processo o motivazione. Sono solo alcune delle prodezze di Formigoni padre e dei suoi scherani.
Può dunque un individuo figlio di cotanto padre impartire lezioni da un palco, qualsiasi o – a maggior ragione – del 25 aprile? Io dico di no. E ci aggiungo pure un rabbioso vaffanculo. Ricadono le colpe dei padri sui figli? In questo caso, caro Formigoni, sì. Vergogna, schifoso.
Per un puntiglio di memoria, vorrei qui recuperare una cosa che scrissi un anno e mezzo fa a proposito della rappresaglia fascista a Valaperta, comandata da Emilio Formigoni nel 1944.

Il tutto cominciò con la morte di un militare della GNR, così come raccontato dal Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana di Como, il 17.11.1944: «Il 23 ottobre u.s. il milite scelto GAETANO CHIARELLI del distaccamento della GNR di Missaglia, mentre si recava per assumere informazioni su un renitente veniva ucciso da banditi a colpi di arma da fuoco». Scattò la rappresaglia da parte delle Brigate Nere, che arrivarono a Valaperta. I fascisti chiedono notizie del milite scomparso, ma nessuno risponde. Allora tirano fuori i lanciafiamme e le bombe a mano, e le lanciano nei fienili. Le cascine bruciano. Bruciano gli animali: le mucche, un mulo, i cavalli, i maiali. Sono legati nelle stalle, e agli abitanti non è stato concesso di portarli via. La signora che allora era una bimba ricorda che le donne furono obbligate ad allinearsi davanti all’incendio e a guardare e sentire le bestie che si struggevano nel fuoco: «Brucerete come loro! Queste bombe saranno per voi». La Gustìna si agita ancora adesso: «Io avevo quattro figli, quattro bagaj… madonna, i fascisti! Hanno rovesciato le damigiane di vino, hanno spaccato tutto. Volevo morire! Siamo scappati nel fango, a piedi nudi, e loro ci mitragliavano dietro. Ches chi sono i fascisti! Mi hanno bruciato anche la casa». Restano tutta la notte, le Brigate nere. Picchiano, minacciano, portano via la gente. Vorrebbero ammazzare la padrona dell’osteria, rea di aver ospitato i partigiani: la risparmiano solo perché è incinta. Al mattino trovano il cadavere del milite, che era stato nascosto sotto un gelso (…). Altre violenze seguono il ritrovamento, e non è certo finita. Quelli di Valaperta diventano sorvegliati speciali, alle famiglie vengono tolte per tre mesi le tessere alimentari (…). Gli uomini restano nascosti nelle campagne circostanti, chi ha visto bruciare case e stalle – e sono molti – chiede asilo ai parenti. Vengono catturati, tra gli altri, quattro partigiani, che vengono torturati e condannati senza processo.
L’uccisione dei quattro partigiani viene fissata per il 2 gennaio, ma la devono rimandare di un giorno perché la ditta Vismara con il pretesto di un guasto si è rifiutata di fornire il camion che servirà al trasporto delle bare. Una relazione ufficiale, datata 22.11.1945, è firmata dal medico condotto di Valaperta, un omone grande e grosso che ebbe modo di raccontare al figlio Luigi quella scena orribile, con un partigiano a terra che gemeva e il fascista venuto a dargli il colpo di grazia: una scena tale da far gridare ai preti e al medico «Basta, non è mica un cane!».
Il 26 aprile 1945, il signor Formigoni padre si era già dato, non lo si trovava. Venne processato in contumacia ma, dati i tempi, venne amnistiato e condannato solo come collaborazionista. Osceno. Così come era scomparso, ricomparve. Abitò a Lecco, fece l’ingegnere all’Enel, si fece vedere pochissimo in giro. Uno studioso di storia locale di Valaperta, Angelo Galbusera, gli scrisse parecchie volte, senza mai avere risposta.
Emilio Formigoni è morto il 6 febbraio 2000, a ben 98 anni. Senza vergogna, come il figlio.
(b.site of the moon 27 settembre 2007).

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