il mio 25 aprile e quello di Dolfino Ortolan

Io il 25 aprile mi sveglio presto, eccitato come i bambini a Santa Lucia in odor di regali, perché è la mia giornata di festa. Io il 25 aprile mi sveglio felice. E’ un giorno che attendo per settimane, chiedendomi se ci sarà il sole o la pioggia, se io abbia scassato a sufficienza i miei congiunti con la bellezza primaverile del 25 aprile e chiedendomi ancora se c’è qualcosa che avrei dovuto fare e che non ho fatto. Ma non mi chiedo mai se sarà una bella giornata, perché il 25 aprile è sempre una bella giornata: in manifestazione a Milano. Perché il 25 si può essere solo a Milano, magari a Torino, ma non altrove: a Bologna bisognerebbe essere il 21, a Roma quasi un anno prima, il 25 si va a Milano. E poi c’è gente meravigliosa, sorridente e insieme incazzata, mi sorprende ogni anno vedere quanto sono, complessivamente, belli i manifestanti di Milano, dico anche fisicamente. Belli. Come quando si camminava per strada e si urlava ai missilini in culo a Spadolini, belli anche allora. E poi non c’è bisogno di accordarsi e di organizzarsi, si è là e basta, e non esiste impegno in grado di battere la manifestazione a Milano, mai! E la mattina si passa nei prati a porta Venezia, poi in corteo. E ci possono essere la pioggia, le moltitudini, i sindaci e la ressa, eppure si incontrano sempre tutte le persone che ci si aspetta di vedere, non so come accada ma accade: ci si incontra comunque. E poi si arriva in piazza Duomo quando già tutto è finito, e nemmeno si intuisce chi abbia parlato dal palco, tanto non importa, il bello viene prima.
Il 25 aprile è il mio natale, anzi meglio: è l’unica ricorrenza annuale in cui non mi tocca scendere in piazza per ricordare una strage o per protestare contro il pacchetto sicurezza (eddai, il 2 giugno è un po’ una sòla, una roba per sottosegretari), è una festa vera, che si è felici e si celebra una vittoria. Capito? Una VITTORIA!

Poi, come sempre, mi vien giù un magone ma un magone, che a pensarci bene mi vengono i brividi. Perché il pensiero dei morti e dei fucili, dei fascisti e delle spie, del fango, tanto, del freddo e di tutti quelli, persone vere, che sono morti per una cazzata in testa a un fascista, che sono caduti per un minuto in più o in meno, di coloro che nemmeno si sono accorti che stavano morendo perché guardavano di là, il pensiero di chi è stato eroe al di là di ogni immaginazione e noi nemmeno lo sappiamo, di chi ha fatto cose pazzesche come fossero normali mi immagona.
dolfino_ortolanIl pensiero di chi, per resistere all’ingiustizia e al sopruso, è morto a sedici anni. Adolfo Ortolan divenne “Dolfino” nel febbraio del ’44, quando il suo papà mise su una banda dalle parti della Mestre degli operai per lottare contro il nemico invasore e contro i fascisti. Dentro nella banda, anche se si hanno solo quindici anni: parrebbero pochi, oggi, se non fosse che il più grande di anni ne aveva diciannove. E allora avanti con la lotta, dentro e fuori dai canali e dai fossi, che poi non ci son mica le montagne su cui salire, bisogna nascondersi nelle case e dietro gli argini, nei pochi boschi, bisogna star lontani dalle strade e farsi furbi. E avanti, senza fermarsi, perché stavolta pare davvero che gli americani vengon su, chissà cosa aspettano ancora, e poi i russi sono a Berlino, e dai avanti!, ancora qualche giorno, che bisogna liberare Treviso. E poi arriva il 25 aprile 1945, proprio il 25: Dolfino e la banda sono in una casa colonica a Canizzano quando vengono accerchiati dai maledetti della Brigata nera “Cavallin” di Treviso. Si spara, qualcuno esce dalle finestre, molti vengono feriti. I fascisti bruciano la casa, ammazzano le bestie, sparano in testa al fattore. Poi pigliano i feriti, tra cui Dolfino, e li ammazzano a bastonate sul capo. Perché loro non fanno prigionieri, no, mica stupidi come la banda di Dolfino che due settimane prima aveva liberato tutti i prigionieri con meno di diciotto anni, no. E Dolfino e gli altri muoiono il 25 aprile. Se manca poco non basta, non deve mancare niente, tutto deve essere finito, un minuto prima ancora non vale.
Il 25 Dolfino morì e la sua povera mamma impazzì di dolore.

  • siu
    Apr 25th, 2009 at 06:29 | #1

    Credo sia anche per me il giorno più bello dell’anno, infatti sono già qua che scalpito.
    Perchè il 25 aprile, alle 11, si va in Risiera. Non tanto per la cerimonia ufficiale, che a volte anzi si snobba restando fuori, tra le bandiere rosse, ma per quello che viene dopo.
    Il coro partigiano. Lacrime che premono, e inevitabilmente escono.
    Il 25 aprile è una specie di san Gennaro laico, un miracolo civile che non manca mai.
    Il luogo è già un brivido che non ti molla più.
    E se non è un miracolo che negli ultimi anni perfino il sindaco Di Piazza legga un discorso di alto valore… echissenefrega che non lo scriva lui. Lui poi comunque se ne va, col codazzo, e noi sentiamo che arriva il momento che ci mancherà per il resto dell’anno, mentre ci stringiamo intorno al coro.
    Come per un doloroso e vitale incanto, tutto quello che ci è stato atrofizzato si gonfia, quasi fossimo una confezione sottovuoto alla quale viene data finalmente aria.
    E respira profondamente, ci abita, ci straripa negli occhi e nel cuore.
    Nel ricordo. In un senso, finalmente, dello stare al mondo. Nella vicinanza all’unisono con quelli che sono lì con te. Vive. Tu, finalmente, una volta all’anno, vivi.

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