C.S.

cesare-segreE così anche Segre se n’è andato. Una vera moria – prevedibile, in effetti, date le età anagrafiche – dei miei tempi belli all’università di Pavia.
Due esami di filologia romanza e parecchi corsi compreso uno sulle scurrilità dantesche [«Ed elli avea del cul fatto trombetta» (XXI, v. 139)], e allora non lo capivamo ma rientrava in un discorso molto più generale sui registri, gli stili e l’importanza di parlare (e dunque comportarsi) in modo appropriato, insomma ho avuto, come tanti altri, una certa frequentazione con il professore.

A differenza di tanti, però, insieme ai miei compari A. e M. durante forse l’esame di filologia romanza 2, riuscimmo – mentre esponevamo tutta una tirata sull’Entrée d’Espagne noiosa come solo gli studenti-bestie sanno fare – a far addormentare l’esimio. Afferrato istantaneamente che fosse di certo meglio continuare a parlare per cullarlo nel sonno, a costo di dire qualsiasi cosa a prescindere dal capo e dalla coda, ci guadagnammo un trenta tondo tondo al risveglio dal torpore, dato che non poteva certo darci di meno, non avendo alcuna prova dell’andamento dell’esame.
Ed è un ricordo di cui vado orgoglioso: di studenti bravi ne avrà avuti a centinaia, di cani molti di più, ma quanti gli hanno donato dei bei minuti di sonno?

La ricorderemo, professore.

assassinio al Comitato centrale

Il 15 giugno 2013 Enrico Letta ha portato la validità del DURC (documento unico di regolarità contributiva) a centoventi giorni.
Per me resta il più grande innovatore della politica italiana di sempre.

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(non si fa così, comunque)

italian stàil (la ballata di Bo-rtolo e Liuc-chetto)

Stamane sotto la mia finestra:

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io vorrei liberare la mia mente in un’estasi costante e permanente

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Stavolta è dura, più che per Scirli Tempol.

ha, l’amur

Ma chi sono io per giudicare l’afflato dellamore? Nessuno, è chiaro.

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E il mio preferito di sempre:

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(da Amori grammaticalmente scorretti)

ancora una volta bravo

Un mural piccolo piccolo dal giro americano di Banksy in ottobre, ottimo come sempre:

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Tra l’altro, oltre a essersi inventato un numero telefonico con una guida registrata ai suoi murales nuovaiorchesi, ha piazzato una bancarella anonima di sue opere su tela a Central Park, pagando per una giornata un pensionato in modo che si fingesse il venditore. Costo di ogni opera in esposizione: cinquanta dollari.
Valutazione media di ogni opera? Cinquantamila dollari, almeno.
Ebbene, alla fine della giornata sia il signor pensionato che il signor graffittaro hanno incassato ben cinquanta dollari. Ovvero, una tela venduta.
Che nervùss non essere stato là, quel giorno e bel colpo, fantomatico acquirente.

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5324 - vaticano dicembre 2013

bodoni è davvero il più bravissimo di tutti (pari con manuzio, dai)

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per certi lavori devi mangiare leggero

Altrimenti il mostro se ne accorge.

due parole sulla morte di Mandela (ovviamente polemiche)

Ne cito provocatoriamente solo uno per tutti:

«Dobbiamo essere grati a Mandela perché ha segnato come pochi la storia del secolo scorso con il coraggio e la determinazione delle persone libere e con la forza della non violenza» (Matteo Renzi)

Ma potrebbe essere Obama, Cameron, Letta o chiunque altro in questi giorni.

Nonviolenza? Ma che cazzo dite?
Delle due l’una: o celebriamo una persona, tutta intera, o celebriamo una figurina, da attaccare nel grande album dell’irrealtà.
Non che Mandela non abbia meriti grandissimi, sia chiaro: prima di tutto si fece ventisette anni in carcere a causa di un regime allucinante, poi ricompose un paese disastrato, gestì una transizione difficilissima inventandosi la Commissione per la Riconciliazione – che era una cosa serissima, non una fandonia all’italiana per far scendere il sipario – e, tutto sommato, con la sua presidenza riuscì a portare il Sudafrica fuori da un pelago alquanto pericoloso.
Ma Mandela era un duro, ai tempi girava con un pistolone lungo tanto e non era certo uno che ci pensava due volte.
Quando nel 1961 contribuì a fondare l’MK, l’ala militare dell’ANC, sostenne con forza l’istituzione di campi militari di addestramento alla guerriglia e al sabotaggio, perché in certe situazioni la lotta dev’essere lotta (anche) fisica. Quando gli offrirono, decenni dopo, la possibilità di uscire dal carcere in cambio della rinuncia alla lotta armata lui rispose: «le belle balle» (più o meno, non tutti gli storici sono concordi sulla citazione). Di sicuro, proponeva azioni «tra l’incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata», sempre lui nel 1980.

Ora: senza entrare nemmeno nel merito della cosa, lotta armata piuttosto che azione politica, ognuno si gestisca le proprie preferenze (io andai a Soweto sull’onda dell’entusiasmo del tempo, quindi sono partecipe), è un fatto che dalla metà degli anni Ottanta Mandela rappresenta un simbolo e come tale è celebrato a prescindere dalla concatenazione di avvenimenti reali e senza tenere conto delle situazioni effettive, che come sempre sono un pochino più complesse delle semplificazioni celebrative. Va bene così, basta esserne coscienti, stiamo celebrando un concetto che chiamiamo «Mandela» così come potremmo celebrare – o celebriamo già – Gesù, Goldrake, Kennedy, Madre Teresa di Calcutta, Gandhi, Johnny Appleseed, Lincoln, Machiavelli, Cattaneo e così via. Nessuno se ne abbia, sono tutte figure attualmente mitologiche che poco hanno a che vedere con delle persone reali. Probabilmente è opportuno rivelare un paio di segreti a questo proposito: Gandhi era un tipetto davvero aggressivo e Madre Teresa di Calcutta aveva la stessa idea di carità di un predicatore televisivo americano con tre cadillacs nella rimessa.

A questo punto, date le premesse, vorrei celebrare anche de Klerk che, più di Mandela e di chiunque altro, contribuì fattivamente alla caduta del regime dell’apartheid, legalizzando l’ANC, il SACP, il PAC, aprendo i negoziati e terminando la segregazione. Il tutto contro i propri interessi di afrikaans e di leader di partito, aveva solo da perdere e così fu, in termini di potere, di status ed elettorali. Ma lo fece lo stesso, si guadagnò il nobel in coabitazione con il simbolo contrapposto, Mandela appunto, e lasciò libero il campo quando fu travolto dalle elezioni libere del 1994, come aveva facilmente previsto e com’era ovvio. E sono del tutto condivisibili le sue critiche recenti allo stato di cose attuale in Sudafrica, retto da un ANC devastato da criminali, imbecilli, incapaci di cui Zuma è il più cane di tutti (già ne dissi, qui e qui).

Viva Mandela, dunque, ovvero Nelson Rolihlahla Mandela, la persona e non la figurina, cui sono grato, e molto, ma non per le ragioni di Renzi e compagnia bella. Ci dedico allora, a lui e de Klerk, una canzone che ha segnato il mio essere pischello – nel 1984 fu il primo quarantacinque giri che mi comprai nella mia vita – Scatterlings of Africa di Johnny Clegg & Savuka: