la memoria condivisa e i miei dubbi

Oggi è il 23 marzo, ed è l’anniversario dell’attacco di via Rasella. Ancora una volta, il ricordo è necessario, come ogni anno. Necessario per me, perché io voglio ricordare.
Riguardo a via Rasella ho scritto parecchio (qui, qui e qui, per chi fosse interessato) ma è sempre bene ricordare. Anche se si pensa, e questo potrebbe essere un caso lampante, che la memoria sia condivisa e certi fatti indiscutibili. O assodati.
Perché così non è e ogni volta rimango di sasso quando lo scopro. Come due giorni fa, l’ultima volta. Ecco cos’è successo.

Domenica sera sono andato a rivedere “L’uomo che verrà”, un film di Giorgio Diritti sugli eccidi nazisti di Montesole e Marzabotto. Era un’occasione, perché era presente il regista e, inoltre, a me il film è piaciuto moltissimo, come ho già scritto da qualche parte. Un film onestissimo, nel senso di rispettoso e rigoroso, e diretto, girato senza cadere in alcun espediente emotivo (musica, dialoghi, scene costruite ad arte eccetera) che faciliti o condizioni la visione. Molto bello, per chi ha voglia di capire.
Comunque, al termine della proiezione entra il regista e il pubblico avanza qualche timida domanda. La prima, una signora tra i sessanta e i settanta (lo dico perché certe cose dovrebbe averle sentite fino alla noia, se non vissute quasi direttamente) dice più o meno testualmente così: “Sono molto impressionata perché… tutto è molto violento… io non posso credere che i ragazzi tedeschi fossero così… così… violenti… cioè non posso credere che esistano persone così crudeli, che esistano persone così spietate… mi sembra tutto esagerato, molto esagerato”.
A Marzabotto e a Montesole sono state uccise più di ottocento persone, tra cui quasi duecento bambini, in sei giorni.
Io resto di sasso. Parte della platea pure, il regista resta un momento perplesso e poi cerca di rispondere cordialmente. Ma non è questo il punto. Il punto è la memoria, ossia una specie di conoscenza comune che, in qualche misura, si considera patrimonio diffuso: non si stava parlando del numero esatto delle vittime o delle località degli eccidi o della data, si stava discutendo – con sorpresa da parte della signora – dell’efferatezza dei soldati nazisti, accompagnati dai fascisti, e di crimini di guerra contro i civili, di stragi e di abominio, ovverosia fatti che, avrei messo la mano sul fuoco, sono noti a chiunque. E non è solo memoria, è storia e verità giudiziaria, sebbene con moltissime omissioni.
E invece no. Da domenica sera continuo a pensarci e continuo a non capire. Com’è possibile? Com’è possibile non sapere? Com’è possibile non avere idea?
Più ci penso e più mi prende lo sconforto, bisogna ricominciare dall’inizio, ogni volta, per ogni persona singola, rispiegare, mostrare di nuovo, insistere e non mollare mai. E non dare mai nulla per scontato. Tutto ciò è sconcertante, da domenica sono davvero confuso e non riesco, davvero, a spiegarmi come sia possibile.

  • Federico
    Mar 23rd, 2010 at 21:48 | #1

    Lo sconforto è conseguenza dello stupore, comunque preferibile al disincanto. I mostri di Goya convivono con le alterne vicende della ragione ma sempre con l’ineludibile bisogno di risparmiare energia psichica. Questo certo è da scontare, il resto (forse) no.

  • Gian Marco
    Mar 23rd, 2010 at 22:47 | #2

    Occhio non vede, cuore non duole.
    Ovvero la “tecnica dello struzzo” applicata alla coscienza.

  • siu
    Mar 24th, 2010 at 08:31 | #3

    Mi dispiace che ogni volta tu soffra, caro Trivigante, nel constatare l’ignoranza di ciò che, come dici, “non è solo memoria, è storia e verità giudiziaria”.
    Io sto male, in modo ormai cronico, di fronte all’obnubilamento generalizzato e pressochè totale rispetto allo stato di sfacelo istituzionale, politico, sociale, morale e culturale in cui versa questo Paese, di cui è in corso niente di più e niente di meno che lo smantellamento della Costituzione, e mi riferisco soprattutto ai suoi Principi. E che tutto questo passi nella più assoluta indifferenza mi sembra forse ancora più sorprendente, poichè attiene non ad accadimenti del passato, per sua natura -ahimè in questo caso!- tendente all’oblio, bensì ad un presente sotto gli occhi di tutti.
    Ma non c’è davvero peggior orbo di chi non vuol vedere, esattamente come peggior sordo di chi non vuol sentire.
    La (tua) domanda chiave è: Com’è possibile non sapere?
    Io credo sia possibile quando non si accetta di soffrire, nè ci si vuole sobbarcare la fatica e i problemi che comporta affrontare la complessità della realtà, passata o presente che sia, a maggior ragone se tragica.
    Lo hanno assai bene sintetizzato Federico e Gian Marco, “con l’ineludibile bisogno di risparmiare energia psichica” e “Occhio non vede, cuore non duole”.
    L’Italia, delle tre scimmiette, mi pare incarni oramai perfettamente le prime due, contraddicendo invece la terza fino al parossismo. Infatti parla, e parla e parla, nel perfetto regno del vuoto e dell’assurdo, mentre nulla vuole più vedere e ascoltare, sapere e capire; rendendolo peraltro praticamente impossibile anche a chi, magari non particolarmente attrezzato, in una realtà vagamente equilibrata avrebbe forse qualche possibilità di non perdersi.
    Il tempo della non consolazione. Stava scritto -mi è venuto in mente come un flash- sulla pagina strappata da un giornale che avevo attaccato da ragazzina all’interno di un’anta dell’armadio in camera mia. Sfondo rosso, e in nero quelle parole e la silhouette di un ragazzo e una ragazza, schiena contro schiena, ciascuno con un libro aperto in mano (credo fosse una pubblicità Feltrinelli).
    Tanto per sperare che qualcuno dei libri che verranno regalati a sconosciuti, il 26, faccia, cominci a fare, forse, chissà, hai visto mai, il miracolo.

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