la violenza silenziosa nelle città

Più della violenza manifesta, fa paura la violenza ordinata e silenziosa, che arriva di soppiatto, uno manco se ne accorge lì per lì ed è già compiuta.
Se non avete l’abitudine, per necessità, di sdraiarvi sulle panchine di un parco, di dormire sulle soglie riparate, di accantucciarvi in un angolo per il troppo freddo, di ricavare insomma uno spazio tra le pieghe urbane per trascorrere la notte, di certo non ci fate gran caso, succede anche a me.
Sono escrescenze urbane, compaiono da sera a mattina e spesso non si notano di primo acchito: panchine con il bracciolo centrale, paletti di metallo piazzati negli angoli strategici, punte acuminate a protezione delle soglie, barriere circonvolute realizzate da artigiani solerti.
Proteggono dalle persone. Non tutte, semplicemente quelle persone fastidiose come i piccioni, che si piazzano da qualche parte e ne fanno casa propria, come fosse un vezzo o la realizzazione di un desiderio. E allora, se c’è gente che sulle panchine ci dorme, bisogna togliere le panchine, o modificarle, il che equivale grossomodo a impedire a uno con il mal di denti di prendere un analgesico. Non dico andare dal dentista, ci mancherebbe altro, mica siamo le dame di San Vincenzo.

E la cosa passa via silenziosa, non perché noi si sia tutti indifferenti, ma perché se non ne hai bisogno queste cose non le noti: ovunque spariscono le panchine, in stazione Centrale a Milano l’unico posto dove sedersi è la saletta Eurostar Lounge, a Treviso e Trieste nei parchi non ci sono sedute di nessun tipo, a Verona le panchine hanno un bracciolo esattamente a metà, a Roma meditano analoga soluzione, nelle stazioni sostituiscono le panche lunghe con coloratissimi sedili quadrati e piccoli dove si sta scomodi anche solo seduti, i posti pubblici – parchi, stazioni, metro – la notte chiudono, per non parlare del fatto che compaiono nei posti più impensati dissuasori di ogni tipo e forma. Anche le luci puntate lo sono.
Il problema, dunque, non è che c’è un sacco di gente che è costretta a dormire negli angoli bui, bensì che la cosa “è una misura per il decoro urbano, la sicurezza e la durata degli arredi” (Fabio De Lillo, assessore all’Ambiente della giunta Alemanno), perché le panchine si rovinano.

Oltre al fatto che queste cose non si notano, la cosa peggiore è che ci si abitua. Poi, nemmeno troppo piano, il degrado collettivo colpisce tutti, perché la qualità urbana scade e degenera, i luoghi si svuotano e le persone, noi tutti, si chiudono in casa. Uno spazio comune e pubblico che sparisce, sparisce per tutti. E i responsabili non sono solo lo Stato, le amministrazioni, le FS, Grandi Stazioni, i grandi cattivoni, ma allo stesso modo i commercianti, gli amministratori di condominio, i condòmini, i vigilantes e tutti i piccoli possessori di pezzetti di paradiso, che per far fronte all’immane invasione dei Tartari erigono barriere e barricate contro il nemico. Barriere reali per nemici immaginari, un intramontabile classico. E se il Tartaro si impala accidentalmente, che vada affanculo: colpa sua, lì non ci doveva proprio stare. Dove, dunque, si può?

Nessuno mai si prende la briga di fare il punto e di affrontare la sostanza delle questioni, è questo il nostro più grande problema. Ne derivano, di conseguenza, grotteschi paradossi e schifezze molto reali. Ecco una galleria di fotografie che potrebbe essere stata scattata in qualsiasi città occidentale, proprio davanti alla nostra porta di casa e sotto i nostri occhi. Perché talvolta sappiamo essere proprio stronzi.

  • siu
    Gen 13th, 2010 at 14:29 | #1

    Niente da dire, parole e foto come -doverosi, sacrosanti- pugni nello stomaco.

  • Gen 13th, 2010 at 18:18 | #2

    La sparizione delle panchine dalle città non è avvenuta in una data precisa, sono cose che misteriosamente accadono, mi verrebbe da dire con gli offlaga, così come avviene di continuo l’erosione del senso delle parole, o meglio il capovolgimento del loro senso, una frase come “è una misura per il decoro urbano, la sicurezza e la durata degli arredi” ha lo stesso senso di “arbeit macht frei” nei campi di sterminio, minare il linguaggio è minare la realtà e, in questo caso, anzi, in entrambi, è pure una presa per il culo da parte di un potere ormai slegato dalla realtà, arrogante e completamente autoreferenziale.

  • siu
    Gen 14th, 2010 at 10:40 | #3

    Difficile non notare come qua sopra dimorino svergognatamente adiacenti un commento da premio ciofeca e uno da Oscar: sei righe e mezza che più dense, precise, attuali, ricche, profonde, universali (e pure scorrevoli!) non potrebbero essere. Chapeau..x!, sì sì, tanti, ad s|a.

  • Gen 14th, 2010 at 11:59 | #4

    Grazie a Trivigante e a s|a, entrambi saggi e illuminanti.
    Sul tema “linguaggio” mi domando, con riferimento al caso in esame, fino a che punto sia valido il precetto delle elementari “Chi parla male poi pensa male” o il suo contrario “Chi è stronzo dentro inevitabilmente poi dice delle cagate”. Penso ad Alemanno. A Gentilini. A Salvini. A Borghezio.
    Poi questi dissuasori fanno il loro lavoro e garantiscono il “decoro” delle “nostre” città, allontanando i barboni. Come se i barboni non fossero nostri concittadini, come se bastasse non vederli per non sentirne il problema.
    Anni fa su un muro sotto il quale a volte si radunavano dei senzatetto, qui a Bologna, c’era un bellissimo messaggio di Francis il muro parlante, scritto in modo stentato. Diceva “A volte basta anche dire solo Buongiorno”. Punto.

  • Gen 15th, 2010 at 16:46 | #5

    Grazie Trivigante, un post come non se ne vedono spesso, attento ai dettagli che tutti vedono ma che pochi interpretano. Propongo un compito per noi lettori: scattare foto a questi strumenti di lotta urbana. Mi vengono in mente già alcuni posti a Prato.

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