il disbrigo della corrispondenza

Ci fu un tempo nel quale una parte corposa della giornata di uno scrittore, di un intellettuale o, più semplicemente, di una persona civile attenta ai rapporti, era dedicata al disbrigo della corrispondenza. Corrispondenza, appunto, ovvero i poli della trasmissione devono essere per forza almeno due e la cosa deve essere reciproca.
letteraResa obsoleta dal mezzo, anzi dai media (pronuncia alla latina e non all’inglese, pliis), e dal tempo relativo di una giornata, l’attività del ‘disbrigamento’, ovvero liberare dall’impaccio e dall’impedimento per giungere a conclusione, è sempre stata caratterizzata da una certa fatica e impegno, e coloro che erano oggetto di invio massivo erano destinati a soccombere sotto la mole delle lettere inevase.
Anche perché ben pochi sono coloro che riescono a limitarsi a una frase, un rigo appena.
L’unica soluzione, da sempre? Non rispondere, ovvio, e questione risolta. Al cestino, dunque. Valgano per tutti gli esempi di William Wordsworth (“Sarà per un mio difetto congenito o per un mio abito mentale, fatto sta che io non scrivo mai nessuna lettera, se non d’affari, nemmeno ai miei più cari amici”) e di Henry David Thoreau (“Nella mia vita non ho ricevuto più di una o due lettere che valessero la loro affrancatura”) che la faccenda la risolsero a favore del disimpegno di fronte al disbrigo.
Thomas Bernhard, stessa posizione, fu ancora più netto: “Io butto sempre via le lettere che mi arrivano perché, anche da un punto di vista tecnico, è assolutamente impossibile mettersi a rispondere, altrimenti bisognerebbe fare come quegli scrittori di merda che tengono un paio di segretarie e rispondono a tutto, a ognuno gli infilano nel culo una bella letterina”. Deciso e chiaro.
Tra coloro che, invece, affrontarono il dilemma delle lettere senza risposta (perché il dilemma esiste ed è di certo morale), Giuseppe Prezzolini lo risolse a suo modo, con un cartoncino prestampato: “Egregio signore, ricevetti la sua missiva, di cui apprezzai il contenuto e la ringrazio. Purtroppo la mia età e le mie condizioni di salute mi hanno impedito di rispondere come avrei avuto desiderio- Dubito di poter presto trovarmi in stato di farlo. Il poco tempo che mi rimane è destinato a scrivere qualche articolo e lei vorrà scusarmi. Suo devotissimo”. Ma anche in questo caso era necessario, ripeto: dilemma morale, addurre delle scuse alla colpevole assenza di risposta, per quanto validi motivi siano l’età e la morte che si fa sotto.
Molto più brillante, invece, come al solito Groucho Marx, il quale offre la frase di risposta definitiva a ogni tipo di dilemma, da usarsi solo se si è in grado, poi, di gestirla:

“La prego di scusarmi se non ho risposto prima alla sua lettera.
Ultimamente però sono stato così occupato nel non rispondere alle lettere che proprio
non ce l’ho fatta a non rispondere alla sua in tempo”.

  • siu
    Nov 13th, 2009 at 09:23 | #1

    Bel post, gustoso e succoso.
    Mentre me ne sto qua, che non ho ancora deciso se rimpiango il tempo delle lettere di carta, inchiostro e francobollo, o se W le mails…

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