tutti a mucchio

Dopo quelle cretinissime pubblicità che pretendevano fotografie con cellulare e scansioni del codice per avere sì e no un indirizzo web, adesso la gran moda dell’attimo prescrive la somministrazione – correttamente o alla cazzo – della cosiddetta “realtà aumentata” (AR, augmented reality).
Non c’è infatti periodico o quotidiano che, per stare al passo, negli ultimi cinque giorni non abbia lanciato uno spazio di AR, utilizzabile puntando la webcam sul giornale e osservando chissà quali magie sullo schermo e sul sito del periodico/quotidiano (spesso trattasi, come sempre, di patonza, viva l’immaginazione). Che ci vogliamo fare, a un certo punto sboccia la gran moda e tutti a mucchio vi si gettano a bocca aperta… Se finora non avete incocciato con la realtà aumentata, vi capiterà entro quarantotto ore, probabile.
Due punti: il primo, i nomi delle cose sono importanti e altrettanto importante è coniarne di nuovi che siano evocativi, densi di significato a sufficienza e, possibilmente, belli a leggersi e a dirsi. Non è il caso della “realtà aumentata”, evidentemente. Secondo, ciò che viene spacciato come un’esperienza rivoluzionaria (e fanculo all’uso improprio di questo aggettivo meraviglioso e potente) molto spesso non lo è nemmeno lontanamente. L’AR ha effettivamente delle applicazioni notevoli (penso alla chirurgia) ma è e resta un’applicazione, non una rivoluzione.
Comunque, per chi manifestasse interesse un minimo di studio è d’obbligo (lo strumento primario), per tutti gli altri un piccolo esempio qui sotto che ha tra i propri pregi anche i cieli romani, non da poco:

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