il mercato sottostante

billboardLe hit pareid musicali sono una boiata. Non ho mai conosciuto nessuno che, in base alle classifiche musicali, si orientasse all’acquisto e, tantomeno, nessuno che si sia mai riconosciuto in una di esse. Più che altro perché le classificone musicali sfornate da entità, come dire?, piuttosto interessate di solito producono risultati con un unico scopo: vendere di più. Inoltre, i metodi di rilevazione sono piuttosto stupidi e si riducono in sostanza a uno: le copie vendute. Il fatto è ancora più anacronistico oggi, che il negozio di dischi è stato ampiamente superato a destra dai servizi di vendita onlain. Per non parlare di chi la musica non la compra affatto, ma la reperisce. Stendere dunque un rapporto attendibile sul consumo musicale della gente, appunto, ha un che di impossibile. Una volta esistevano le bibbie dei dati di vendita, tipo Billboard, che facevano il bello e il cattivo tempo in fatto di successo o fallimento della musica commerciale o para-tale, oggi la cosa è più complessa, per fortuna. Una congrega di discografici riuniti in un metaforico Rotary si sono dati da fare e hanno fondato SoundScan, allo scopo di monitorare la circolazione e la vendita di musica in rete, così da integrare le hit pareid tradizionali. Contenti loro.
Come che sia, le classifiche di ogni tipo non hanno nessun valore per il singolo individuo, è evidente, non danno alcuna informazione utile sulla qualità della musica ma danno alcune indicazioni interessanti sul contesto. Che è bruttino, va detto.
Ad esempio, per citare l’esempio più lampante, Billboard stende alla fine di ogni anno una classifica delle cento canzoni che hanno venduto (o influito) di più, allo scopo di rappresentare l’andamento del mercato e, di conseguenza, dei gusti dei consumatori. Ed è una bella boiata. Non genreultimo perché Billboard è un’azienda americana e considera la musica americana: il che, per chi ne capisce un minimo, significa che ciò di cui si parla è musica per modo di dire, in generale. Però, come dicevo, si possono desumere delle informazioni collaterali interessanti.
Per esempio, incrociando i dati di vendita con il genere musicale dei dischi acquistati nel 2008 (qui a destra) si può scoprire che c’è gente che ascolta musica “Urban” (?), che chi ascolta “Hard core rap” non è amico di chi ascolta “Gangsta rap” o, ancora, che qualcuno ci piace il “Dirty south”. Che sarebbe musica, pare. E sarebbe bello capire la differenza tra “Alternative pop/rock” e “Adult Alternative pop/rock”: forse nella seconda dicono le parolacce. E’ pur vero che la questione dei generi musicali, come quella dei generi letterari, è del tutto aperta: una cosa è il commercio e tutt’altra cosa è la critica, possibilmente seria. Il “teen pop” è una cazzata da ogni punto di vista che non sia quello di un discografico-squalo.
Banalità a parte, il dato più interessante secondo me è quello delle case discgrafiche: ossia i dischi venduti raggruppati per casa discografica che li produce e li commercializza (qui). Il che mostra come, sostanzialmente, i soggetti attivi nella produzione di musica su scala planetaria siano sì e no una ventina. Il fatto a me pare bizzarro, vista la facilità con cui oggi è possibile prodursi un disco, distribuirlo e immetterlo nel circuito: il monopolio dei grandi numeri resiste e la diffusione di musica si regge ancora, ahinoi, su canali privatistici e mainstream. Si spiegano così, peraltro, almeno un paio di cose: come mai ci sia in giro una gran quantità di musica da cesso e come mai pochi soggetti riescano a rompere le ownerspalle all’intero pianeta sulla condivisione e lo scambio della musica in rete. Prima o poi saranno sconfitti, questo è certo, di fatto però attualmente resistono e continuano a dettare legge.
Quanto detto finora assume una prospettiva inquietante se si considera il grafico di prima, le etichette discografiche per numero di dischi venduti, secondo la proprietà di capitale: ovvero, quali gruppi, delle dimensioni di megalosauri, realmente possiedano le case discografiche che poi, materialmente, commercializzano la musica. Ed ecco, dunque, il grafico esplicativo qui sopra.
Un bel monocolore che indica che se comprate un disco sicuramente i soldi vanno a tizio, o caio, o sempronio o tizio due. E basta. Praticamente quattro. La banda dei Quattro.
E se uno, o tutti, dei quattro sono convinti che Madonna sia la cosa più rivoluzionaria e accattivante del pianeta, noi tutti ci becchiamo Madonna, e le alternative vanno a farsi friggere. Oppure, vanno cercate con il lanternino nelle pieghe del sistema. Il che è davvero deprimente, visto che questi quattro sono effettivamente convinti che Madonna, cinquant’anni e la noia dentro, sia il meglio che ci potesse capitare. Dal loro punto di vista, è ovvio, la cosa funziona, visto che riescono a farci mangiare a tutti le stesse, costose, banane senza troppi rigurgiti o lamenti, chiudendo qualsiasi porta alla biodiversità musicale. E selezionano i testi, li omologano, producono arrangiamenti identici, tolgono e aggiungono brani sulla base di logiche di mercato, non producono esperimenti rischiosi commercialmente, rifiutano buoni prodotti perché non gli conviene, includono o escludono paesi interi sulla base di indicazioni di marketing, sconsigliano l’azzardo e limitano gli eccessi. Poi si comprano le stazioni radio (e i conduttori) e compilano le playlists a seconda della promozione. Quanta musica inventata e suonata non arriverà mai alle nostre orecchie?
Le conclusioni, dunque? Se vi piace Madonna, o siete convinti vi piaccia, bene: vivete felici. Se, invece, vi piace la frutta nuova e fresca, la raccomandazione è con evidenza una sola: non comprate più dischi, trovateli in giro. O, se proprio, comprateli sul sito del musicista e versate il giusto a chi se lo merita. E non credete alle classifiche stese a tavolino. Augh!
Scambiamoci qualche indicazione interessante: che musica state ascoltando, adesso?

  • Mag 6th, 2009 at 11:17 | #1

    Le luci della centrale elettrica e i soundtrack dei film di Wes Anderson. Considerando che Last.fm diventa a pagamento le alternative purtroppo sono poche.

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