John Cale - Paris 1919

Dio dio dio, che pace, che armonia, che semplicità bucolica, che universalità...
Sembra il primo premio al concorso "Ehi, fratello dei fiori, fai un disco che non dia fastidio a nessuno e pace universale", ma in realtà un po' irrita, perchè lui canta così "flat", ma così flat... (cioè senza modulare la voce). A dire il vero tutta la musica, melodie, ritmica, arrangiamenti scivola via, senza un tremolo, un grumo narrativo, uno scatto, o una (dico una) incertezza o variazione di volume o di tono o di intensità emotiva, niente.
Come quello che va a una festa, invitato speciale della serata, e nessuno si accorge che c'era, e nessuno si chiede dove sarà finito, e fanno senza.
A parte la premessa da disco terribile, in realtà il prodotto non è urendo, no, no no no per niente. Per un 75% potrebbe essere catalogato tra Cat Stevens e Simon&Garfunkel, o tra gli ascendenti di quei due lì, gli svedesi odiosi (kings of convenience). Il rimanente 25% va nell'onda lunga della psichedelia un po' folk un po' country, tra Grateful Dead e David Bowie, ma con questa voce a salve, efeba, eunuca, che viene da stropicciarsi le orecchie, "sostituisci le cuffiette, che magari c'è un'interferenza"... No, chiaro, è anche il 73, mica è una cretineria, siamo tutti alternativi e bravissimi...
Solo che a me non va giù, nonostante la confezione e il lubrificante a base acquosa, non riesco a dare il giro. C'è pure una canzone "Andalucia"...
Voto: il professore è incompetente, e dà dal 5 al 6 (sa, l'impegno del ragazzo...)
Giudizio: potefa fare non di più, non di meglio, ma di altro.
(Gnappolo, 06/07)

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