Tori Amos - American doll posse

Di questo album mi andrebbe di scrivere solo delle prime quattro canzoni, che per me rappresentano tutto quello che serve per consumare un rapporto soddisfacente con Tori, almeno per il disco.
Quando per la prima volta ho ascoltato Yo George, cominciando ad assaggiare il disco, ho temuto il peggio. Ma poi dura poco, è solo un'ottima introduzione, e sono arrivate le altre tre: dopo Teenage Hustling, la migliore dell'album, ho deciso che Tori può chiedermi tutto, anche di ascoltare il resto di un album ancora una volta troppo lungo.
La potenza che finalmente ha deciso di mettere almeno in una canzone, dato che nello scorso album non ce n'era proprio, mi solleva e mi porta via ogni volta. Qualcosa ancora arriva con You Can Bring Your Dog e queste spinte mi fanno arrivare fino a metà album con ancora qualche traccia di attenzione e godimento.
Tutto si rompe definitivamente con Code Red, oltre la quale, davvero, non riesco ad andare.
Rimane il fatto che amo e rispetto Tori. Ora viene la tentazione di pensare che una Regina Spektor, per esempio, è al momento molto più interessante, ma anche lei, chissà, fra dieci anni...
(Pazoozo, 05/07)

Non è mai stata una delle mie preferite. E specie in questo disco canta con una voce tutta sfringimenti e gridolini che me la rende indigesta. Seconda cosa insopportabile è chi infila in un testo la parola "Palomino" e la pronuncia con accento americano: da ucciderla (la 9). La musica è abbastanza piacevole e sempre nel suo territorio è, sia chiaro, e alcune cose buone ci sono (su 23 brani totali...). Pertanto gran piano, arpe celtiche, e intervalli dissonanti, ma comunque (suo malgrado, sono i miei gusti) non supera il primo ascolto e finisce nel cestino.
MASTERIZZARE.
(Gnappolo, 04/07)

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