Io ho una visione
stereotipata del country. E' molto banale, lo ammetto, ma non riesco
a non pensare agli Uncle Tupelo, come per esempio potrei pensare ai
Jayhawks, come a dei ragazzi che quando hanno imbracciato la
chitarra hanno inevitabilmente cominciato a suonare e cantare ciò
che avevano negli occhi, nella pelle, gli odori impregnati nei
vestiti. Me li vedo finire la giornata di lavoro in fattoria e,
ancora con gli stivali infangati addosso, trovarsi a provare nel
fienile.
Certo, le chitarre elettriche sono arrivate quasi subito e, con
loro, anche la voglia e la capacità di arrangiare l'inevitabile
tradizione con roba che faceva strabuzzare gli occhi ai loro vecchi.
Così, gli Uncle Tupelo arrotano per bene le erre, nei testi ci
mettono i dovuti bible, morning, god, suonano l'armonica a bocca, il
banjo e la chitarra slide, però non solo elettrificano il genere, ma
lo impastano, in certi passaggi o intere canzoni, con un rock che
odora di altri posti, probabilmente di città.
Forse che già stavano pensando di andarsene in giro? Jeff Tweewdy
intravedeva già quello che sarebbero stati gli ultimi Wilco? Certo
che è strano ascoltare questo album dopo Sky blue sky, ma andare
alle radici è sempre buona cosa. In questo caso, esserci andato mi
dice che le ultime cose di Tweedy sono profondamente legate a questi
tempi, solo che probabilmente le ha registrate in uno studio
diverso, non in quello con il perlinato sui muri, e, così, ha messo
una altro vestito sopra alla camicia a scacchi.
(Pazoozo,
08/07) |