minidiario scritto un po’ così di un breve giro per verificare se la semiotica strutturale delle origini è ancora praticata: quattro, al confine invalicabile, sabbia che travolge, c’è mare e mare, un nuovo regolamento

Mi metto in moto perché voglio essere proprio oggi sul mar Baltico e ne manca un po’. La via più breve è seguire il Nemunas fino alla foce ma malauguratamente non ho una barca e non c’è la ferrovia. Cioè, c’è, ma passa molto in alto, torna indietro e fa un giro strano e ci mette quattro ore. La prenderò al ritorno, opto per il bus, comodo e bello dritto. Oddio, dritto non tanto, l’autista continua ad andare a zig zag e finisce di continuo con la ruota sulla striscia vibrante a lato carreggiata. Non sono il solo a guardare di tanto in tanto se stia dormendo. Prima di pranzo sono a Klaipėda, il più importante porto lituano e città in una posizione particolarissima che è il motivo che mi porta qui. Davanti alla città si dislunga la penisola di Neringa o penisola dei Curoni o penisola dei Curi o penisola curlandese. Una striscia di terra sottile sottile ma lunga cento chilometri, più propriamente un lido che, simile a quella di Venezia, separa il mar Baltico dalla laguna dei Curi, un grosso lago-mare interno tutto particolare. Davanti a Klaipėda si apre l’unico ingresso alla laguna, un canale largo trecento metri.

Ho detto terra ma no, non è terra: è tutta sabbia. E tanta sabbia. Di fatto la penisola è fatta di dune enormi, alcune alte anche sessanta metri, che si spostano tra le due coste a seconda del vento e della posizione. Ho visto una cosa simile alla Dune du Pylat vicino a Bordeaux, sull’oceano, molto più in piccolo, e qualcuno mi segnala la foce del Guadalquivir per somiglianza. Fin dal Settecento, per ostacolare la crescita e lo spostamento delle dune, che avevano la cattiva abitudine di seppellire i villaggi come il vecchio Nida, i lituanici di allora cominciarono a piantumare la sabbia con pini e betulle, in prevalenza. Mettendole sufficientemente fitte, si crea un bosco e il terreno si ricopre di muschi ed erbe rampicanti, il che ferma lo spostamento della sabbia. Restano ampie zone non piantumate in cui enormi dune di splendida sabbia gialla tipo-deserto si muovono e cambiano con il tempo.

L’unico modo per raggiungere la penisola di Neringa è con il traghetto perché, e qui sta la seconda cosa interessante, la parte meridionale della penisola, della laguna e del territorio circostante è Russia. Più precisamente l’exclave di Kaliningrad o Königsberg se nostalgici prussiani o Królewiec, come ha deciso due giorni fa un ministro polacco in difesa dalla, ehm, russificazione. Vabbè. È l’unico porto russo sul Baltico che non gela, gelava, d’inverno, quindi strategico, ecco il perché dell’exclave al momento dell’indipendenza della Lituania. Quindi, ci si muove e si gira solo fino a un certo punto, quando per via di penisola o laguna o terra si va a sbattere contro il confine russo, particolarmente caldo di questi tempi.

E indovina? È esattamente dove voglio andare io. Ma non oggi, domani. Mi serve tutto il giorno. Allora vado in esplorazione, trasbordo con il traghetto, mi segno gli orari, cioè l’unica cosa che capisco – i numeri – in ogni comunicazione locale, scopro che una corrierina percorre il lido verso sud fino a Nida, l’ultimo avamposto prima del confine, e poi la farò a piedi. Segno gli orari della corrierina e ho un piano. A questo punto mi godo il Baltico che, di certo, d’inverno è il mio mare preferito.

Cammino qualche chilometro sulla sabbia, grosse cornacchione pescano dei pesci tipo boh sogliole, si mangiano la parte più buona, occhio e sottoguancia, e poi lasciano tutto lì. Beh, arriverà qualche affamato meno raffinato. Per esempio, le tre foche che vedo giocare più avanti, sono talmente vicine che ne sento l’odore, ed è una puzza animale feroce, queste sono pelosone e grigie, non nere e lucide come quelle in Sudafrica. Il mar Baltico, le sue rive e soprattutto il suo cielo, che è la cosa più bella perché sempre in movimento e sempre brillante sia blu o grigio, è simile sia da Lubecca, Stralsund, Stettino, Danzica, qui, Riga, Tallinn, Helsinki o Stoccolma, è un lagone interno. Non stupisce che la Svezia abbia spadroneggiato in lungo e in largo sulle sue coste e anche all’interno, rompendo le palle a tutti i vicini per decadi.

Arriva un cargo portacontainer danese e io e altri beoti, maschi va detto, lo guardiamo per tutta l’entrata alla laguna verso il porto di Klaipėda, comincia a frenare, a mettere i motori indietro una decina di chilometri prima del molo, e la laguna è per sua natura placida e protetta. Ma per queste navi così grandi basta un vento moderato, tanto fanno massa. Seguo la nave dalla riva, mi imbarco di nuovo e vado in cerca di uno dei quattro alimenti lituani, o più di uno combinati, e mi preparo per domani. Prima, però, ho un compito per l’UE. Va bene stabilire degli standard per i caricabatterie dei telefoni, utile, per le prese elettriche, altrettanto, per la curva delle banane o la lunghezza minima delle sardine, tutto bene e utile. Stabiliamo però lo standard più importante di tutti: le etichette rosa devono indicare l’acqua naturale e mai mai mai quella frizzante. Quella è blu, lo sanno tutti. Bene, lo facciamo questo regolamento per tutta l’Unione? Perché qua fuori, sapevatelo, tutti fanno un po’ come gli pare e io e molti altri ne paghiamo le gravi conseguenze. Grazie.


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